Sono tre le suore che sabato mattina alle 10.30, presso la basilica di Sant’Ambrogio a Milano, durante la solenne celebrazione presieduta dal Vicario generale monsignor Mario Delpini, pronunceranno i voti perpetui di povertà, castità e obbedienza. Storie personali e vocazionali diverse, ma accomunate dal desiderio di amare Dio e di servirlo nei fratelli.
Suor Serena Viapiana delle Suore della Carità di Santa Giovanna Antida Thouret si è preparata alla professione perpetua vivendo l’esperienza del mese ignaziano presso la casa di spiritualità dei gesuiti a Bologna. Originaria di Cinisello Balsamo, 37 anni compiuti, infermiera, si è sempre dedicata agli altri. «Ho iniziato a 13 anni a fare volontariato spaziando dai bambini, ai disabili, agli adulti senza fissa dimora…». Poi si è iscritta alla facoltà di Infermieristica a Milano e ha concluso gli studi a Brescia. Dopo la laurea ha lavorato in diverse strutture: prima all’ospedale San Carlo di Paderno Dugnano e poi alla Pio X di Milano, quindi si è fermata nei due anni di Noviziato a Roma. Quando ha ripreso la sua attività professionale, suor Serena è stata tre anni all’ospedale S. Orsola di Brescia, tre al Fatebenefratelli di Erba e altri tre al Cottolengo di Torino. Per otto mesi, come dice suor Serena, «sono stata catapultata a Milano», presso la Casa San Giuseppe dove si occupa delle signore del pensionato di via del Caravaggio. Dopo la professione andrà a fare l’infermiera alla Piccola casa del rifugio in zona Famagosta che ospita 360 donne disabili e dove le suore di sant’Antida sono presenti da tanti anni. «Per me significa tornare alle origini – spiega la religiosa -, perché lì avevo iniziato la mia prima esperienza di volontariato».
Ha conosciuto la spiritualità di santa Giovanna Antida Thouret fin da bambina: «Frequentando l’oratorio e le suore è nata la mia vocazione. Ma all’inizio la scelta è stata comunque difficile perché non sapevo dove andare», ammette oggi. «Era l’anno in cui veniva canonizzata suor Agostina Pietrantoni, che era infermiera, e non potevo fare torto alle nostre suore», dice sorridendo.
Con la professione perpetua suor Serena desidera darsi «sempre di più al Signore a servizio dei poveri» perché «servendo i poveri servo il Signore nella quotidianità della vita. Ma quello che mi spinge sempre di più è ridare quell’amore che ho ricevuto da Dio con tutta la mia vita: anima, mente e corpo».
«Ho deciso di consacrarmi non perché pensassi di essere più o meno virtuosa degli altri – dice suor Alice Sacco, che il 3 settembre farà la sua professione perpetua tra le Suore Missionarie di Gesù Redentore -, ma semplicemente perché a un certo punto ho sentito che la vita consacrata mi avrebbe aperto le porte a una molteplicità di incontri e donazioni reciproche, pur nella rinuncia a una naturale soddisfazione di istanze affettive e biologiche». E aggiunge: «La possibilità di accoglienza, elaborazione, espansione del messaggio cristiano è viva anche nella mia vita professionale di medico, la cui attività terapeutica è rivolta ai più bisognosi e sofferenti». Altre sue consorelle si occupano di educazione e di recupero sociale delle adolescenti, ma ciò che accomuna tutte è il carisma di «trasmettere alle sorelle e ai fratelli l’amore di Gesù Cristo».
Anche suor Anastacia Mwilaki Mule (38 anni), originaria del Kenya, pronuncerà il suo «sì» definitivo. «La mia vocazione nelle Ancelle di San Giuseppe – racconta – è iniziata con una semplice accoglienza. Stando contatto con le suore si è risvegliata in me la vocazione che avevo fin da giovane. Durante una settimana di preghiera guidata dal mio padre spirituale e pregando davanti a Gesù eucaristico mi sono resa conto dello sguardo d’amore fissato su di me e mi ritornava alla mente la frase di Pietro a Gesù: “Signore da chi andremo? Tu solo hai parole di vita eterna”. Grazie al confronto con questa Parola ho capito che il Signore mi stava invitando a seguirlo nella famiglia delle Ancelle di San Giuseppe fondata dal monsignor Carlo Sonzini». Suor Anastacia è rimasta colpita «dalla loro accoglienza verso le persone, dalla semplicità e umiltà», ma anche «dalla loro determinazione a essere sante come voleva il nostro fondatore». E conclude: «Con questo desiderio di santità pronuncerò il mio “sì” definitivo al Signore. Sono consapevole della mia fragilità, ma ho fiducia della fedeltà di Dio. Ringrazio il Signore per questa chiamata e con gioia mi dono a Lui per sempre».