All’indigestione siamo ormai abituati da un pezzo: il calcio a ogni ora del giorno e della notte è diventato sempre più invasivo, sempre meno rispettoso dei ritmi e dei riti di una comunità. Ora però il tormentone che avanza diventa una sorta di eterna partita giocata davanti ai riflettori: una stucchevole serie di 34 puntate disputate peraltro a temperature proibitive, quando ormai il gelo avanza e i tifosi, già anestetizzati dall’offerta pay per view, fanno fatica a reggere l’urto.
Ma lo spettacolo deve andare avanti, anche con il rischio di diventare una sfida perenne al meteo: da metà novembre fino a Natale, tra Serie A e B, Champions ed Europa League, oltre alla Coppa Italia, il calcio italiano sta vivendo una saga che alza notevolmente il già alto livello di saturazione e a cui avremmo fatto volentieri a meno.
Fino alla serata prenatalizia del 21 dicembre – con il recupero della prima giornata di Serie A, saltata a fine agosto per lo sciopero dei calciatori – i match programmati sono in totale 125, quasi tutti in diretta televisiva. Un’abbuffata senza precedenti. Ma non si era detto di voler tutelare gli sportivi (dal freddo) e gli atleti (dall’usura legata ai campi semi-impraticabili del profondo inverno)? Il paradosso è che, infischiandosene dei tanti proclami e delle numerose promesse del passato, la nostra Serie A giocherà più partite sotto i riflettori che con la luce naturale, in uno dei periodi meteorologicamente più a rischio.
La Stampa di Torino lo ha calcolato: ben il 62% delle gare (39 match) di questo periodo inizierà tra le 18 e le 20.45, contro le sole 23 che si disputeranno tra le 12.30 e le 15. Ormai il miraggio di un incasso “via etere” viene prima di tutto: non fa niente se poi si gioca davanti a spalti semideserti, non fa niente se poi, con i terreni ai limiti della praticabilità, traumi causati dal freddo e infortuni muscolari siano sempre dietro l’angolo. Il palazzo del calcio continua, quindi, a propinarci il suo atteggiamento schizofrenico: da un lato, evidenzia, infatti, preoccupazione nel constatare come il pallone sia ormai in ostaggio delle tv; poi però cede senza colpo ferire alle richieste delle dirette televisive, rendendosi in pratica complice della graduale “desertificazione” negli stadi.
Per una volta anche i giornali hanno cominciato a far partire l’allarme su questa deriva sempre più sciagurata. La Stampa (“Il calcio fa affari al buio”) ha spiegato come due partite su tre di Serie A saranno giocate sotto i riflettori, con due rischi: meno pubblico allo stadio e più infortuni. La Repubblica invece titola “Folle maratona del calcio fino a Natale”: televisioni padrone, preparatori in allerta, giocatori preoccupati per notturne, infortuni e campi ghiacciati. La Gazzetta dello Sport, oltre all’editoriale di Franco Arturi (“Spread da stadio”) nel quale si evidenza il rischio “inflazione”, apre un forum sul tema, mentre anche le televisioni s’interrogano su un fenomeno che potrebbe ulteriormente svuotare gli stadi a vantaggio delle tv.
Il dibattito è aperto, anche se purtroppo la giostra è già in movimento e chi doveva decidersi (ed eventualmente opporsi) ha già fatto la sua scelta.