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Editoria

Settimanali diocesani,
una voce da rafforzare

Il 12 aprile la Fisc - che raggruppa 185 testate cattoliche locali - sarà ricevuta dal sottosegretario alla Presidenza del Consiglio dei ministri Paolo Peluffo. Ne parla il presidente Francesco Zanotti

a cura di Vincenzo CORRADO

26 Marzo 2012

Sono tante ancora le incertezze sul futuro di centinaia di testate, soprattutto locali, nonostante il rifinanziamento del Fondo per l’editoria, che da 47 milioni è passato a 120 milioni. «Una boccata d’ossigeno per le aziende editrici, che già avevano messo per intero a bilancio i crediti vantati verso lo Stato, considerati da sempre i più sicuri ed esigibili. Certezza ormai venuta meno in questo particolare frangente storico», commenta Francesco Zanotti, presidente della Fisc, Federazione cui fanno capo 185 testate cattoliche locali.

Su 185 solo una settantina percepisce contributi per un totale che non raggiunge i 4 milioni di euro. «Briciole di contributi», li definisce Zanotti, visto che «nel complesso le circa 70 testate tirano 5-600 mila copie, danno lavoro a 4-500 persone per un fatturato complessivo di almeno 30-35 milioni di euro». In queste settimane si stanno elaborando nuovi criteri di assegnazione dei fondi. Intanto, il 12 aprile, la Fisc sarà ricevuta da Paolo Peluffo, sottosegretario alla Presidenza del Consiglio dei ministri, con delega all’Informazione e alla Comunicazione. Ma qual è lo “stato di salute” dei giornali Fisc? Ne parliamo con il presidente Zanotti.

Qual è la situazione attuale?
Al momento i contributi relativi all’anno 2011, stando alle ultimissime notizie raccolte, sono nella misura del 70%. Il Governo si sta adoperando per arrivare all’80%, grazie a risorse che dovrebbe recuperare dal cosiddetto “Fondo Letta”. Si tratta dell’80% dell’85% incassato dagli editori lo scorso dicembre. Siamo sempre in forte arretramento, come si può notare. Inoltre occorre comprendere l’incertezza nella quale si continua a navigare, perché stiamo parlando di contributi dello scorso anno e siamo a esercizio di bilancio chiuso da quasi tre mesi.

Parlare di contributi pubblici all’editoria significa avere a che fare con un argomento assai delicato, che tocca gli equilibri stessi della democrazia…
È un argomento che non fa proseliti. È invisa ogni contribuzione pubblica. In più, si sono smarrite le ragioni per cui sono stati istituiti tali contributi: favorire il pluralismo nell’informazione e mettere puntelli al mercato pubblicitario, quasi tutto drenato dai grandi network nazionali. Il solo meccanismo della domanda e dell’offerta non può essere assunto come metro per regolare le presenze in edicola. La pluralità delle voci è un bene a cui una democrazia moderna non può rinunciare. E i cittadini devono difendere questo loro diritto a poter accedere a voci diverse. È sufficiente pensare a cosa accade quando in uno Stato avviene un rovesciamento di potere: si occupano le tv e le radio e si chiudono i giornali. Su questo occorre riflettere, e non poco.

Il momento attuale richiede sacrifici un po’ a tutti. E parlare di contributi pubblici diventa ancora più difficile.
Tutti siamo chiamati a compiere sacrifici. Ne siamo coscienti anche noi. Di certo non ci sottraiamo. So che nei nostri giornali non si sprecano risorse, di alcun genere. Da tempo parliamo di rigore ed equità. Rigore nell’applicazione di criteri anche più selettivi. Equità affinché situazioni simili siano trattate in eguale maniera. Se tutti quanti saremo più rigorosi, l’opinione pubblica potrebbe avere un atteggiamento più benevolo verso questi contributi diretti. D’altronde, tutti desideriamo che si evitino sprechi di denaro pubblico.

Perché la stampa, specialmente quella locale, va aiutata?
Va aiutata perché dà voce al territorio. Dà voce a quella parte di Paese reale che troppo spesso non viene rappresentato, ma che esiste, vive, opera, soffre e spera nella provincia italiana, là dove vivono i due terzi della popolazione. Da oltre un secolo, i settimanali diocesani svolgono un tipo d’informazione non omologata e originale, che si fa compagna di viaggio delle storie della gente. Un compito esigente che trasforma i nostri giornali in strumenti di collegamento fra le persone, vere e proprie piazze nelle quali ci si trova per un confronto sereno, franco e pacato, all’interno della comunità ecclesiale, ma anche fra credenti e non credenti.

I giornali Fisc sono da sempre considerati “voce di chi non ha voce”. Che futuro li attende senza contributi e agevolazioni?
Tra noi ci diciamo di frequente che occorre ragionare come se i contributi non esistessero più. Se questa previsione si trasformerà in realtà, sarebbe bene pensare a un ‘piano di rientro dai contributi’ da parte dello Stato per non trovarci di fronte a un risveglio tragico come è avvenuto per la vicenda delle tariffe postali, aumentate nel giro di una notte del 121%, il 1° aprile 2010.

In queste settimane si sta lavorando ai nuovi criteri di assegnazione del Fondo editoria. Quali le proposte della Fisc?
Se come si sta ventilando, si ragionerà su copie vendute e posti di lavoro, pensiamo che sia necessario tenere conto di diverse nostre edicole particolari: le parrocchie. In molte diocesi i nostri giornali vengono distribuiti e venduti all’uscita dalla messa domenicale. Non sono vendite in blocco, ma una sorta di edicola sulla porta della chiesa. Occorrerà escogitare meccanismi adeguati per non sottrarre migliaia di copie al beneficio dei contributi. Questi giornali sono effettivamente venduti.