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Intervista

Bressan: «La famiglia è il grande strumento per generare il nostro futuro»

Nel giorno della Festa diocesana, parla il Vicario episcopale per la Cultura, la carità, la missione e l’azione sociale. Di fronte alle polemiche dei giorni scorsi in occasione di un dibattito, ripropone la riflessione e l’impegno della Chiesa ambrosiana

di Pino NARDI

25 Gennaio 2015

«I cristiani vogliono porsi dentro le polemiche in atto e dentro i rischi di riduzione del concetto di famiglia da qualsiasi parte venga, con la prospettiva del Papa "il futuro dell’umanità passa per la famiglia". La famiglia è il grande strumento che ci è stato donato per generare il nostro futuro, che è capace di metterci all’interno della storia attraverso un tessuto di relazioni, che ci permette di appropriarci di quella storia non in un modo oggettivato, cioè attraverso l’intelligenza, ma in un modo totale, esperienziale, attraverso gli affetti, il cuore e poi anche attraverso l’intelligenza. Insomma, in un modo più globale e integrale». Lo sostiene monsignor Luca Bressan, Vicario episcopale per la Cultura, la carità, la missione e l’azione sociale, di fronte alle polemiche dei giorni scorsi in occasione di un dibattito. La riflessione e l’impegno della Chiesa ambrosiana proprio nel giorno della Festa della famiglia.

«Custodire le relazioni» è il tema della Festa della famiglia che si celebra oggi. Qual è l’obiettivo di quest’anno?
«L’obiettivo è quello di ogni anno: sottolineare l’importanza che l’esperienza cristiana ha di rileggere dall’interno tutta la vita cristiana e quindi la dimensione familiare. Quest’anno assume un significato particolare perché si inserisce all’interno di un cammino che tutta la Chiesa sta facendo di due Sinodi, uno straordinario e uno ordinario, che cercano di rileggere i ruoli e la figura della famiglia dentro le trasformazioni sociali e culturali in atto: come essa le vive alla luce del Vangelo; come viene purificata e salvata anche dalle fatiche che affronta e allo stesso tempo quale ruolo ha per annunciare il Vangelo. A partire dall’incontro dello scorso 21 novembre, il cardinale Scola ha sottolineato che la famiglia in quanto tale è soggetto di evangelizzazione: non vuol dire che la famiglia deve essere attirata dentro lo spazio parrocchiale per fare gratis le iniziative pastorali, ma è il contrario, è la Chiesa che deve far vedere come la vita familiare, le sue dimensioni fondamentali, il lavoro, la generazione, l’amore, il prendersi cura dei piccoli, dei malati, tutto questo è il luogo dove cresce la fede. È una sorta di declericalizzazione in atto di cosa vuol dire vivere la fede, anche per aiutare la gente a vedere che essa non è estranea alla vita quotidiana».

Il passaggio da “oggetto” a “soggetto” di evangelizzazione richiede un cammino nelle comunità cristiane…
«Certo, chiede un cammino nelle comunità cristiane, soprattutto ai responsabili, a partire dai preti, a non guardare sempre alla famiglia come a un luogo dove cercare risorse per una pastorale, ma al contrario chiedersi come affiancarsi alle famiglie e aiutarle nel leggere la gioia, l’umanità che producono nella loro vita di ogni giorno, diventando il luogo dove si vive e si annuncia il Vangelo. Obbliga a immaginare che cosa vuol dire che l’esperienza cristiana non è rivolta a singoli in modo astratto, ma a legami a partire da quello familiare. Noi abbiamo davanti persone che non sono semplicemente individui isolati, ma che nella vita hanno già tante trame di relazione, tramite le quali dicono la loro identità. Il Vangelo le intercetta in quello».

Tra le frasi lanciate per questa Festa c’è quella del Cardinale: «La famiglia casa di comunione». Quanto è oggettiva rispetto anche alle difficoltà che si vivono nelle famiglie?
«Penso che la frase vada assunta nella sua accezione realistica: nessuno vuole descrivere un’immagine ideale di famiglia che non esiste più, magari non è mai esistita. La famiglia è casa ancora di comunione nella sua realtà, anche nelle fatiche che si vivono, perché è lì che si impara il dialogo tra le generazioni, tra la differenza di genere, dei sessi. È lì che si impara cos’è la gratuità: non si lavora per guadagnare qualcosa, ma è lì che si impara ad essere riconosciuti, a riconoscere l’altro, ad aprirsi alla realtà più ampia che è il mondo».