Share

Evangeliario

«È Cristo stesso che parla alla sua Chiesa»

Don Norberto Valli, docente presso il Seminario di Venegono e membro della Congregazione del Rito Ambrosiano, spiega la rilevanza liturgica del testo al centro della due-giorni di studio del 23 e 24 settembre

di Filippo MAGNI

17 Settembre 2010

«L’Evangeliario ha fortissima rilevanza liturgica – spiega don Norberto Valli -, in quanto è il libro che contiene il Vangelo, apice della liturgia della Parola: è Cristo stesso che parla alla sua Chiesa». Don Valli, docente presso il Seminario di Venegono e membro della Congregazione del Rito Ambrosiano, precisa che si trovano due tipologie di Evangeliari: «Il primo raccoglie i quattro Vangeli per intero e segnala a margine quali sono i brani destinati alle diverse celebrazioni. Il secondo tipo, invece, raccoglie i brani selezionati: quello che la Diocesi ha in mente di realizzare è quest’ultimo modello, sull’esempio del testo attualmente in uso, donato dal cardinale Carlo Maria Martini al termine del suo episcopato». Nel nuovo testo si leggeranno dunque i brani evangelici destinati alle diverse celebrazioni con l’indicazione delle loro specificità.
La rilevanza dell’Evangeliario a livello liturgico, prosegue don Valli, è evidente: «È il libro che viene portato in processione e viene utilizzato dal diacono o dal sacerdote durante la celebrazione venerandolo con l’incenso». Per questo è da sempre caratterizzato da grande cura: «La tradizione – precisa il sacerdote – ci consegna copertine dal valore straordinario, sono conservate nei nostri musei a dire il rispetto per la Parola di Dio e per il libro che la custodisce. Onori che si concretizzano nell’uso di materiali pregiati». La Chiesa, conclude don Valli, «ha bisogno degli artisti per i suoi libri, per le sue chiese, perché tutto ciò che è legato alla liturgia risplenda di bellezza».
È a partire dal Concilio che nasce l’Evangeliario così come lo conosciamo oggi. «La trascrizione dei Vangeli – racconta il docente – è stata accompagnata nel tempo dalle indicazioni a margine dei testi che si sarebbero dovuti leggere durante le diverse celebrazioni». Così chi possedeva il testo delle letture era dotato anche anche di codici (detti “capitolari”) che davano la precisa segnalazione dell’inizio e della fine del brano da leggere in una determinata celebrazione. «Fino all’anno Mille e ancora successivamente non esisteva la numerazione in versetti – precisa don Valli -. Il testo era scritto tutto di seguito su manoscritti pergamenacei». Per favorire la praticità d’uso, precisa don Valli, «si iniziò poi a estrapolare i diversi brani, creando vere e proprie raccolte». Ma ancora oggi sono presenti in Diocesi testi più antichi (di età carolingia, risalenti al IX secolo): sono quelli conservati alla Biblioteca capitolare di Busto Arsizio e nella Biblioteca Ambrosiana.
L’intuizione di recuperare l’Evangeliario come libro liturgico, spiega don Norberto, «giunge dopo il Concilio, quando a ciascun ministro viene affidato il proprio libro liturgico. In questa occasione si supera la fase dei cosiddetti “messali plenari”, dove in un unico libro erano contenute tutte le parti della messa: dalle antifone alle letture alle orazioni». La suddivisione in diversi libri non è un gesto dettato dalla praticità d’uso, ma piuttosto indica una nuova modalità di intendere la celebrazione. Conclude don Valli: «Dividendo i libri si è dato corpo a una ministerialità più ambia, grazie a una diversità di testi che indica i diversi soggetti che intervengono nella liturgia. Così al sacerdote compete il Messale, al lettore il Lezionario, al diacono principalmente (o ancora al sacerdote) l’Evangeliario. È un segno di riscoperta della diversità dei ministeri all’interno dell’azione liturgica».