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Nigeria

Benedetto XVI: un mantello intriso di sangue

Il martirio di Stefano e l’uccisione di molti cristiani nel Paese africano

di Fabio ZAVATTARO

27 Dicembre 2011

Tante persone vivono in situazioni difficili; tanti cristiani, come al tempo del primo martire Santo Stefano, ancora rischiano la vita, soffrono persecuzioni a causa della fede. Gli attentati a Abuja e in altre città della Nigeria, nel giorno di Natale, sono solo l’ultimo degli esempi. Episodi che accadono anche in questo tempo che celebra la venuta al mondo di un bambino che si è mostrato in tutta la sua debolezza, indigenza; un bambino che è Dio: «E la pace non avrà fine».

Come grani di un rosario, Benedetto XVI fa scorrere i tanti mali che il mondo oggi vive. C’è un’immagine che propone nella notte di Natale: il mantello intriso di sangue. Le parole sono del profeta Isaia e Papa Benedetto le cita per ricordare che il mondo è «continuamente minacciato dalla violenza in molti luoghi e in molteplici modi; in cui ci sono sempre di nuovo bastoni dell’aguzzino e mantelli intrisi di sangue» e stivali rimbombanti dei soldati.

Non è solo festa di luci, il Natale; quella nascita è invito all’umiltà e alla semplicità. Bella anche l’immagine che usa, il Papa, quando chiede di deporre le nostre false certezze e la nostra superbia: dobbiamo «scendere dal cavallo della nostra ragione illuminata». Così come coloro che per entrare nella chiesa della Natività a Betlemme devono «scendere da cavallo» – imperatori e califfi entravano a cavallo – e chinarsi per oltrepassare la piccola apertura, anche l’uomo deve inchinarsi per «andare spiritualmente» per «poter entrare attraverso il portale della fede e incontrare il Dio che è diverso dai nostri pregiudizi e dalle nostre opinioni».

Come non chinarsi, allora, di fronte a uomini e donne che nel mondo vivono le ferite della violenza, della guerra. I grani del rosario di Papa Benedetto ci fanno riflettere a Natale, nel messaggio Urbi et orbi, cioè alla città e al mondo, sulle popolazioni del corno d’Africa che soffrono fame e carestia; sui popoli del sud est asiatico. L’umanità è ferita da «tanti conflitti che ancora insanguinano il pianeta»; così chiede pace, il Papa, per il Medio Oriente; invoca il dialogo tra Israeliani e Palestinesi, e auspica che finiscano le violenze in Siria, «dove tanto sangue è stato già versato».

In quei grani del rosario, ci sono anche l’Iraq, l’Afghanistan, il nord Africa come la regione dei Grandi Laghi e il Sud Sudan. E c’è soprattutto la Nigeria, che nel giorno della nascita del bambino che «ha portato al mondo un messaggio universale di riconciliazione e di pace», ha visto attentati contro chiese in alcune città del paese. Così nel giorno di Santo Stefano, Benedetto XVI «alza gli occhi al cielo» e prega perché «si fermino le mani dei violenti, che seminano morte e nel mondo possano regnare la giustizia e la pace».

La terra, dice ancora il Papa, «continua a essere intrisa di sangue innocente»: la «sincera adesione al Vangelo può richiedere il sacrificio della vita e molti cristiani in varie parti del mondo sono esposti a persecuzione e talvolta al martirio».

È con «profonda tristezza» che il Papa ha appreso la notizia degli attentati, manifestando «sincera e affettuosa vicinanza» alla comunità cristiana e a tutti coloro che sono stati colpiti «da questo assurdo gesto». Non solo preghiera per le vittime, ma anche appello perché «con il concorso delle varie componenti sociali, si ritrovino sicurezza e serenità». Ripetere ancora una volta con forza, Papa Benedetto: «La violenza è una via che conduce solamente al dolore, alla distruzione e alla morte; il rispetto, la riconciliazione e l’amore sono la via per giungere alla pace».

Il grande male, il grande peccato dell’uomo «è la separazione da Dio, l’orgoglio presuntuoso di fare da sé, di mettersi in concorrenza con Dio e sostituirsi a lui nel decidere che cosa è bene e cosa è male, di essere il padrone della vita e della morte».

La vera imitazione di Cristo, afferma ancora il Papa, è l’amore. E proprio l’incontro con l’umiltà di Dio si trasforma in vera gioia. «Umiltà» è la parola chiave, non solo di questo tempo di Natale. Umiltà di saper «guardare al cielo» perché per superare difficoltà e pericoli abbiamo bisogno di una «mano più grande e più forte»; una mano «che Dio ha teso all’umanità per farla uscire dalle sabbie mobili del peccato e metterla in piedi sulla roccia, la salda roccia della sua verità e del suo amore», per costruire un futuro di speranza, più fraterno e solidale. Un futuro dove la pace non sia solo una parola, la violenza un ricordo, e il dialogo sia davvero occasione per crescere tutti insieme, nel rispetto delle diversità.