Share

Intervista a mons. Erminio De Scalzi

Milano, mancano chiese in 3 quartieri e luoghi di preghiera per i musulmani

Non è più dilazionabile l'urgenza di trovare anche per la comunità islamica di Milano luoghi di preghiera. Esiste anche una carenza di luoghi di culto e di aggregazione cattolici in alcuni quartieri della periferia milanese. Ne parla mons. Erminio De Scalzi, vicario episcopale per la città di Milano

Filippo MAGNI Redazione Diocesi

27 Agosto 2009

Nel discorso alla città dello scorso dicembre, il cardinale Tettamanzi parlava della necessità di creare luoghi per il dialogo e l’incontro, con se stessi e con gli altri. Tettamanzi precisava che “in tante zone della Città mancano anche gli spazi fisici e le occasioni concrete per fermarsi a riflettere e a pregare. Abbiamo bisogno di luoghi di preghiera in tutti i quartieri della Città”.

Il vicario episcopale della città di Milano, mons. Erminio De Scalzi, ci spiega qual è oggi la situazione nel capoluogo lombardo.
Quali sono i quartieri in cui questa carenza è più evidente?
A Milano attualmente sono tre le situazioni più urgenti che richiedono un luogo di culto, tutte in quartieri periferici. A Quarto Oggiaro, dove l’attuale chiesa di Pentecoste ha raddoppiato i suoi abitanti ed è ancora ospitata in una costruzione prefabbricata (una ex scuola materna) risalente agli anni ’60, di proprietà del Comune e concessa in uso precario alla parrocchia, con regolare convenzione e canone d’affitto. L’altra è nel quartiere Gratosoglio, dove è sorto il complesso “dei Missaglia”. È stata già posta la prima pietra della nuova chiesa, che vorremmo fosse dedicata a madre Teresa di Calcutta. La terza situazione che preoccupa è alla Barona, dove la chiesa di San Gregorio Barbarigo vede sorgere nel suo territorio un quartiere ricco di nuove abitazioni.

La mancanza di luoghi di preghiera spesso si traduce anche in carenza di servizi che le parrocchie, tramite il volontariato, riescono a garantire. È così anche nelle periferie di Milano?
Sì, la mancanza di luoghi di culto – nella tradizione ambrosiana – finisce per diventare mancanza anche di luoghi di aggregazione per ragazzi, giovani, famiglie. Ogni parrocchia ha un suo centro Caritas, un ritrovo per il gruppo terza età, luoghi dove praticare lo sport. Evangelizzazione e promozione umana camminano insieme, soprattutto in una città che spesso è sinonimo di solitudine, anomia, disgregazione. Una chiesa aiuta a tessere legami sociali e a coltivare la dimensione comunitaria.

La Chiesa di Milano cosa può fare e cosa sta facendo per far sì che ogni cittadino abbia la possibilità di accedere a un luogo di preghiera, ma ancor di più abbia una parrocchia cui far riferimento?
Quanto detto vale per la città di Milano, ma anche nell’hinterland sono presenti le stesse preoccupazioni. La Diocesi – attraverso i suoi uffici e in particolare a seguito delle visite pastorali dell’arcivescovo – tiene sotto monitoraggio anche il problema dei luoghi di culto e delle strutture parrocchiali.

Tettamanzi proseguiva il discorso alla città aggiungendo che “ne hanno un bisogno ancora più urgente (di luoghi di preghiera) le persone che appartengono a religioni diverse da quella cristiana, in modo particolare all’Islam”. È cambiata, da dicembre a oggi, la condizione di preghiera degli islamici a Milano?
Anche gli islamici, a Milano, hanno diritto ad avere un luogo di culto. È un diritto che la nostra Costituzione riconosce a tutte le religioni. Le grandi città europee hanno una o più moschee. Sento che è giunto il momento – non più dilazionabile – di trovare, anche per la comunità islamica di Milano, una soluzione a questo problema. Questo creerebbe una possibilità di dialogo più disteso tra le religioni, eviterebbe l’illegittima e fastidiosa occupazione di suolo pubblico – come ora avviene in viale Jenner – e, ogni anno, non saremmo sempre daccapo a cercare soluzioni per la preghiera del Ramadan. Purchè sia “un vero luogo di culto” e non altro. All’autorità civile spetterà il compito di vigilare e ottenere garanzie in tale senso. Agli islamici l’onere di assumersi i costi – come fa ogni nostra parrocchia – di tale costruzione.

Il cardinale concludeva poi dicendo: “Una Città amica sa offrire questi tempi, questi spazi, queste opportunità”. Milano è “città amica”? Qual è il ruolo della città nella gestione degli spazi di preghiera?
A quest’ultima domanda vorrei rispondere così: la gente vive con apprensione il passaggio di Milano da città monoreligiosa a multireligiosa. Mentre da un lato i fedeli allentano i propri legami con i dettami della fede di appartenenza, quella cattolica, noto che essi si mostrano molto guardinghi e a volte impauriti di fronte all’eventualità di doversi misurare e confrontare con un’altra religione. Come vescovo, sento la responsabilità che ha la Chiesa di Milano di costruire un clima di maturazione e confronto reciproco, dentro il quale, senza svendere le nostre rispettive identità, si possa però imparare a riconoscersi e a stimare i rispettivi cammini di fede e di preghiera. Ma questo richiederebbe a noi cristiani, per primi, uno slancio un pochino più convinto nel modo di vivere e praticare la nostra fede. Nel discorso alla città dello scorso dicembre, il cardinale Tettamanzi parlava della necessità di creare luoghi per il dialogo e l’incontro, con se stessi e con gli altri. Tettamanzi precisava che “in tante zone della Città mancano anche gli spazi fisici e le occasioni concrete per fermarsi a riflettere e a pregare. Abbiamo bisogno di luoghi di preghiera in tutti i quartieri della Città”.Il vicario episcopale della città di Milano, mons. Erminio De Scalzi, ci spiega qual è oggi la situazione nel capoluogo lombardo. Quali sono i quartieri in cui questa carenza è più evidente?A Milano attualmente sono tre le situazioni più urgenti che richiedono un luogo di culto, tutte in quartieri periferici. A Quarto Oggiaro, dove l’attuale chiesa di Pentecoste ha raddoppiato i suoi abitanti ed è ancora ospitata in una costruzione prefabbricata (una ex scuola materna) risalente agli anni ’60, di proprietà del Comune e concessa in uso precario alla parrocchia, con regolare convenzione e canone d’affitto. L’altra è nel quartiere Gratosoglio, dove è sorto il complesso “dei Missaglia”. È stata già posta la prima pietra della nuova chiesa, che vorremmo fosse dedicata a madre Teresa di Calcutta. La terza situazione che preoccupa è alla Barona, dove la chiesa di San Gregorio Barbarigo vede sorgere nel suo territorio un quartiere ricco di nuove abitazioni.La mancanza di luoghi di preghiera spesso si traduce anche in carenza di servizi che le parrocchie, tramite il volontariato, riescono a garantire. È così anche nelle periferie di Milano?Sì, la mancanza di luoghi di culto – nella tradizione ambrosiana – finisce per diventare mancanza anche di luoghi di aggregazione per ragazzi, giovani, famiglie. Ogni parrocchia ha un suo centro Caritas, un ritrovo per il gruppo terza età, luoghi dove praticare lo sport. Evangelizzazione e promozione umana camminano insieme, soprattutto in una città che spesso è sinonimo di solitudine, anomia, disgregazione. Una chiesa aiuta a tessere legami sociali e a coltivare la dimensione comunitaria.La Chiesa di Milano cosa può fare e cosa sta facendo per far sì che ogni cittadino abbia la possibilità di accedere a un luogo di preghiera, ma ancor di più abbia una parrocchia cui far riferimento?Quanto detto vale per la città di Milano, ma anche nell’hinterland sono presenti le stesse preoccupazioni. La Diocesi – attraverso i suoi uffici e in particolare a seguito delle visite pastorali dell’arcivescovo – tiene sotto monitoraggio anche il problema dei luoghi di culto e delle strutture parrocchiali.Tettamanzi proseguiva il discorso alla città aggiungendo che “ne hanno un bisogno ancora più urgente (di luoghi di preghiera) le persone che appartengono a religioni diverse da quella cristiana, in modo particolare all’Islam”. È cambiata, da dicembre a oggi, la condizione di preghiera degli islamici a Milano?Anche gli islamici, a Milano, hanno diritto ad avere un luogo di culto. È un diritto che la nostra Costituzione riconosce a tutte le religioni. Le grandi città europee hanno una o più moschee. Sento che è giunto il momento – non più dilazionabile – di trovare, anche per la comunità islamica di Milano, una soluzione a questo problema. Questo creerebbe una possibilità di dialogo più disteso tra le religioni, eviterebbe l’illegittima e fastidiosa occupazione di suolo pubblico – come ora avviene in viale Jenner – e, ogni anno, non saremmo sempre daccapo a cercare soluzioni per la preghiera del Ramadan. Purchè sia “un vero luogo di culto” e non altro. All’autorità civile spetterà il compito di vigilare e ottenere garanzie in tale senso. Agli islamici l’onere di assumersi i costi – come fa ogni nostra parrocchia – di tale costruzione.Il cardinale concludeva poi dicendo: “Una Città amica sa offrire questi tempi, questi spazi, queste opportunità”. Milano è “città amica”? Qual è il ruolo della città nella gestione degli spazi di preghiera?A quest’ultima domanda vorrei rispondere così: la gente vive con apprensione il passaggio di Milano da città monoreligiosa a multireligiosa. Mentre da un lato i fedeli allentano i propri legami con i dettami della fede di appartenenza, quella cattolica, noto che essi si mostrano molto guardinghi e a volte impauriti di fronte all’eventualità di doversi misurare e confrontare con un’altra religione. Come vescovo, sento la responsabilità che ha la Chiesa di Milano di costruire un clima di maturazione e confronto reciproco, dentro il quale, senza svendere le nostre rispettive identità, si possa però imparare a riconoscersi e a stimare i rispettivi cammini di fede e di preghiera. Ma questo richiederebbe a noi cristiani, per primi, uno slancio un pochino più convinto nel modo di vivere e praticare la nostra fede. – Mons. Erminio De Scalzi�

Mons. Erminio De Scalzi