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Quella sana ironia del “Guerin”

Compie cent’anni il popolare settimanale, capofila di uno stile “romantico” di raccontare lo sport

di Leo GABBI

17 Gennaio 2012

È stato per molti una scuola, per altri un punto di riferimento insostituibile nel panorama calcistico nazionale. Per l’appassionato di calcio, ma anche per l’addetto ai lavori o giornalista, il Guerin Sportivo, che in questi giorni compie cent’anni, è stato fedele compagno di viaggi di mille avventure. Con la Gazzetta dello Sport rappresenta, per milioni di lettori, uno strumento di piacere o di lavoro, da cui per anni, soprattutto quelli che vanno dal 1960 al 1990, non si poteva prescindere. Per l’accuratezza delle sue analisi, per la firma dei suoi giornalisti, per l’equilibrio delle sue disamine, per gli aspetti oltre che tecnici, anche umani che accompagnavano il mondo del pallone e non solo.

Oggi, nell’era di Internet e della pay-tv che t’informa no-stop sull’andamento del calcio 24 ore al giorno, questo aspetto romantico che il Guerin Sportivo proponeva può sembrare vintage, eppure è un patrimonio che rischiamo di perdere a causa di un’informazione onnivora, ma meno umana. Invece il Guerino, che nacque nella Torino d’inizio Novecento, ma che poi si trasferì nella Bologna dotta e competente che “tremare il mondo fa”, ha sempre avuto i connotati di una disarmante ironia, condita da un modo completamente libero di valutare eventi e personaggi, senza i condizionamenti che invece hanno spesso “contaminato” altre testate.

Essendo una palestra libera, tutti i grandi polemisti di ogni epoca vi hanno trovato naturale rifugio, così da formare nel lettore quella coscienza critica fondamentale per distaccarsi dalla faziosità. Così su certi Guerini d’epoca era facile trovare campioni del giornalismo anche non sportivo, come Indro Montanelli o Camilla Cederna, Oreste Del Buono e Stefano Benni, tanto per fare qualche nome. Poi il gotha della professione a cominciare naturalmente da Giuàn Brera, fino al suo allievo più illuminato, Gianni Mura, passando dallo storico direttore Italo Cucci, che impersona la competenza garbata, mai prevaricatrice anche sugli argomenti più spinosi.

Uno stile unico, sottolineato dall’interessamento di personaggi insospettabili come Papa Paolo VI, che da lettore ne sottolineava l’ironia spiegando come il Guerin Sportivo fosse «come Giovenale, che castigat ridendo mores». Per decenni si guardava al Guerino come laboratorio di idee, fucina di provocazioni, in cui prima della tv venivano disegnate le moviole delle azioni incriminate, mentre il conte Carlo Rognoni, ben prima della saga biscardiana, inaugurava il suo processo al calcio.

Grandi battaglie ideali ricordava in un bell’articolo giorni fa La Stampa, ma, nel Guerino, «anche tanto sarcasmo e curiosità», oltre che un rapporto costante con i lettori. Brera, il direttore più famoso, con la sua rubrica di posta “l’Arcimatto”, e un intellettuale grande e “disorganico” come Bianciardi, per anni sul Guerino hanno dialogato con il pubblico mescolando sport e società, Helenio Herrera e Garibaldi, Concetto Lo Bello e «l’immortalità dell’anima».

Oggi l’influsso del Guerino sul palazzo del calcio si fa meno sentire e ce ne siamo accorti: è tutto una congiura, uno scandalo, una polemica giocata solo per interessi economici, mentre anche il tifoso risente di questo clima avvelenato. Come sarebbe bello che lo sport, e il calcio in primis, tornasse ai suoi antichi valori, senza arrendersi incondizionatamente alle lusinghe di pay-tv, sponsor e show business: forse chiediamo troppo, basterebbe riuscisse ancora a farci sognare.