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Carissimi amici…

4 Ottobre 2004

Carissimi amici,
vi scrivo per condividere l’esperienza che sto vivendo qui a Sayán.
Devo dire che scrivere di questo mi riesce difficile, le parole non mi sembrano mai quelle giuste, la realtà in cui mi trovo è sempre ricca di novità, pone continui interrogativi, e c’è una comprensione delle persone e della loro vita per la quale il fattore “tempo” è fondamentale, tempo per stare con loro, per ascoltare, per capire, per accettare, per accompagnare.

La parrocchia di Sayán (come tutte le parrocchie della nostra diocesi di Huacho) è molto vasta (2.000 Km2) e popolata (più di 20.000 abitanti), spaziando dalle altezze della sierra alla campagna vicino alla costa dell’Oceano Pacifico.
Quello che accomuna la diversità di persone e ambienti della mia comunità è la povertà. Povertà non è una parola, né un elemento per le statistiche, sono persone che hanno una vita durissima, disumanizzante, e senza futuro.

Anche se qualche miglioramento a livello economico sembra esserci stato, la metà dei peruviani vive in stato di povertà , mentre più della metà del miglioramento economico è andato a favorire i ricchi (sono il 10% della popolazione), un’altra buona parte la classe media, ed ai poveri sono toccate come sempre le briciole.

E’ quindi una povertà che non è frutto della sfortuna o dell’incapacità di alcuni, ma è generata da un sistema che privilegia i pochi che già hanno tutto a spese di chi non conta.
La povertà che marca dolorosamente la vita della mia gente mi colpisce in quello che chiamerei “ insicurezza”.

Sono persone che vivono alla giornata, senza garanzie e nessun tipo di stabilità. Oggi lavori, domani il lavoro dovrai cercartelo, e così ogni giorno.
Oppure stai lavorando, ma il salario (misero) te lo daranno con mesi di ritardo.
Oggi sei sano, domani se ti ammali come farai a curarti?
Oggi mangi, domani non si sa.
Su chi e cosa contare?
Nella messa che ho celebrato oggi abbiamo ascoltato le parole di Gesù “le volpi hanno le loro tane e gli uccelli del cielo i loro nidi, ma il Figlio dell’Uomo non ha dove posare il capo” (Lc 9,58).

Penso a Gesù povero come la mia gente, povero perché vive l’insicurezza dei poveri e dei piccoli e dimenticati.
La domanda allora è: come annunciare il Vangelo ai poveri?
Come dire ai poveri che Dio è il Dio della vita e li ama?

A volte mi chiedono di descrivere una mia “giornata-tipo”, che è come chiedersi “chi è il missionario? cosa fa? cosa dice? dove sta o dove va?”.

Missione è andare – camminare, ed il Vangelo dice che il primo movimento del discepolo missionario è verso Gesù, andare a lui e stare con lui.
La giornata del missionario deve essere fatta di comunione con il Signore oppure è giornata vuota e inutile, fatica che lascia le reti vuote, o annuncio di se stessi, di tradizioni umane, di una morale inevitabilmente ipocrita.

Mi sembra una costante delle giornate di Gesù anche il fatto che entrava “in casa”, e ci stava con i suoi discepoli, o visitava la casa di Zaccheo o del fariseo Simane, mangiava con i peccatori e stava con le folle: nelle sue giornate Gesù creava comunione.

Quando sana gli ammalati o dà il pane a chi ha fame, è per creare un mondo di comunione, dove giustizia significa vita per tutti senza esclusioni.

La giornata del missionario è spendersi per costruire la comunità, un modo nuovo di rapportarsi tra le persone, un nuovo modo di utilizzare i beni, le cose, il tempo. Il missionario passa le sue giornate con la gente creando comunità “cristiana” (alla maniera di Cristo).

E quando Gesù entra nel mondo religioso del suo popolo, fatto anche di leggi, tradizioni e pratiche religiose (di religiosità popolare come quella che si vive fortemente qui in Perù) non rifiuta questo mondo religioso ma lo porta alla sua verità perché riveli il volto di Dio che è quello della tenerezza, della misericordia, il volto di un papà – mamma che vuol bene a tutti i suoi figli.

Qualunque cosa faccia nella sua giornata, il missionario porta la liberazione dalla paura di Dio. L’amore di Dio non si merita, non si compra, neanche con sacrifici e penitenze: è un dono. Ogni momento della giornata dell’evangelizzatore è annuncio di un Dio al quale puoi abbandonarti e che puoi seguire perché ti vuol bene. So che le mie giornate dovrebbero essere così.
Non ci riesco sempre, ma ci provo, contando sulla vostra preghiera e sulla compagnia della vostra amicizia.
Un abbraccio.
don Ezio.