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“Rush”

Quando la Formula Uno
era un altro mondo

Lauda e Hunt: due personalità agli antipodi che si scontrano sulla pista.
Il film di Ron Howard esalta il valore della vita nello sport

di Paola DALLA TORRE

30 Settembre 2013
RUSH

Negli anni Settanta la Formula Uno era diversa da quella a cui siamo oggi abituati. Le macchine erano più rudimentali e meno tecnologiche, più livellate l’una con l’altra, le piste molto più pericolose, le norme di sicurezza quasi inesistenti e, infatti, proprio in quegli anni si registrò il più alto numero di piloti morti per incidenti. Era un altro mondo, dunque, in cui contava realmente la capacità di ogni singolo pilota nel guidare la sua autovettura, mentre ingaggiava una lotta non solo contro gli avversari per vincere ma anche contro il pericolo della velocità forsennata che, troppo spesso, portava alla morte.

Si capisce che una realtà di questo tipo, fatta di velocità, pericolo, azione, eroismo, sia una materia molto affascinate da raccontare, soprattutto al cinema. Non a caso Ron Howard, uno dei registi più solidi del cinema americano contemporaneo, ha scelto di portare sullo schermo proprio una storia ambientata nel mondo delle corse automobilistiche degli anni Settanta e come protagonisti della sua vicenda due grandi “eroi” di quegli anni: Niki Lauda e James Hunt, piloti rivali che accesero il tifo degli sportivi in quegli anni.

“Rush” racconta, infatti, la lotta per il titolo nel campionato del mondo di automobilismo fra questi due sportivi: Lauda, austriaco, taciturno, solitario, scostante e scontroso, ma dalla disciplina ferrea e in grado di progettare anche modifiche alla propria autovettura per renderla migliore; Hunt, inglese, bello, affascinante, donnaiolo, perso tra feste, alcool e droghe, alla ricerca dell’ebrezza della velocità e della vittoria. Due personalità agli antipodi che si scontrano sulla pista, dando vita ad un duello entusiasmante nel 1976, anno ricordato anche per il terribile incidente occorso proprio a Lauda, che lo tenne fuori dal circuito per quasi un mese, completamente ustionato in viso e nei polmoni.

Howard è molto bravo nel raccontare la storia, dosando equamente scene della vita privata dei due protagonisti, perfettamente in grado di disegnare le psicologie dei due, e scene d’azione delle corse automobilistiche, con un’ottima ricostruzione ambientale. Ma più che sulle corse, sebbene la suspence di sapere chi vincerà tra i due regge fino alla fine (anche se in realtà il risultato è già conosciuto perché appartiene alla storia passata), perché la pellicola è costruita con un ottimo crescendo di tensione, il film si concentra sullo scontro-incontro dei due protagonisti (che nonostante la rivalità saranno amici) e sulla loro lotta contro la paura della morte. Perché veramente a quei tempi salire su una macchina da corsa significava rischiare molto, a volte troppo. Non a caso Lauda deciderà di fermarsi nell’ultimo Gran Premio della stagione, quello fondamentale per assegnare il titolo, convinto che non ci fossero condizioni adeguate per rimanere in pista, mentre Hunt rimarrà e vincerà, così, il titolo. Ma nonostante la vittoria sportiva, il film mostra molto bene come il vincitore morale della storia sia Lauda, capace di scegliere la vita, piuttosto che tuffarsi verso la morte incoscientemente.

Non a caso James Hunt vinse solo quel campionato del mondo, si ritirò presto dal mondo delle corse e morì giovane prima dei cinquant’anni. Lauda è ancora vivo, ha vinto altri campionati del mondo ed è felicemente sposato e con famiglia. Howard, dunque, nel solco del grande cinema hollywoodiano, ci racconta una storia morale, con un’etica di fondo, in cui a dominare non è il pensiero e l’atteggiamento nichilista, bensì quello positivo, costruttivo ed ottimista.