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Sirio 09 - 15 dicembre 2024
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A Nairobi le contraddizioni del mondo intero

Nairobi è una delle città più occidentali dell'Africa, posta, anche geograficamente a mo' di snodo politico, commerciale e sociale di tutto il continente. Accanto ai quartieri più esclusivi, le baraccopoli più degradate. È qui che vive il 60% della popolazione del Kenya.

5 Giugno 2008

05/05/2008

di Roberto DAVANZO
direttore Caritas Ambrosiana

Pensiamo solo dal punto di vista dello spazio: a Nairobi nel 5% del suo territorio abita il 60% di tutta la popolazione e accanto ai quartieri più esclusivi si trovano le baraccopoli più degradate. Ne abbiamo visitate tre. Quella di Soweto, nella zona nord-ovest della città, dove operano da anni gli amici dell’Associazione Giovanni XXIII. Poi quella di Kangemi che vede la presenza di una parrocchia tenuta da due gesuiti keniani e una fraternità di Piccoli Fratelli del Vangelo. Infine il grande e ormai tristemente famoso slum di Corogocho, nato a ridosso di una delle maggiori discariche di Nairobi e in cui svolse una parte significativa del suo ministero p. Alex Zanottelli e ancora seguita pastoralmente dai padri comboniani.

Nairobi è una delle città più occidentali dell’Africa, posta, anche geograficamente a mo’ di snodo politico, commerciale e sociale di tutto il continente.

Eppure, la presenza di queste immense favelas degradate, dove la dignità dell’uomo non si sa più dove stia di casa, sembra non inquietare più di tanto. Certo, inquieta per la carica criminogena che questo esercito di esclusi porta con sé, un’inquietudine combattuta con l’aumento esponenziale di corpi privati di sicurezza davanti a banche, locali pubblici, ristoranti, nonché sistemi di protezione sempre più sofisticati.

Ma i ragazzi di strada pullulano, ovunque, pronti a derubarti per procurarsi quel minimo di “sostanze” capaci di non far provare loro fame o freddo o semplicemente la frustrazione per una vita fallita. Come in altre grandi città d’Europa e del mondo dormono nei posti più improbabili, aspirano colla quando non riescono a procurarsi nient’altro.

A volte coloro che operano in questi slums si chiedono quale sia il senso della loro azione, se non sia come cercare di raccogliere l’acqua con un colabrodo. Si chiedono se sia carità quella che non riesce neppure lontanamente a rimuovere le cause di questo male.

Non c’è facile risposta, ovviamente.

Di certo è lancinante la provocazione: fino a quando? Fino a quando potrà perdurare questa scandalosa situazione? Fino a quando possiamo illuderci di far parte della minoranza privilegiata senza che la maggioranza dell’umanità in qualche modo si ribelli? Quanto ancora dovremo attendere perché nasca una classe politica capace di mostrare il carattere vantaggioso e convincente di un modello di sviluppo sostenibile per tutti?