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Nel web il futuro del cinema?

«Il problema vero, però, è che il fenomeno della pirateria non viene studiato seriamente». Solo in Italia ogni anno si perdono circa 3 miliardi di euro

di Rino FARDA

10 Marzo 2014

Da tempo gli addetti ai lavori del cinema italiano discutono dell’allargamento della platea cinematografica. Aveva cominciato Riccardo Tozzi, produttore e presidente dell’Anica, quando in treno aveva visto sul tablet del suo vicino di scompartimento scorrere le immagini di un film che doveva ancora uscire in sala. «Esistono molti pubblici cinematografici che non riusciamo ancora a intercettare con un’offerta legale», ha detto recentemente ad un convegno organizzato da “Confindustria Radio e tv”.

Adesso arrivano i dati di un’approfondita ricerca sui dati della distribuzione online del cinema. Si intitola “Online Movies: 2014. The Internet as a New Distribution Channel for Movies” ed è stata realizzata da “Generator Research” nel Regno Unito. «I dati economici grezzi della distribuzione online dei film sono affascinanti. A seconda della prospettiva però potrebbero essere anche eccitanti o spaventosi», ha detto Andrew Sheehy, Chief Analyst di “Generator Research”. Nel 2014 i produttori cinematografici guadagneranno 29,6 miliardi di dollari grazie al solo home video (Dvd / Blu-ray) e a tutte le forme di “Tv licensing”. Il dato interessante, sottolinea Sheehy, è che «i produttori potrebbero guadagnare la stessa cifra se vendessero i diritti dei loro film ai fornitori di servizi di video on demand sul web». L’ipotesi di studio parte da un dato ipotetico. «Se i web provider convincessero il 45% degli abbonati mondiali ai servizi di banda larga, si avrebbe un mercato virtuale di circa 348 milioni di spettatori. Se si convincessero queste persone a pagare una quota mensile di 15 dollari al mese per avere accesso illimitato alla library completa del cinema, il mercato cinematografico mondiale potrebbe contare su un gettito extra immediato di circa 30 miliardi di dollari».

In Italia, secondo “Confindustria Radio e tv”, ogni anno si perdono circa 3 miliardi di euro per il downloading illegale dei film e almeno un italiano su tre fa uso di contenuti non originali. Una vera e propria voragine che fa disperare produttori e distributori. A esasperare gli animi è arrivata anche la decisione di Mediaset di trasmettere in tv “La grande bellezza” (il film di Sorrentino che ha vinto l’Oscar) mentre è ancora in corso lo sfruttamento nelle sale. Uno stravolgimento delle rigide “finestre” di sfruttamento (prima le sale, poi le pay tv, poi il dvd, eccetera) che ha fatto strillare gli esercenti cinematografici italiani.

«Il digitale, il consumo di contenuti in mobilità, la condivisione dei social network, sono il futuro. Il consumatore decide dove e come prendere contatto con l’offerta, in piena libertà e senza limiti. Opporsi è inutile», ripete spesso Ernesto Assante, giornalista di La Repubblica e docente universitario. «Sono i contenuti che non perderanno mai valore. I media come la tv, la sala, il telefonino, il pc, sono destinati a scomparire. La nuova filosofia del cloud computing renderà obsoleto il concetto stesso di device. Solo i contenuti rimarranno e avranno sempre più valore», spiega Assante.

«Il problema vero, però, è che il fenomeno della pirateria non viene studiato seriamente», dice Gianni Celata, docente di economia dei media. Nel suo libro “Blowing in the web”, pubblicato lo scorso anno da “Key4biz”, ha messo a confronto tre dei più importanti studi internazionali sulla pirateria. Il risultato è sconcertante. I dati non coincidono. «Quali sono i veri danni della pirateria?», si chiede Celata. «Carpe Diem, cogli l’attimo, confidando il meno possibile nel domani. Ma è il domani atteso e scontato quello su cui non si deve confidare, il domani che l’innovazione tecnologica inesorabilmente scompagina. Ecco allora che Carpe Diem Industry potrebbero definirsi quelle imprese che non si fanno intorpidire dai risultati consolidati ma si rimodulano su quanto l’innovazione gli offre», scrive Celata nelle conclusioni. Un’elasticità di modello industriale e commerciale, quella proposta da Celata, che però gli operatori del cinema stentano a trovare.

Peccato. Quei 30 miliardi di gettito extra che la ricerca inglese ha previsto rischiano così di perdersi nei rivoli del web. Il caso di studio delle esitazioni del cinema sul web, sono lo specchio di quello che sta avvenendo ormai nel mondo dell’informazione, in attesa che i grandi editori di news decidano di tramutarsi, anche loro, in “carpe diem industry”.