Aprirsi all’esperienza dell’affido, addirittura di più affidi contemporanei, non è cosa da supereroi, ma è alla portata di tutti coloro che ne hanno voglia. È questo il nocciolo della testimonianza che Paolo e Irene Beretta porteranno al convegno dello Sportello Anania, quest’anno sul tema “Accoglienza in famiglia, profezia del nostro tempo”.
Paolo e Irene hanno quattro figli, da 18 ai 9 anni. Abitano a Brugherio, nella corte solidale San Damiano, una realtà di vicinato familiare legata al circuito “Comunità e Famiglia”. «Ci diamo la mano a vicenda, come nelle vecchie corti di una volta», spiega Paolo.
Sono diversi anni che i Beretta accolgono in casa loro minori in difficoltà. Dal 2005 si sono aperti anche all’accompagnamento di persone con disagio psichico attraverso il progetto “So-stare con Voi”, promosso da Asl di Monza e cooperativa Novo Millennio. Spiega Paolo: «L’accoglienza è a vari livelli: nella casa della famiglia in modo stabile, o solamente nelle ore diurne o ancora per un certo numero di ore a settimana. Gli accolti sono in genere adulti e hanno tutti alle spalle un’esperienza di disagio psichico. Usciti dalle comunità terapeutiche hanno bisogno di un periodo di passaggio prima di reinserirsi in modo morbido nella loro quotidianità».
Secondo Paolo la chiave del successo dell’iniziativa è la sua perfetta strutturazione: «Il progetto funziona bene perché ad ogni figura è chiesto quel che in grado di fare. A me, che sono un papà, non si domanda di fare lo psicologo, solo di offrire un spazio, fisico e mentale, all’interno della quotidianità della nostra famiglia».
All’inizio l’idea del disagio psichico ha fatto un po’ paura: «Pensavo: e se questo va fuori di testa e dà due sberle a mio figlio?», confessa Paolo. Ma poi l’esperienza ha rassicurato: «In tanti anni -precisa – non è mai successo un episodio spiacevole. Io credo che sia perché chi viene accolto ha bisogno sì di essere amato, ma sente soprattutto l’esigenza di amare».
Per alcuni periodi la famiglia Beretta ha portato avanti in contemporanea un affido tradizionale di minori e l’accoglienza a ex malati psichici. Come non definire eroica questa scelta? «Non è vero – sostiene Paolo -. Io non mi sento affatto speciale, sono uno come tanti. Accogliamo in casa nostra se sentiamo di potercelo permettere e nei modi e tempi che sono consoni alla nostra situazione di famiglia in quel momento. Quando avevamo i bambini piccoli, per esempio, non ce la sentivamo di prenderne un altro, allora ci siamo resi disponibili per il progetto “So-stare”».
E aggiunge: «Sarò brutale, ma come ho sempre detto ai Servizi sociali, la mia famiglia viene prima di tutto. Se vedo che la zattera affonda, a causa delle difficoltà che può generare un affido, io butto a mare prima gli altri». Per questo ogni decisione è concordata insieme e ogni malumore sviscerato: «Ai nostri figli viene chiesto se sono disposti a condividere gli spazi della casa. E se succede che qualcuno degli ospitati si “allarga” un po’ troppo, ne parliamo e cerchiamo di trovare una soluzione». Finora, complice anche un appartamento di una certa metratura, «non ci sono stati mai problemi grossi», conclude Paolo.