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Identikit dei clochard di Milano

Gli homeless di Milano sono soprattutto uomini, di età compresa tra i 20 e i 50 anni, ma ci sono anche ragazzi e anziani italiani, mentre è in crescita il numero di stranieri

5 Giugno 2008

14/02/2008

di Luisa BOVE

La Comunità di S. Egidio presente a Milano dal 1989 (il 7 febbraio ha celebrato a Roma il 40° della sua fondazione, ndr) da 6 anni svolge un servizio prezioso distribuendo cibo e coperte ai senza fissa dimora che vivono alla Stazione Garibaldi, a Cadorna e in centro (tra corso Vittorio Emanuele e piazza San Babila). L’iniziativa coinvolge quasi 60 volontari, chi per cucinare a casa propria le portate destinate ai poveri, chi per reperire viveri dai luoghi di lavoro, chi per raccogliere indumenti e chi per distribuire beni di prima necessità in strada.

Ogni martedì e mercoledì sera i membri della comunità si ritrovano nella chiesa di San Bernardino in via Lanzone per una preghiera insieme alle 20 e poi si dividono per svolgere il loro servizio nei diversi punti della città «sostenuti dalla fraternità della Comunità e soprattutto dal Vangelo», dice Ulderico Maggi, responsabile di Milano.

«Incontriamo persone segnate dalla vita», spiega Maggi, le loro storie non sono «straordinarie», ma di «normalità». C’è chi perde il lavoro, anche a causa di una malattia o chi subisce una separazione… «La vita della strada è molto dura, vi si incontrano soprattutto uomini, per le donne è tutto più difficile, oltre che pericoloso». Eppure ci sono anche loro, come Tania, una donna russa che faceva la badante, «ma quando è morta la persona che accudiva non aveva più un posto dove vivere e si è ritrovata per strada».

L’incontro con Mario è dell’estate scorsa. Quando ha ricevuto lo sfratto esecutivo si è messo a cercare un appartamento più piccolo in affitto, «ma gli chiedevano pagamenti anticipati e anche lui è finito per strada». Se lo si vede per le vie di Milano «molto ordinato, con la giacca e la camicia», non viene da pensare a un clochard, «invece se lo si osserva da vicino ci si accorge che la sua camicia è scucita e sul suo volto si notano i segni della strada, che marcano le persone, anche nel loro aspetto esteriore».

Ma quello che accomuna tutti, uomini e donne, vecchi e giovani, non è solo la mancanza di un alloggio, «ma la solitudine e l’isolamento, la mancanza di una famiglia che possa sostenere nei momenti di debolezza». Quasi nessuno decide di vivere per strada, «anche se qualcuno dice di averlo scelto», ammette Maggi, «perché quando si va a scavare nelle storie personali (sono loro stessi a raccontarcelo) si capisce che il motivo è un altro e che qualcosa è capitato».

Per questo i volontari di S. Egidio non si accontentano di un aiuto materiale, ma entrano in rapporto con l’altro. «Moltissime persone ci ringraziano non tanto perché portiamo panini, zuppa calda, carne, vestiti e coperte, che pure è importantissimo, ma perché ci fermiamo a parlare con loro. Ci siamo convinti che la fedeltà nell’amicizia a volte “guarisce” ferite profonde». Il rispetto poi della dignità dell’altro passa anche attraverso piccole attenzioni come chiamare ognuno per nome, salutare dando del lei, non calpestare il cartone su cui dormono perché è la loro casa…

Spesso chi vive per strada oltre a cedere alle dipendenze di alcol, droga e fumo, inizia ad avere anche problemi psichici. «Penso per esempio a due persone che vivono a Cadorna – dice Maggi -, danno l’impressione di essersi perse nei meandri della loro mente, ma allo stesso tempo l’amicizia, il tornare trovarle a giorni fissi, chiamarle per nome li aiuta a “riemergere” e sui loro volti rispunta il sorriso».

Gli homeless di Milano sono soprattutto uomini, di età compresa tra i 20 e i 50 anni, ma ci sono anche ragazzi e anziani italiani, mentre è in crescita il numero di stranieri. «C’è anche chi esce dal carcere e non ha un posto dove andare – spiega il responsabile di S. Egidio -, tra loro spesso si incontrano persone che vogliono cambiare vita, ma non sanno da che parte iniziare o a chi rivolgersi». A volte scattano sentimenti di «orgoglio, paura, vergogna», per questo alcuni ex detenuti vengono addirittura da altre città.

I senza fissa dimora sono aiutati dai volontari anche a ottenere una residenza virtuale per poter ricevere la posta, la pensione o lasciare un recapito quando cercano lavoro. Dopo qualche anno di vita di strada infatti non sono più neppure registrati all’anagrafe, perdono il medico di base. Said per esempio è stato accompagnato in diversi servizi sanitari, «anche quando un nostro amico non si trova nel luogo dove normalmente vive – spiega Maggi – andiamo a cercarlo e chiediamo nei vari ospedali se è stato ricoverato».

«In città ricche come la nostra non si muore certo di fame, ma di freddo e questo capita ogni anno. La memoria delle persone che vivono per strada è molto importante per la Comunità, per questo ogni anno organizziamo una preghiera (domenica 17 febbraio) in cui invitiamo tutti i nostri amici. Vogliamo dedicare la nuova guida a due amici che sono morti nel 2007».