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Missioni

Albania, Chiesa giovane
in una cultura differente

«Ci vuole pazienza - afferma don Maurizio Cacciola, “fidei donum” -
ma è affascinante stare qui, è come fare un tuffo indietro nel tempo»

di Francesca LOZITO

3 Gennaio 2014

Don Maurizio Cacciola è “fidei donum” in Albania dal 2009. Vive nel nord del Paese, in cui la tradizione cattolica è più radicata, nonostante 30 anni il comunismo abbiano cancellato e perseguitato qualsiasi confessione religiosa, in nome di un ateismo di Stato che ha portato la gente a professare il proprio credo di nascosto.

«Ci vuole tanta pazienza qui – afferma don Maurizio – perché bisogna entrare in una cultura completamente diversa, molto "turca" (l’Albania è stata dominata dai turchi per 500 anni), quindi molto maschilista, dove l’uomo beve tanto e fa molte chiacchiere, mentre la donna lavora tanto e fa la schiava dell’uomo. Per loro è normale così, per noi no. Il comunismo poi ha portato un egoismo spaventoso: ciascuno doveva escogitare qualunque cosa per sopravvivere, anche essere una spia del regime. Ancora oggi la gente è un po’ così: accogliente, ma tendenzialmente egoista, difficilmente attenta al bisogno dell’altro o attirata da una qualunque idea di comunità. Diversi passi sono stati fatti, ma la strada è ancora lunga».

Il sacerdote ambrosiano racconta ancora che in Albania «la Chiesa oggi è molto giovane, perché è formata, più che altro, da chi non ha vissuto il regime comunista o non se lo ricorda più. Io e gli altri due preti milanesi qui presenti, don Enzo Zago e don Antonio Giovannini, eravamo abituati alla Diocesi di Milano strutturata e piena di attività e iniziative, mentre qui c’è tutto da inventare».

Don Cacciola infine afferma che è comunque «affascinante stare qui, perché è come fare un tuffo indietro nel tempo, dove il prete è ancora una figura di riferimento all’interno del villaggio, dove c’è rispetto e accoglienza, dove c’è sempre un caffè e un bicchiere di raki (grappa) per tutti».