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Sirio 09 - 15 dicembre 2024
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Lavoro

Disoccupazione giovanile,
la risposta delle istituzioni

Alcune possibili ricette sulla base di quanto si sta sperimentando negli altri Paesi

del professor Vincenzo FERRANTE docente all'Università Cattolica, Unione Giuristi Cattolici Italiani

10 Giugno 2013

A partire dall’autunno del 2008, quando è esplosa la crisi finanziaria mondiale, l’economia italiana ha perso circa 600.000 posti di lavoro. Poiché, nello stesso periodo, la popolazione in età lavorativa è aumentata di ben oltre un milione di individui, attualmente in Italia mancano circa 1 milione e 700.000 nuovi posti di lavoro per riportare il tasso di occupazione ai livelli pre-crisi.

La categoria che più è stata colpita è senz’altro rappresentata dai giovani tra 15 e 24 anni: si tratta di una fascia di età che ha fatto registrare una crescita del 15% quanto al tasso di disoccupazione, cosicché alla fine del 2012 ben oltre un terzo dei giovani italiani (il 35,2%) era senza un posto di lavoro. Si tratta, peraltro, di un dato che ci accomuna agli altri paesi, atteso che i giovani disoccupati europei sono oramai oltre 5 milioni e mezzo.

A fronte di una situazione così grave, c’è da chiedersi in che modo le istituzioni pubbliche possano intervenire per sostenere l’occupazione giovanile, così da generare posti di lavoro in maniera possibilmente duratura, così da evitare i guasti che il precariato aveva prodotto negli anni scorsi.

Si deve tenere conto, peraltro, che il problema della disoccupazione giovanile è diventato tanto più grave, quanto maggiormente è cresciuta la povertà (come dimostra il fatto che i consumi sono stabilmente diminuiti del 4,5% dall’inizio della crisi), poiché sta venendo a mancare quell’aiuto che le famiglie hanno fornito nei primi anni successivi allo scoppio della crisi, in assenza di interventi pubblici.

L’Organizzazione mondiale del lavoro (OIL o ILO, secondo l’acronimo inglese) è recentemente intervenuta per suggerire alcune possibili ricette, sulla base di quanto si sta sperimentando in questo periodo negli altri paesi occidentali travolti dalla crisi.

In primo luogo, l’OIL suggerisce di stimolare l’investimento nell’economia reale, attraverso un sostegno pubblico ai piani di sviluppo aziendale: si tratterebbe di affiancarsi alle banche, per ricercare un sostegno finanziario da parte di investitori privati e pubblici. Di più, le istituzioni dovrebbero assicurare, dando la priorità agli investimenti capaci di sviluppare occupazione nei confini nazionali, misure agevolate sul piano della tassazione dei redditi, applicando sgravi fiscali sugli investimenti produttivi, come l’ammortamento accelerato che abbassa i costi per le imprese che acquistano nuove attrezzature o esimendo dalle tasse alcuni investimenti specifici (per es. nel settore delle energie rinnovabili o dell’agricoltura biologica).

In secondo luogo, l’OIL suggerisce di sviluppare anche in Italia la politica di sostegno, anche psicologico ai giovani, per il tramite degli “uffici per l’impiego”.

Si tratta di una vicenda ben nota fra gli addetti ai lavori: oramai più di 15 anni fa, i servizi “di collocamento” furono tolti dalle mani del Ministero del lavoro, per essere affidati alle province. L’operazione avrebbe dovuto avvicinare l’intervento pubblico alle realtà locali, facilitando le imprese nella ricerca di manodopera qualificata, ed indirizzare le istituzioni formative (scuole, università e centri di formazione professionale) verso i settori disponibili ad assorbire maggiormente i giovani.

La transizione dall’una all’altra istituzione, però, si è spesso rivelata un salto nel buio e la lunga polemica sulla abolizione delle province non ha  certo giovato a dare ossigeno a questi servizi. Ora l’OIL ci invita a riconsiderare le esperienze straniere, soprattutto scandinave, dove il sostegno ai giovani disoccupati viene svolto su base di potenziamento delle capacità individuali, attraverso colloqui di orientamento e corsi di formazione, seri e di breve durata.

Molto scettici sono, invece, gli esperti dell’Organizzazione per quanto riguarda la cosiddetta “staffetta generazionale”: si tratterebbe di facilitare attraverso un apposito sussidio economico la riduzione progressiva dell’orario di lavoro (e del reddito mensile) dei lavoratori anziani, facilitando al contempo l’assunzione di un giovane, sulla base di un piano aziendale che assegna al lavoratore “in uscita” il ruolo di tramandare al giovane i segreti della professione. A riguardo, l’OIL lamenta il rischio che l’operazione si risolva in una semplice sostituzione, senza determinare nessun incremento del saldo complessivo dell’occupazione.

In verità, ben al di là dell’evidente valore simbolico di una operazione siffatta, la staffetta sembra interessare molto il Governo italiano, almeno fin tanto che non si riduca al semplice (e già sperimentato) passaggio di un posto di lavoro dal padre al figlio. Il fatto è che, per un verso, la riforma delle pensioni ha collocato molto in avanti la data dell’abbandono della vita attiva (fra i 62 e i 70 anni), di modo che una riduzione della durata della prestazione è in certa misura fisiologica, per quanti non hanno più le forze … della verde età, mentre, per un altro verso, resta sempre attuale l’incapacità del sistema formativo nel suo complesso a fornire ai giovani delle competenze professionali, suscettibili di essere immediatamente spese nel mondo del lavoro

In questo modo l’idea di un periodo di affiancamento fra anziani e giovani può essere utile a supplire a tali radicate carenze.