Il triste elenco di incidenti mortali che nella storia del motociclismo hanno preceduto la tragedia di Marco Simoncelli – caduto con la sua Honda e travolto dai bolidi di Colin Edwards e Valentino Rossi che lo seguivano, al secondo giro del Gran premio di Malesia disputatosi ieri per il Mondiale della Moto Gp – negli ultimi anni si fa decisamente più scarno. A testimonianza dei notevoli progressi introdotti nel campo della sicurezza. Sono stati eliminati dal calendario delle competizioni – o radicalmente trasformati – circuiti ritenuti troppo pericolosi. Si è intervenuti sui mezzi, sulle tute dei piloti (integrate da numerosi elementi di protezione), su tempi e modi del soccorso in pista. Però Simoncelli è morto, e ci si chiede il perché.
Gli esperti hanno sviscerato tutte le possibili cause. Si è parlato delle gomme, lente a entrare “in temperatura” e quindi a garantire la necessaria aderenza. O del controllo elettronico della trazione, che in teoria aiuta il pilota a mantenere in pista la moto, ma che nel caso di Simoncelli – impedendogli una “logica” scivolata verso l’esterno – l’ha riportato nella traiettoria corretta, condannandolo allo scontro fatale. Oppure, ancora, del collo dei piloti, parte del corpo insufficientemente tutelata dai potenziali traumi.
Si può ipotizzare tutto e il contrario di tutto, insomma. Quel che è certo è il fattore di rischio insito negli sport motoristici. Soprattutto all’inizio di un Gran premio, quando i piloti scorrono in fila indiana formando il cosiddetto “trenino”, se uno cade, quanto è capitato a Simoncelli è purtroppo più che possibile. Inoltre, rispetto ai piloti di Formula 1 – altro mondo in cui la sicurezza ha obiettivamente compiuto passi da gigante -, i centauri sono decisamente più vulnerabili, esposti come sono agli impatti senza una carrozzeria che li protegga. Se poi, come a Sepang, tutte le peggiori circostanze ipotizzabili si concretizzano, è inevitabile pensare alla fatalità. .
Questo non vuol dire far finta di niente. Il primo omaggio che si può fare a chi muore a 24 anni come “Sic” è quello di continuare a impegnarsi per far sì che quel margine di fatalità continui a ridursi. Eliminarlo non è possibile. E i piloti sono i primi a saperlo.