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Sirio 09 - 15 dicembre 2024
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Storia

La pandemia del Coronavirus e la paura

Più volte, dall’anno Mille in poi, le popolazioni sono state colpite da violente pandemie, fra paura, ansie, angosce, enormi difficoltà.

di Maria Luisa Menozzi Cantele

4 Gennaio 2021

Più volte, dall’anno 1000 in poi, le popolazioni sono state colpite da violente pandemie che le popolazioni sono state costrette ad affrontare con paura, ansie, angosce, enormi difficoltà.

Le carestie precedettero le pandemie con la mancanza e il bisogno fondamentale di pane, indebolendo le popolazioni.

L’Ospedale di Santa Maria alla Scala di Siena soccorreva i poveri, i bisognosi, gli affamati, accoglieva i bambini e soprattutto distribuiva il pane come documenta l’affresco di Domenico di Bortolo del 1443 nel pellegrinaio dell’Ospedale di Siena.

Nel 1323 le popolazioni dei paesi europei furono colpite da una memorabile carestia durata ben cinque anni di cui vi è traccia nel racconto di Rodolfo il Glabro.

Manzoni con grande efficacia descrive l’assalto ai forni per ottenere un poco di farina.

La peste e la lebbra
In occasione dell’epidemia di peste nel 1325, si ritenne che i fiorentini, assediata Altopascio, avessero catapultato dentro la città sterco e putredine cosicché gli abitanti si ammalarono e, nel 1348, la peste si diffuse ovunque; in Crimea con l’assedio di Caffa, vennero catapultati addirittura cadaveri nella città assediata.

Caterina Sforza, Signora di Forlì, nel 1499, quando il piccolo Ludovico, il futuro Giovanni dalle Bande Nere, fu colpito di una forte febbre e scoppiò un’epidemia di peste bubbonica, subito corse ai ripari, chiudendo la città, per evitare il contagio e circoscrivere l’epidemia. Fece allontanare gli ammalati dalle famiglie e li ricoverò nei lazzaretti, posti fuori dalle mura della città. Chiamò di fuori i monatti, perché si occupassero del trasporto dei malati e delle sepolture. Anche a Milano nel 1630, quando scoppiò la peste di cui parla il Manzoni ne I promessi sposi, gli ammalati venivano isolati nel lazzaretto, la grande costruzione quadrata fuori della città, dai portici aperti, su un esteso spazio centrale, per evitare i contagi e contenere l’epidemia.

La peste bubbonica si manifestava con escrescenze sull’epidermide, si trasformava in peste setticemica quando il bacillo si diffondeva in tutto l’organismo; la peste polmonare si diffondeva attraverso le gocce di saliva come oggi con il Covid-19 e doveva essere assolutamente evitato il contagio.

Chi poteva, fuggiva dalle città colpite allontanandosi sulle colline come racconta Boccaccio nelle sue novelle (peste di Firenze del 1348).

I topi sono stati sempre terribili diffusori della peste. Camus ha mirabilmente illustrato come questi roditori, invadendo la città, fossero responsabili della peste. La rapida diffusione della malattia e il suo esito letale portavano all’angoscia e alla disperazione chi ne era colpito. San Sebastiano, effigiato colpito dalle frecce come quelle della peste, divenne con San Rocco, che mostra il bubbone sulla gamba scoperta, il santo protettore dalla malattia.

Durante le epidemie si trascurava di accompagnare i morti alla sepoltura, come purtroppo è accaduto ai giorni nostri, per l’eccessivo numero di decessi.

La lebbra, malattia gravemente deformante della pelle, costringeva all’isolamento assoluto; sorgevano i lebbrosari e chi era colpito dalla malattia indossava un cappello a larga tesa; doveva portare a tracolla un grande corno come quello usato dai cacciatori per avvisare della sua presenza e reggere nelle mani le nacchere scuotendole appena incontrasse qualcuno. Si scatenarono anche violenti episodi di fanatismo collettivo contro chi si riteneva che avesse diffuso la malattia, come gli Ebrei, che si riteneva avessero inquinato i pozzi e furono puniti dai flagellanti.

Gesù accoglieva e guariva i lebbrosi. Il ricco Epulone cacciò Lazzaro colpito dalla lebbra. Ma Lazzaro, accolto in cielo, non poté aiutare Epulone perché condannato al fuoco dell’inferno. San Francesco accolse e curò con i suoi frati i lebbrosi. La cura dei lebbrosi divenne una precisa missione dei francescani.

La paura delle malattie
Per vincere la paura delle malattie si dovette attendere fino al 1864, quando il chimico e microbiologo Louis Pasteur giunse alla vaccinazione e alla distinzione tra batteri e virus.

La paura del contagio e della malattia permane ancora oggi per l’insicurezza dei rimedi, per la molteplicità dei casi, per la “globalizzazione” che coinvolge i trasferimenti da un paese all’altro mettendo a rischio la salute di tutti, per l’incapacità degli ospedali di far fronte ai casi troppo numerosi.

È ovvio che la paura immotivata va vinta, ma essendo ancora lontano uno sperimentato ed efficace rimedio, l’impegno di tutti deve essere quello di rispettare il più possibile le regole anche se non mancano i disagi: i bambini, cui viene meno la frequentazione assidua e continuativa delle lezioni scolastiche, gli anziani che nelle case di riposo vedono affievolirsi le loro speranze di vita.

Se sono state vinte nei secoli le terribili e frequenti epidemie e da ultimo nel ventesimo secolo anche l’epidemia di Spagnola, si deve soltanto confidare che con l’impegno di tutti si riesca ad uscire da questo “moderno” flagello.