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Gocce di cultura

Antonio Socci, Lettera a mia figlia

Rizzoli, Milano 2013

di Felice Asnaghi

19 Maggio 2015

Antonio Socci è nato a Siena nel 1959. Ha studiato nella città toscana fino alla laurea in Lettere moderne (precisamente con una testi di Filologia romanza sulla Divina Commedia) nel 1983.
Antonio Socci ha lavorato al settimanale “Il Sabato” fino alla sua chiusura nel 1993 e ha diretto il mensile internazionale “30 Giorni”. Dal 1994 ha lavorato al “Giornale”, collaborando con “Il Foglio” e “Panorama”. Nel 2002 è stato chiamato alla vicedirezione di Rai 2. Ha ideato e condotto il programma Excalibur. Dal 2004 è direttore della Scuola superiore di giornalismo radiotelevisivo di Perugia. Scrive per “Libero”.
 

Quante cose un padre vorrebbe dire ai suoi figli!  Dove la parola non arriva, giunge la penna. “Lettera a mia figlia”, appunto, è il modo con cui Antonio si rivolge a Caterina, la figlia che nel 2009, a causa di un arresto cardiaco entrò in coma e oggi lotta con tutte le sue forze per uscirne. La mano scorre, le dita battono veloci i tasti della keyboard, è un fiume in piena che trasporta ricordi, incontri, letture, pensieri improvvisi, lettere di amici, confidenze di famiglie affrante dal dolore, accorate testimonianze di fede. La moglie Alessandra gli comunica via sms la lettura o il salmo ascoltato durante la messa mattutina, la figlia Maria, entusiasta gli racconta che ha parlato con Cate, e…  ancora e sempre Cate che scoppia in un riso liberatorio e inaspettato ascoltando la madre che legge alcune pagine del Giovane Holden o per l’allegria suscitata dalle amiche che periodicamente la vengono a trovare. Mira, l’amica del cuore, Stefano il ragazzo di Cate, Michelangelo il fratello e poi gli amici del Movimento (sempre scritto con la M maiuscola) e le preghiere di un popolo che attorno a lei si è costituito: CATE C’ È!

Antonio parla con tutti, si mette a disposizione di tutti, con la stessa naturalezza con cui trascrive una lettera di uno sconosciuto (sempre benvenuto) da del tu al papa (prova venerazione per Benedetto XVI), ai vescovi (ma non troppo!), alla veggente di Medjugorie e intrattiene rapporti con associazioni religiose di ogni specie.

Antonio si esprime attraverso i versi di Dante o con le canzoni di Francesco Guccini, inizia il libro con una frase di Fabrizio De André e continua con Italo Calvino, Giacomo Leopardi, Simone Bellucco, Ada Negri, Paul Claudel, Oscar Vladislas Milosz, Gilbert Keith Chesterton e via saltellando tra l’immensità di Sant’Agostino, la semplicità di Pierangelo Bertoli, la santità di don Dolindo Ruotolo e la maestosità di Wolfgang Amadeus Mozart. Si entusiasma leggendo le memorie della mistica Maria Valtorta o raccontando la vita di Santa Caterina che da semplice donna del popolo è divenuta dottora della Chiesa. Si arrabbia per i silenzi di Roberto Saviano, si infervora per la causa dei bambini non nati, dei cristiani perseguitati e “macellati in ogni latitudine”.

Scienza, coscienza e cultura convivono con un carattere irruento, poco diplomatico, facendo del giornalista Antonio Socci “un caso controverso” dell’intellighènzia italiana. Un professionista con una cultura così sterminata, dal cuore immensamente grande potrà mai essere “digerito” da politici, magistrati, giornalisti, vescovi che si accalcano nei talk-show televisivi?

Antonio comprende l’umanità di Gesù di Nazaret, che affascina, folgora «in qualunque stato d’animo o situazione di vita. È lo stupore per la sua compassione, la sua diversità, la sua potenza e la sua bontà. Perché Lui e solo Lui ha la capacità di farci vivere anche la più dura sofferenza senza esserne sopraffatti e anche il potere su ogni cosa, fino al miracolo che sana».

Antonio prega la Madonna, stella del mattino, consolatrice, pietosa e misericordiosa, volge lo sguardo ai viandanti, ai pellegrini che per secoli hanno percorso i sentieri dei grandi santuari europei e lascia spazio alle grandi e piccole esperienze di fede che si sono interfacciate con la vita di Caterina.

Marco e Claudia sono inseriti nel Cammino neocatecumenale, attendono il loro quarto figlio: è down. La nascita di questo figlio è motivo di gioia e letizia per la famiglia.

Caterina per un certo periodo viene ricoverata nella Casa dei risvegli gestita dalle Piccole suore della Sacra Famiglia. Suor Arcangela racconta la storia di questo gruppo di giovani donne missionarie negli ospedali.  Per circa trent’anni (1930-1960) le suore hanno servito l’ospedale Bellaria di Bologna, dove venivano ricoverati gli ammalati di tubercolosi. A quei tempi, benché i posti letto erano 480, i ricoverati arrivavano fino a 600. Pur sapendo del rischio le suore non smisero di accudire ammalati. Ben trentadue suore tra i venticinque e i trentacinque anni contrassero la tubercolosi e morirono. Atti di eroismo completamente sottotaciuti dalle autorità politiche e dalla stampa.

 

Chiara e Enrico, una storia sconvolgente. I due giovani frequentano il Rinnovamento nello Spirito Santo la prima e il Rinnovamento carismatico cattolico il secondo. Si sposano nel 2008 ad Assisi.  La prima gravidanza porta in sé una grave malformazione, ma i due decidono di far nascere Maria ben sapendo che subito dovevano celebrarne il funerale. La seconda gravidanza, per motivi completamente diversi, è segnata da gravi malformazioni. Nasce e muore Davide. Alla terza gravidanza, Francesco è sano, ma Chiara ha un carcinoma e pur di veder nascere il figlio non si cura andando incontro a sicura morte.  Al funerale di Chiara Corbella il cardinale Vallini, vicario del papa, paragonò Chiara a una nuova Gianna Beretta Molla.

Antonio (non mi capita spesso di dare del tu a uno scrittore, ma mi è naturale in questo caso e me ne scuso con l’autore) soffermandosi sul fatto che Chiara “era una ragazza del nostro tempo, concreta, vivace, realistica e ironica” chiude questa vicenda, di una bellezza infinita (La bellezza salverà il mondo, diceva, appunto, Dostoevskij),  con le sapienti parole  della liturgia ambrosiana: “Renderò nota la potenza del mio nome attraverso la letizia dei loro volti”.

 

Giulia un’altra amica di Caterina manda una mail ad Antonio nel quale analizza le opere della scrittrice irlandese Flannery O’Connor trovandovi una certa rassomiglianza con il carattere schietto di Caterina. La stessa scrive: «Molte lune fa ho regalato a Cate il libro Sola a presidiare la fortezza, grandiosa raccolta di lettere della Flannery. Ho passato anni a osservare Cate, affaccendata e silente, convincendomi che mai espressione più vera avevo trovato per raccontare di lei: “Sola a presidiare la fortezza”».

 

Asia Bibi, madre di cinque figli, pakistana. Nel 2009 viene ingiustamente denunciata per blasfemia e sbattuta in galera. Potrebbe uscirne solamente convertendosi all’islam.  Lei rispose al giudice: «Preferisco morire da cristiana che morire da mussulmana. Sono stata condannata perché cristiana. Credo in Dio e perché amo Dio sarò orgogliosa di sacrificare la mia vita per Lui». I media a questo vicenda hanno concesso la minima parte se si confronta con quella dello scrittore Salman Rushdie.

 

Un altro capitolo stupefacente è quello dedicato alla “Cometa” il gruppo di famiglie di Como dedite all’accoglienza dei bambini promossa dai fratelli Figini.

 

Siamo arrivati al termine del libro, l’acqua del fiume sbocca nel mare. «Il mare nasconde continenti inesplorati sotto l’azzurro, a volte un abisso spaventoso (…) ma pure per questo ci attrae. Quello che non sapevo – rammenta Antonio – è quale “legno”, quale barca sia capace di attraversare l’oceano della vita. Lo sto cominciando a capire…». È la croce di Cristo.