28/08/2008
di Davide MILANI
«Cosa fa la Chiesa ortodossa?». Lo chiesero una volta al patriarca Alessio II. Rispose: «Non fa niente. Celebra solo la Divina Liturgia». Probabilmente è il modo più efficace per tentare di spiegare ruolo e considerazione di questo santo rito dentro la Chiesa russa. Non è celebrata tutti i giorni – nemmeno dai sacerdoti – e non è un precetto per il fedele parteciparvi. Oggi, solennità della Dormizione di Maria, la chiesa del monastero di Novodevicij è comunque gremita, come lo sono tutte le chiese ortodosse di Mosca.
Che sia realmente il gesto più importante della religione ortodossa lo si comprende dal clima che si respira nella chiesa del monastero. Tra antichi affreschi, appariscenti lampadari, un’iconostasi che toglie il respiro per imponenza e splendore, sono 300 le persone che velocemente si raccolgono pochi minuti prima delle nove. Arrivano anche i preti pellegrini di Milano con il cardinale Tettamanzi. Per loro c’è un settore riservato, davanti all’iconostasi. Per potersi sistemare fendono a fatica il muro dei fedeli, guardati con curiosità da tutti per lo strano vestito (nero per i più, con degli elementi rossi per pochi altri) simile ma differente da quello dei loro sviascenniki.
La grande e solitaria campana del monastero batte dei tocchi monotòni: suoni talmente profondi che riescono a far vibrare l’anima. Le luci sono accese, ma nessun celebrante è ancora presente. Tutti però già guardano nello stesso punto, verso (o meglio oltre) l’iconostasi: una parete – la più lunga – della chiesa interamente ricoperta da icone, ordinate entro un reticolo di legno finemente scolpito e vistosamente dorato.
L’unico suono che si percepisce è quello ormai fievole della campana, che sta terminando il suo compito. Non c’è organo, non ci sono strumenti musicali. Una decina di giovani coriste sta ritta – velo in testa –davanti all’iconostasi. Le attende un compito non da poco: sostenere con il canto la liturgia. Non per quattro brani da tre minuti l’uno, ma per tre ore, con quello che suonerà come un unico e ininterrotto motivo. I fedeli – giovani, donne, signori distinti, vecchiette – stanno immobili, in piedi – non sono previste panche o sedie – e lo saranno per tutto il tempo.
La tensione del momento lascia intendere che la Divina liturgia sta per iniziare. Ma deve capitare ancora qualcosa, prima. Cinque, dieci, quindici bambini – non si sa come, non si sa da dove – appaiono improvvisamente uno dopo l’altro come se sbucassero dalle lunghe gonne colorate delle signore e si piazzano – anche loro con gli occhi fissi verso l’oltre – in prima fila. Pare ci sia un tacito accordo: ora si può cominciare. I diaconi nelle loro dalmatiche azzurre precedono il celebrante principale, l’arcivescovo Juvenalij, ancora in abito nero. Giunto davanti all’iconostasi e ai fedeli, con gesti precisi, studiati, solenni, un diacono prende – ad uno ad uno – i singoli paramenti – e glieli pone, così che li possa indossare. Il metropolita si veste lentamente, meccanicamente, guardando ad un punto, fisso, che da come lo scruta c’è sicuramente ma sta oltre.
La Divina Liturgia comincia ad abitare, a riempire – fino a saturarlo tutto – lo spazio della chiesa dominato dalla tonalità oro, sul quale spicca l’azzurro dei paramenti sacerdotali. I canti del coro, dei diaconi, del celebrante (ciascuno con diversa intonazione) fanno il resto e conducono anche gli occhi dei preti milanesi nello stesso luogo dove punta lo sguardo di Juvenalij, dei bambini e di tutti i fedeli: oltre.
I movimenti dei protagonisti della Divina Liturgia non sono mai semplici spostamenti: appaiono come delle frecce, delle indicazioni che guidano anche l’occhio meno allenato verso il centro dell’azione sacra. Tra i fedeli russi, bene allenati sono anche occhi, mani e voci dei bambini, perfetti nell’intervenire e nel compiere i dovuti gesti – il cerimoniale è davvero complesso – quando è il momento. Solo un bimbo con l’aria da piccola peste appare incerto: ci pensa una ragazzina più grande a muovergli le manine come si deve e ad accompagnarlo a ricevere l’Eucaristia, che riceveranno in bocca dal lungo cucchiaio del sacerdote.
Tre ore di celebrazione: liturgia di preparazione, liturgia dei catecumeni, liturgia dei fedeli. Ma non è impresa facile riuscire a distrarsi. Sarà perché per gli italiani è la prima volta. Ma a ben vedere non capita nemmeno ai fedeli russi, che solo alla fine tornano ad accorgersi dello strano gruppo degli italianskie sviascenniki. Li cercano con lo sguardo solo al termine, quando il Metropolita presenta con parole cariche d’affetto il gruppo dei preti ambrosiani, e – subito dopo – il cardinale Tettamanzi testimonia l’antica amicizia tra le due Chiese e l’attenzione che a Milano la Diocesi riserva ai loro connazionali immigrati.
Stranamente non scatta nessun applauso. Ma non è per indifferenza. Gli occhi allenati dei fedeli russi riescono ad esprimere una tale carica di partecipazione e amicizia che un banale e chiassoso battito di mani non può contenere.
I loro occhi sanno guardare oltre.
Se è solo questo – celebrare la Divina Liturgia – quanto riesce a fare la Chiesa ortodossa, non c’è che dire, gli riesce davvero bene.