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Rom

«Con gli sgomberi non si risolve nulla: puntare all’integrazione»

La riflessione di don Roberto Davanzo, direttore della Caritas Ambrosiana

di Pino NARDI Redazione

23 Settembre 2009

«Se ci interessa immaginare un futuro migliore del passato, allora dobbiamo riconoscere la necessità di una stanzialità per permettere alle giovani generazioni di questi mondi difficili di poter crescere a contatto con i nostri ragazzi. Essere accompagnati, perché possano diventare grandi con una prospettiva di vita diversa rispetto a quella che ha visto le loro famiglie di provenienza vagabondare per decenni sui nostri territori». Don Roberto Davanzo, direttore della Caritas Ambrosiana, propone una riflessione diversa rispetto alla semplice politica degli sgomberi dei rom, che spostano solo la questione da una zona a un’altra della città.

Milano vede periodicamente gli sgomberi dei campi rom quasi solo per acquietare l’opinione pubblica desiderosa di ordine. Non è più utile destinare all’integrazione i soldi spesi per gli sgomberi?
Due riflessioni senza spirito polemico, perché ormai su queste tematiche ne abbiamo già fatte abbastanza, siamo anche un po’ stanchi e non servono a risolvere i problemi. La prima riflessione riguarda il concetto tanto sbandierato di integrazione, che poi deve far rima con stabilità. Se un bambino non ha la possibilità di vivere in maniera stanziale e ordinata in un territorio per un numero continuativo di anni, qualsiasi ragionamento sull’integrazione rischia di essere assolutamente evanescente e inconcludente. I minori rappresentano l’unico barlume di speranza perché il futuro possa essere diverso dal passato. Questo discorso sui rom vale anche per l’immigrazione, i richiedenti asilo, i rifugiati politici.

Quindi gli sgomberi sono inefficaci?
Esatto, la logica degli sgomberi va ad annullare, a tagliare l’erba sotto i piedi qualsiasi processo integrativo. Quei bambini saranno come i loro genitori, vagabondi, continuamente indotti a una vita di espedienti e sorgente inesauribile di insicurezza per i cittadini italiani. Bisogna allora uscire dal circolo vizioso della logica dello sgombero, che col mondo rom non produce nulla, semplicemente lo disperde da un luogo a un altro. Quando questo tipo di presenza non è governato, non è accompagnato anche dal punto di vista dell’ordine pubblico, della tutela della sicurezza, fa subire il “peso” di questa presenza difficile ad altri cittadini».

Eppure il fenomeno rom non è neanche il più numeroso in termini numerici…
Infatti, francamente l’entità numerica del mondo dei rom è talmente esigua che non possiamo correre il rischio di dire che i problemi di Milano possano dipendere da poche migliaia di persone, in maggioranza di nazionalità italiana e per lo più costituite da minori.

E la seconda riflessione?
Come sottolineato già in altre occasioni, è necessario un governo sovracittadino. A volte abbiamo la sensazione che tra Comune di Milano e Provincia e Regione ci sia un rapporto che riproduce quello tante volte stigmatizzato dal governo italiano tra il nostro Paese e l’Unione europea a proposito della questione immigrazione in particolare dei richiedenti asilo. Giustamente l’Italia si lamenta e reclama una politica più omogenea che a livello europeo tenga conto che il nostro Paese – per il fatto di affacciarsi sul Mediterraneo – non può sobbarcarsi in maniera così pesante il fenomeno migratorio. Altrettanto non è pensabile che solo la grande città debba risolvere problemi che si incancreniscono quando si accumulano. Se riusciamo a spalmare questi numeri su un territorio più ampio automaticamente l’impatto sulla cittadinanza diventa molto più sostenibile e più sopportato. «Se ci interessa immaginare un futuro migliore del passato, allora dobbiamo riconoscere la necessità di una stanzialità per permettere alle giovani generazioni di questi mondi difficili di poter crescere a contatto con i nostri ragazzi. Essere accompagnati, perché possano diventare grandi con una prospettiva di vita diversa rispetto a quella che ha visto le loro famiglie di provenienza vagabondare per decenni sui nostri territori». Don Roberto Davanzo, direttore della Caritas Ambrosiana, propone una riflessione diversa rispetto alla semplice politica degli sgomberi dei rom, che spostano solo la questione da una zona a un’altra della città.Milano vede periodicamente gli sgomberi dei campi rom quasi solo per acquietare l’opinione pubblica desiderosa di ordine. Non è più utile destinare all’integrazione i soldi spesi per gli sgomberi?Due riflessioni senza spirito polemico, perché ormai su queste tematiche ne abbiamo già fatte abbastanza, siamo anche un po’ stanchi e non servono a risolvere i problemi. La prima riflessione riguarda il concetto tanto sbandierato di integrazione, che poi deve far rima con stabilità. Se un bambino non ha la possibilità di vivere in maniera stanziale e ordinata in un territorio per un numero continuativo di anni, qualsiasi ragionamento sull’integrazione rischia di essere assolutamente evanescente e inconcludente. I minori rappresentano l’unico barlume di speranza perché il futuro possa essere diverso dal passato. Questo discorso sui rom vale anche per l’immigrazione, i richiedenti asilo, i rifugiati politici.Quindi gli sgomberi sono inefficaci?Esatto, la logica degli sgomberi va ad annullare, a tagliare l’erba sotto i piedi qualsiasi processo integrativo. Quei bambini saranno come i loro genitori, vagabondi, continuamente indotti a una vita di espedienti e sorgente inesauribile di insicurezza per i cittadini italiani. Bisogna allora uscire dal circolo vizioso della logica dello sgombero, che col mondo rom non produce nulla, semplicemente lo disperde da un luogo a un altro. Quando questo tipo di presenza non è governato, non è accompagnato anche dal punto di vista dell’ordine pubblico, della tutela della sicurezza, fa subire il “peso” di questa presenza difficile ad altri cittadini».Eppure il fenomeno rom non è neanche il più numeroso in termini numerici…Infatti, francamente l’entità numerica del mondo dei rom è talmente esigua che non possiamo correre il rischio di dire che i problemi di Milano possano dipendere da poche migliaia di persone, in maggioranza di nazionalità italiana e per lo più costituite da minori.E la seconda riflessione?Come sottolineato già in altre occasioni, è necessario un governo sovracittadino. A volte abbiamo la sensazione che tra Comune di Milano e Provincia e Regione ci sia un rapporto che riproduce quello tante volte stigmatizzato dal governo italiano tra il nostro Paese e l’Unione europea a proposito della questione immigrazione in particolare dei richiedenti asilo. Giustamente l’Italia si lamenta e reclama una politica più omogenea che a livello europeo tenga conto che il nostro Paese – per il fatto di affacciarsi sul Mediterraneo – non può sobbarcarsi in maniera così pesante il fenomeno migratorio. Altrettanto non è pensabile che solo la grande città debba risolvere problemi che si incancreniscono quando si accumulano. Se riusciamo a spalmare questi numeri su un territorio più ampio automaticamente l’impatto sulla cittadinanza diventa molto più sostenibile e più sopportato.