In occasione della visita pastorale alla Città di Milano, l’Arcivescovo ha incontrato i giovani del Decanato di Città Studi-Lambrate-Venezia e si è confrontato con loro sulle gioie e le difficoltà dell’essere cristiani oggi.

Katia Castellazzi
Servizio per i Giovani e l'Università

Cattura

In occasione della Visita pastorale alla Città di Milano l’Arcivescovo, Sua Ecc.za Mons. Mario Delpini, ha visitato il Decanato di Città Studi-Lambrate-Venezia, dove il 3 febbraio ha incontrato, presso l’oratorio san Carlo, un nutrito gruppo di giovani dai 18 ai 30 anni, impegnati nelle loro realtà parrocchiali e, in alcuni casi, membri di aggregazioni cristiane. Dopo la preghiera, una breve presentazione della realtà locale e della neonata Regia giovani, si è entrati nel vivo della serata attraverso le domande dei presenti.

La prima giovane a prendere la parola è stata Liliana, che ha chiesto: «Come si può essere cristiani se non si ha fiducia nella Chiesa, istituzione poco coinvolgente?». Mons. Delpini si è detto “sfidato” da una questione del genere; tuttavia, ha anche richiamato i giovani a una visione più fiduciosa delle gerarchie ecclesiastiche, in quanto «non c’è nessuna istituzione che si cura di più dei giovani con la gratuità e il servizio della Chiesa» e li ha invitati a riflettere su cosa concretamente la propria realtà parrocchiale fa per gli emarginati, per i giovani, per i fedeli. L’Arcivescovo ha poi ribaltato la situazione, portando l’attenzione sui quei giovani che sembrano affetti dalla «“sindrome del parcheggio” […], dalla logica del “tiremm innanz”» ovvero coloro che stanno ai margini, non vogliono essere disturbati e nemmeno prendere decisioni. E per questo si è detto estremamente «affascinato dalle nascenti realtà locali come Regia giovani presentata questa sera», perché dimostra come i giovani si ribellino al generale contesto nichilista odierno. Infine, Mons. Delpini ha ricordato ai presenti che la Chiesa «ha fiducia in voi, vi disturba, ma crede in voi […]; vi affida la ricostruzione degli oratori e di se stessa […]; vi indica la meta e cammina al vostro fianco per raggiungerla».

Ha preso poi la parola Annalisa, che ha chiesto: «Si è meno cristiani se non si va a Messa e non si prega regolarmente o se si ha difficoltà nel farlo? Come ritrovare l’entusiasmo?» L’Arcivescovo ha ricordato ai giovani che spesso la fatica di essere cristiani nasce dallo scambiare la nostra fede con l’etica, o peggio, con il moralismo: «essere cristiani è un ardore […], è un incontro con il fuoco (Gesù), che ci rende fuoco (figli di Dio); non deriva da un volontarismo o da un imperativo morale (devo…, devo…, devo…)». L’essere cristiani, dunque, non è uno stilare classifiche e puntare il dito; ma farsi contagiare dallo Spirito Santo: «per questo io prego – ha detto Mons. Delpini -; per me l’andare a Messa è tenere vivo questo fuoco». E poi ha aggiunto: «Non basta la passione perché tutto vada bene e la libertà non consiste in un arbitraria scelta fra bene e male. Le regole servono per tracciare la strada verso la meta (la vita eterna) e la libertà è scegliere se percorrere o meno quel percorso». L’Arcivescovo ha riflettuto quindi sul fatto che i cristiani appaiano oggi in Lombardia un po’ «complessati, intenti a nascondere la loro fede come se fosse un complesso di inferiorità, qualcosa di cui vergognarsi» e ha invitato tutti a dire «no a tutto questo: noi facciamo queste cose [pregare, andare a Messa…] perché ci rendono vivi». L’entusiasmo non va mai perso: da adulti, infatti, bisogna custodire la capacità di stupirsi, di vedere l’opera di Dio nella storia, di guardare a Milano, alla propria città e vederci la bellezza, lo stupore della vita.

Daria, invece, è entrata nell’ambito personale, chiedendo all’Arcivescovo: «Com’era la sua fede da giovane? Quali sono oggi le sue fatiche? Dove trova parole rassicuranti e promettenti?» Mons. Delpini ha aperto il suo cuore raccontando che la sua fede era una «sete di conoscenza» e l’ha paragonata a una stella capace di rischiarare il buio della notte. La sua più grande fatica, invece, è «trovarsi di fronte alla mancanza di gioia dei cristiani»: una tristezza immotivata, dato che «le Chiese locali fanno così tanto: oratori, centri di ascolto, distribuzione del cibo, servizio trasporti, dopo-scuola». Quando viene preso da questo momentaneo sconforto, l’Arcivescovo ha confidato di trovare parole promettenti e rassicuranti leggendo il Vangelo «con la certezza che Gesù è mio amico, mi parla e vuole che io sia felice: “Vi ho detto queste cose perché la mia gioia sia in voi e la vostra gioia sia piena” (Gv 15,11)».

Chiara ha concluso chiedendo: «Cosa aspettarsi dalla Chiesa del futuro? Come la Chiesa affronta le sfide del XXI secolo?». L’Arcivescovo ha rilanciato ricordando che la Chiesa non è il monolite che può apparire: «è mutata; i chierici sono figli del loro tempo: a volte in ritardo, a volte in anticipo»; inoltre non c’è solo la Chiesa occidentale, strutturata e millenaria; esistono anche Chiese più giovani e minacciate in altri luoghi del globo, che sono ben lontane dall’immagine di staticità che spesso si associa a questa istituzione. Infine, Mons. Delpini ha sottolineato che per quanto la Chiesa necessiti di adattarsi ai tempi è fondamentale che «conservi il suo fuoco, il Vangelo, che è la sua ragion d’essere, anche quando è proprio questo ad apparire anacronistico».

La serata si è conclusa con la preghiera, la benedizione da parte dell’Arcivescovo, che ha invitato i giovani «tenere vivo il fuoco del Vangelo», e un momento di convivialità vissuto all’aperto, consumando del panettone in onore di San Biagio e nel rispetto delle norme anti-Covid.

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