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Quaresima

Per fare la volontà di Dio: memoria, ragione, libertà

Studio, lavoro, affetti... Innanzitutto fare ordine. Dentro di sé e alla luce della fede. Perchè Dio non è contro

Cristiano PASSONI Redazione

31 Marzo 2009

La catechesi quaresimale dell’Arcivescovo, dedicata al tema della scelta e della volontà di Dio, si è svolta tra gli universitari ospiti del Collegio Ludovicianum di Milano. Quello del discernimento è in effetti un aspetto decisivo nella vita dei giovani, specie di fronte al senso di smarrimento che a volte provano, alle prime fatiche o a qualche smacco. Non è facile per loro capire quale direzione prendere, intuire che è importante fare ordine, anzitutto dentro i loro sentimenti e alla luce dell’esperienza di Dio. Questo vale per tutte le scelte (studio, lavoro, affetti…) ed è ciò che emerge anche negli incontri vocazionali che si tengono in diocesi. La grande domanda che i giovani pongono non è sulla vocazione, sulla scelta definitiva della vita, ma: «Come posso dare il nome a ciò che sento dentro di me? Al conflitto interiore? Ai sentimenti?». La fatica più grande per loro è riuscire a tenere il contatto con il proprio vissuto affettivo profondo, che è anche il luogo dell’incontro con Dio. Questo non vuol dire che i giovani di oggi non sappiano valutare e decidere, a condizione però che tengano conto di alcuni presupporti. Primo, che per scegliere non bastano le doti personali e non si tratta né di una tecnica né di un’illusione; secondo, che occorre essere consapevoli della disparità tra la propria natura e la grande missione alla quale si è chiamati. In fondo se guardiamo ai racconti dei vangeli, a un personaggio come Pietro, dobbiamo dire che nessuno avrebbe potuto immaginare – a partire dall’analisi del suo carattere – che egli avrebbe avuto la vocazione di «confermare la Chiesa». In ogni caso questa incongruenza o sproporzione tra la natura personale e la missione affidata è una realtà costante nella vita di ognuno. Per fare discernimento occorre entrare in una dimensione spirituale, avere la percezione di vivere un’esperienza di grazia e credere che nella scelta non si è soli, ma accompagnati. Attorno a queste convinzioni si deve poi recuperare la memoria, l’intelligenza, la volontà e la libertà. Fare memoria significa «raccogliere i dati» della propria storia, della percezione che si ha di fronte alla scelta da compiere (vocazione, lavoro, facoltà universitaria…). Poi c’è l’aspetto dell’intelligenza, è questo il momento del discernimento, in cui si valuta la situazione e ci si chiede: «I dati che ho raccolto su di me, che cosa mi dicono?». Ultimo aspetto è quello della volontà e della libertà, che è il momento vero e proprio della decisione. Dopo la memoria e l’intelletto infatti si arriva a scegliere qualcosa di preciso e a volerlo liberamente. È importante ricordare che Dio non è un concorrente e la sua chiamata non è mai un atto di sopraffazione nei confronti dell’uomo che quindi risponde piegando la testa. La libertà più grande è quella di fidarsi della parola di Dio e della sua presenza. Se ci si fida della sua chiamata non ci si «perde», ma ci si «ritrova», consegnando se stessi; sapendo però che la risposta ha sempre un carattere dinamico e non è data una volta per tutte.

La catechesi quaresimale dell’Arcivescovo, dedicata al tema della scelta e della volontà di Dio, si è svolta tra gli universitari ospiti del Collegio Ludovicianum di Milano. Quello del discernimento è in effetti un aspetto decisivo nella vita dei giovani, specie di fronte al senso di smarrimento che a volte provano, alle prime fatiche o a qualche smacco. Non è facile per loro capire quale direzione prendere, intuire che è importante fare ordine, anzitutto dentro i loro sentimenti e alla luce dell’esperienza di Dio. Questo vale per tutte le scelte (studio, lavoro, affetti…) ed è ciò che emerge anche negli incontri vocazionali che si tengono in diocesi. La grande domanda che i giovani pongono non è sulla vocazione, sulla scelta definitiva della vita, ma: «Come posso dare il nome a ciò che sento dentro di me? Al conflitto interiore? Ai sentimenti?». La fatica più grande per loro è riuscire a tenere il contatto con il proprio vissuto affettivo profondo, che è anche il luogo dell’incontro con Dio. Questo non vuol dire che i giovani di oggi non sappiano valutare e decidere, a condizione però che tengano conto di alcuni presupporti. Primo, che per scegliere non bastano le doti personali e non si tratta né di una tecnica né di un’illusione; secondo, che occorre essere consapevoli della disparità tra la propria natura e la grande missione alla quale si è chiamati. In fondo se guardiamo ai racconti dei vangeli, a un personaggio come Pietro, dobbiamo dire che nessuno avrebbe potuto immaginare – a partire dall’analisi del suo carattere – che egli avrebbe avuto la vocazione di «confermare la Chiesa». In ogni caso questa incongruenza o sproporzione tra la natura personale e la missione affidata è una realtà costante nella vita di ognuno. Per fare discernimento occorre entrare in una dimensione spirituale, avere la percezione di vivere un’esperienza di grazia e credere che nella scelta non si è soli, ma accompagnati. Attorno a queste convinzioni si deve poi recuperare la memoria, l’intelligenza, la volontà e la libertà. Fare memoria significa «raccogliere i dati» della propria storia, della percezione che si ha di fronte alla scelta da compiere (vocazione, lavoro, facoltà universitaria…). Poi c’è l’aspetto dell’intelligenza, è questo il momento del discernimento, in cui si valuta la situazione e ci si chiede: «I dati che ho raccolto su di me, che cosa mi dicono?». Ultimo aspetto è quello della volontà e della libertà, che è il momento vero e proprio della decisione. Dopo la memoria e l’intelletto infatti si arriva a scegliere qualcosa di preciso e a volerlo liberamente. È importante ricordare che Dio non è un concorrente e la sua chiamata non è mai un atto di sopraffazione nei confronti dell’uomo che quindi risponde piegando la testa. La libertà più grande è quella di fidarsi della parola di Dio e della sua presenza. Se ci si fida della sua chiamata non ci si «perde», ma ci si «ritrova», consegnando se stessi; sapendo però che la risposta ha sempre un carattere dinamico e non è data una volta per tutte. – L’Arcivescovo in onda anche la domenica