Messico 1970. Esordisce l’Africa, rappresentata dal Marocco. Rinuncia ancora l’Argentina e si fa avanti il Messico. Il primo Mondiale “televisivo” porta nelle case degli italiani le gesta della nazionale di Valcareggi, fresca campione d’Europa. Il Ct inventa la staffetta Mazzola-Rivera, fortunata cammin facendo e disgraziata il giorno dell’epilogo. L’Italia gioca una pessima prima fase ed esplode a partire dai quarti di finale, quando supera il Messico (4-1). Nella leggendaria semifinale dell’Azteca gli azzurri schiantano la stoica Germania (che ha eliminato l’Inghilterra rimontandola da 0-2 a 3-2) con un 4-3 da ricordare in eterno. Per la finale siamo cotti, spremuti, appagati. Facciamo argine per un tempo, poi crolliamo di fronte al grandissimo Brasile dell’ultimo Pelé. Rivera, match-winner appena quattro giorni prima, osteggiato dal clan interista, gioca solo gli ultimi sei minuti: si scatenano le polemiche. Il piazzamento è sensazionale, ma al ritorno non mancano i soliti pomodori ingrati.
Germania 1974. L’Olanda rivoluziona il football moderno col suo “calcio totale”, interpretato da una straordinaria generazione di campioni. I tulipani dominano la scena, ma appassiscono proprio sul più bello, al momento di incassare il meritato alloro. L’Italia arriva in Germania imbattuta da due anni: parte favorita, però annega nei suoi stessi limiti. Il gruppo “messicano” è al capolinea, usurato dal tempo e dalle invidie intestine. Ci elimina la miglior Polonia di sempre, mentre Chinaglia manda platealmente a quel paese il Ct e gli altri azzurri inciampano nelle primule. Nel girone iniziale si gioca l’unico, storico derby tra le due Germanie: ad Amburgo la Ddr vince 1-0 con un gol di Sparwasser, che qualche tempo dopo scapperà a Ovest. L’Olanda strapazza tutti e in finale contro i tedeschi occidentali parte a razzo: nasconde la palla, Cruijff guadagna un rigore dopo una manciata di secondi e Neeskens trasforma. Come a Berna ’54, i panzer mantengono la calma e colpiscono a tempo e luogo, ribaltando tutto con un altro rigore (Breitner) e un capolavoro del bomber tascabile Gerd Müller. Nel secondo tempo gli arancioni stringono d’assedio la porta del grande Maier, sbattendo contro la barriera teutonica, impersonata dal kaiser Beckenbauer.
Argentina 1978. Stavolta l’Argentina tiene fede alle promesse e ospita la manifestazione. Dal ’76, però, a Buenos Aires regnano i militari. La tragedia dei desaparecidos interroga le coscienze: c’è chi sponsorizza il boicottaggio, ma alla fine si gioca regolarmente. Nessuno sa che vicino agli stadi si consumano le torture nei centri di detenzione illegali. Laggiù è inverno: del clima fresco si giova la poco reclamizzata nazionale di Bearzot, partita tra lo scetticismo generale. Inserito di proposito nel girone dei padroni di casa (gli organizzatori sognano una romantica finale Italia-Argentina), l’undici azzurro, imperniato sul blocco juventino, mostra il miglior calcio: chiude a punteggio pieno e mette in vetrina cabeza blanca Bettega e gli esordienti Rossi e Cabrini. Nel girone del secondo turno l’Italia comincia a balbettare: la gara con l’Olanda è decisiva. Brandts, pressato da Bettega, commette autogol; poi Bearzot toglie Causio per averlo fresco in finale e i tulipani, approfittando delle incerte diottrie di Zoff, ci beffano con due tiri da lontano. Arriviamo quarti, perdendo in rimonta anche la finalina col Brasile. Nell’altro girone l’Argentina fa schiumare di rabbia i cugini carioca: la banda Menotti aggiusta la differenza reti rifilando sei gol all’accondiscendente Perù, il cui pittoresco portiere Quiroga, nato a Rosario, è mezzo argentino. In finale il nostro Gonella permette ai fabbri argentini ogni sorta di legnate sui poveri, ma orgogliosi oranje, che vanno sotto, pareggiano al 12’ dal termine, mancano l’appuntamento con la storia (clamoroso palo di Rensenbrink all’ultimo minuto: una vera maledizione) e infine soccombono ai supplementari. Se ne vanno prima della premiazione, per non stringere la mano al famigerato generale Videla.
Spagna 1982. La prima edizione a 24 squadre celebra il miracolo di una vittoria incredibile, frutto di una metamorfosi per molti versi inspiegabile. L’Italia è un brutto anatroccolo a Vigo, dove ottiene tre poverissimi pareggi tra feroci polemiche che suggeriscono il silenzio stampa; diventa uno splendido cigno a Barcellona, dove decolla rispedendo al mittente gli argentini, campioni uscenti, e i brasiliani, predestinati a diventarlo. Rossi, reduce da due anni di squalifica per il “totonero”, sente aria di Mundial e rinasce: è capocannoniere con 6 gol, tre al Brasile, due alla Polonia, uno alla Germania. Zoff dimentica le critiche argentine ed è campione a 40 anni, il 18enne Bergomi esordisce con la sicurezza di un veterano. Altro in pillole: la Germania trova la sua Corea (l’Algeria, poi eliminata da una disgustosa combine tra tedeschi e austriaci); in Inghilterra-Francia l’inglese Bryan Robson va a segno a 25 secondi dal fischio d’inizio; in Francia-Kuwait (4-1) lo sceicco arabo (che morirà nel ’90 durante l’invasione irachena) scende in campo a protestare, minacciando il ritiro della squadra e ottenendo l’annullamento di un gol dei transalpini (l’arbitro sovietico verrà radiato seduta stante dalla Fifa); l’Ungheria infligge il punteggio record di 10-1 ai salvadoregni; in un’epica semifinale la spumeggiante e sprovveduta Francia si fa rimontare due gol dalla Germania e perde ai rigori.
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