In occasione della sua visita pastorale, l’Arcivescovo di Milano, Mons. Mario Delpini, ha fatto tappa all’Oratorio Sant’Alessandro di Melzo, per una “serata giovani” insieme, di confronto e scambio sulle questioni e le riflessioni percepite come più urgenti e fondamentali. Crescendo nell’amicizia, nel gruppo e nell’appartenenza alla Chiesa, si possono intuire le risposte e come vivere da cristiani, capaci, con il dono dello Spirito di Gesù, di amare in ogni situazione

Letizia Gualdoni
Servizio per i Giovani e l'Università

Visita pastorale Arcivescovo - Decanato di Melzo - Sito

L’Arcivescovo Mario Delpini ha iniziato la sua visita pastorale nel decanato di Melzo partendo proprio dall’incontrare i giovani. L’applauso al suo ingresso nell’ampio salone lo accoglie nella serata di martedì 6 febbraio 2024. Il clima informale della cena a buffet, con i tavoli allestiti con cura, permette subito uno scambio sereno e di amicizia tra i tanti giovani accorsi per “la serata con l’Arcivescovo”, segno della cura di Dio per la nostra Chiesa diocesana.

“Maestro, cosa devo fare?”, il titolo proposto sui foglietti per la preghiera che vengono consegnati a ciascuno: e proprio per introdursi al momento più impegnativo e più atteso del dialogo, si inizia con l’invocazione allo Spirito e la lettura del brano che formula questa domanda, con il “giovane ricco” che porta le sue domande al Signore Gesù.
Cogliendo l’invito della visita al loro decanato, i giovani non hanno improvvisato i loro interrogativi, da porre all’Arcivescovo, ma alcuni di loro si sono trovati, precedentemente (a dicembre e a gennaio), in una sorta di “commissione preparatoria”, per pensare a come poter vivere questo incontro e a come coinvolgere i loro coetanei in questa occasione. In due momenti è nata l’idea di condurre un incontro di preparazione a livello decanale a partire da alcuni spunti provenienti dai giovani che si sono maggiormente coinvolti, testimonianze che gravitavano attorno a quattro temi, scegliendo di vivere un confronto attorno ad uno di essi, per poi pensare e raccogliere con tutti gli altri alcune domande e questioni importanti, che sono maturate e che li provocano in questo momento della loro vita: fede e preghiera, discernimento, inquietudine, divenire adulti e orizzonte di vita.

«Quando ero piccolo andavo a Messa e pregavo senza farmi domande. Crescendo, invece…», confida uno dei giovani seduti attorno all’Arcivescovo, che condividendo i primi interrogativi manifesta una sorta di “conflitto interiore”, che insinua dubbi, spezzando una certa abitudine; tutti gli altri giovani, seduti ai tavoli, ascoltano appuntandosi i passaggi che per la propria vita risuonano in maniera più significativa. Il giovane si chiede: «In che modo la comunità o il gruppo giovani può aiutarmi?». L’Arcivescovo in primis sottolinea con forza l’importanza di porre domande: «Farsi le domande vuol dire che sto diventando me stesso. Fate domande tra di voi, il gruppo di amici aiuta la confidenza (credo, a partire dalla mia esperienza, che quel rapporto di reciproco affetto aiuta a diventare migliori, non solo uno star bene insieme, ma ci eleva). Le domande sono legittime, non censuratele. Altra cosa: mi sembra sia giusto pensare all’alternativa, sono sempre andato in chiesa, ho sempre pregato… ma quando mi vengono i dubbi: se non pregassi, se non parlassi con Gesù, se non credessi che Gesù è risorto, è vivo, come sarebbe la mia vita?».

«Sento che al mio modo di vivere la fede manca qualcosa, vivo la mia fede in base al sentimento, qual è il modo giusto per pregare?», prosegue un altro giovane. «Il rito, ciò che distingue un giorno da un altro, – gli risponde l’Arcivescovo – ha bisogno di una comunità che lo celebra e l’appartenenza al gruppo, parte dell’appartenenza alla Chiesa, è necessaria. La ripetizione può essere la noia di un’inerzia o può essere l’appuntamento di un amore. Avere buone abitudini rende più facile fare quello che desideriamo fare».

Per riconoscere l’agire di Dio e scegliere di seguirlo, altre riflessioni pongono l’accento sul discernimento: «Come possiamo ricercare la bellezza nelle piccole cose, dopo la Bellezza vissuta alla GMG? Come vedere Dio in ogni istante? È difficile cogliere la sua presenza nella frenesia… La mia vita come può essere una risposta del suo amore per me, con la mia storia, i miei limiti e la mia piccolezza? Come si può cambiare sguardo se si ha una “vista annebbiata”? Come accogliere l’inquietudine che si presenta a volte nella vita, come qualcosa di positivo, che ci rimette in discussione? Quando le mie certezze cadono, dov’è Dio? Come può aiutarmi effettivamente? Abbiamo voglia di essere santi?». «La santità cristiana – afferma l’Arcivescovo – è l’esperienza di essere amati e di essere capaci di amare. Il nostro Dio Padre vuole che noi siamo felici. Come si fa a essere felici? Prima di tutto avere non solo la convinzione ma la persuasione, l’esperienza, di essere amati per quello che si è, non perché meritato… e questo amore mi rende capace di amare, voler bene, dedicarsi al bene degli altri». Per rispondere a che tipo di aiuto può darmi Dio, per sostenere il peso e l’angoscia, cita il brano “La Notte” di Elie Wiesel, cifra del male assoluto di Auschwitz: «Dietro di me sentii il solito uomo domandare: Dov’è Dio. E io sentivo in me una voce che gli rispondeva: Dov’è? Eccolo: è appeso lì, a quella forca». «Dio è sulla croce – dice l’Arcivescovo – non come l’idea di uno che mette a posto le cose, di un Dio fantastico che prego per i “casini” che ho. Condivide la mia storia… Come mi aiuta? Come fa ad aiutarmi se è un “fallito”, un crocifisso? Dalla morte di Gesù ci dona lo Spirito di Gesù perché abiti nei nostri cuori: siamo tempio dello Spirito Santo che ci rende capaci di amare in ogni situazione. Sulla bellezza… nel famoso testo di Dostoevskij si afferma “La bellezza salverà il mondo”. Ma quale bellezza? Cos’è la bellezza? Ho capito che c’è la bellezza della seduzione (che fa sì che una persona o una cosa divenga attrattiva, con il desiderio di possederla) e una bellezza che induce all’amore, alla dedicazione». Per cambiare sguardo, e guardare oltre la nebbia, richiama l’episodio dei due discepoli di Emmaus, con Gesù che si avvicina e li accompagna, fin quando lo riconoscono: «Per volersi prendere cura degli sguardi annebbiati, del modo di guardare gli altri, bisogna andare a Messa, per imparare a vedere il pane spezzato come corpo di Cristo».

Divenire adulti non è semplice: richiede il confronto tra un aspetto più “pratico” e uno più spirituale, in tensione fra il “compromesso” che una vita chiede e il desiderio vocazionale che dall’altra parte chiede di non accontentarsi. Su questa tema un altro giovane esprime il suo pensiero: «Dove si incontrano il desiderio che ho nel cuore e la volontà di Dio per la mia vita ed il mondo?». Gli risponde l’Arcivescovo: «Tutti siamo chiamati a vivere da cristiani qualunque cosa facciamo. Se vuoi mettere a frutto i tuoi talenti per metterli a servizio, se vivi la tua vita come una dedizione… Fai quello che ti piace, ma è importante la conversione, che tu viva quello che fai come vocazione. Come strumenti che possono aiutare a comprendere la propria strada, per vivere da cristiano quello che mi piace, suggerisco tre punti fondamentali: la preghiera (il dialogo con Gesù vivo, non come una ripetizione di qualche formula ma come il dialogo con un amico, per ascoltarlo occorre un po’ di silenzio), avere un interlocutore di fiducia, affidabile (con cui parlarne e confrontarmi), conoscere se stessi (nelle mie doti, limiti, tentazioni; l’amicizia è un aiuto a conoscere se stessi)».

E ancora, condividono altri giovani: «Come si arriva a scegliere qualcosa per la vita, sempre? Come vivere l’inquietudine (come sete dei desideri più profondi) e il fallimento?». «È una cosa intrinseca all’amore di essere fedele, fa parte della verità dell’amore la definitività, fa parte dell’amore vero la dedicazione per sempre – chiarisce l’Arcivescovo -. Oggi sembra un’imprudenza, una mortificazione della propria libertà, segno della fragilità dei rapporti che rende dolorosa l’esitazione di fronte a una definitività. Dobbiamo guarire la mancanza di stima di sé (pur nelle fragilità Dio ci dona il suo Spirito per amare sempre, abbiamo buone ragioni per aver stima di noi stessi) ed è necessario un cammino di fede, per diventare adulti consapevoli che siano capaci di amare».

Prima della conclusione con la recita della Compieta, nella cappellina, l’Arcivescovo ancora invita a leggere, con i propri interrogativi del cuore, il Vangelo, dove le domande serie su di sé trovano, insieme a un percorso e un’amicizia che cresce, risposta.

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