Share

Milano

Vuoto statistico, forse è meglio così

L'Ufficio anagrafe del capoluogo lombardo ignora il numero dei senza dimora a cui viene concessa la residenza anagrafica. A garantire questo diritto fondamentale ci pensa una rete di associazioni delegate dall'amministrazione -

Daniela PALUMBO Redazione

6 Febbraio 2009

L’ufficio anagrafe del comune di Milano ignora quanti siano i senza fissa dimora a cui viene concessa la residenza anagrafica. Non esiste un database né un registro dove sia riportato il numero delle residenze autorizzate. A Milano, a dare attuazione al diritto di cittadinanza delle persone senza dimora, ci sono organismi del privato sociale delegati dall’amministrazione: Caritas Ambrosiana (attraverso i centri di ascolto ad essa collegati e il Servizio accoglienza milanese – Sam in primis), il servizio Sos Exodus, alcune parrocchie accreditate come centri di ascolto, la Casa di accoglienza comunale di viale Ortles e altre associazioni. Una rete sociale eterogenea, che fornisce da diversi anni, con l’autorizzazione del comune, la concessione della residenza nella propria sede e quindi l’iscrizione alle liste anagrafiche municipali.
Il vuoto statistico è conseguenza del fatto che il comune di Milano, nel 1995 (in seguito alla causa intentata contro il comune stesso, e vinta, da una persona senza dimora che si era vista rifiutare la richiesta di residenza anagrafica), ha dato mandato a una rete sociale di concedere la residenza. Quella di Milano è un’anomalia fra le grandi città italiane: solitamente è prevista dai comuni l’istituzione di un indirizzo inesistente, dove si iscrive il domicilio dei senza dimora.
L’attribuzione di residenza è la chiave d’accesso a una serie di diritti, fra cui l’assistenza sociale, la sanità e la previdenza, che incidono sulle spese di un comune (e anche di stato e regioni) e dovrebbero incidere sulle sue politiche sociali. Ma a Milano i senza dimora, sulla carta, sembrerebbero non esistere.
«Abbiamo incontri annuali – spiega il responsabile del settore Grave emarginazione di Caritas Ambrosiana, Raffaele Gnocchi –, in cui diamo conto al comune. Va anche detto che il numero delle residenze anagrafiche concesse dalla rete sociale incaricata dal comune non esaurisce il problema: il Sam, ad esempio, insieme ai centri di ascolto Caritas “ospita” 500 residenze anagrafiche attive, ma i senza dimora a Milano sono molti di più». L’ufficio anagrafe del comune di Milano ignora quanti siano i senza fissa dimora a cui viene concessa la residenza anagrafica. Non esiste un database né un registro dove sia riportato il numero delle residenze autorizzate. A Milano, a dare attuazione al diritto di cittadinanza delle persone senza dimora, ci sono organismi del privato sociale delegati dall’amministrazione: Caritas Ambrosiana (attraverso i centri di ascolto ad essa collegati e il Servizio accoglienza milanese – Sam in primis), il servizio Sos Exodus, alcune parrocchie accreditate come centri di ascolto, la Casa di accoglienza comunale di viale Ortles e altre associazioni. Una rete sociale eterogenea, che fornisce da diversi anni, con l’autorizzazione del comune, la concessione della residenza nella propria sede e quindi l’iscrizione alle liste anagrafiche municipali.Il vuoto statistico è conseguenza del fatto che il comune di Milano, nel 1995 (in seguito alla causa intentata contro il comune stesso, e vinta, da una persona senza dimora che si era vista rifiutare la richiesta di residenza anagrafica), ha dato mandato a una rete sociale di concedere la residenza. Quella di Milano è un’anomalia fra le grandi città italiane: solitamente è prevista dai comuni l’istituzione di un indirizzo inesistente, dove si iscrive il domicilio dei senza dimora.L’attribuzione di residenza è la chiave d’accesso a una serie di diritti, fra cui l’assistenza sociale, la sanità e la previdenza, che incidono sulle spese di un comune (e anche di stato e regioni) e dovrebbero incidere sulle sue politiche sociali. Ma a Milano i senza dimora, sulla carta, sembrerebbero non esistere. «Abbiamo incontri annuali – spiega il responsabile del settore Grave emarginazione di Caritas Ambrosiana, Raffaele Gnocchi –, in cui diamo conto al comune. Va anche detto che il numero delle residenze anagrafiche concesse dalla rete sociale incaricata dal comune non esaurisce il problema: il Sam, ad esempio, insieme ai centri di ascolto Caritas “ospita” 500 residenze anagrafiche attive, ma i senza dimora a Milano sono molti di più». Concessa a chi ne fa richiesta C’è anche chi ritiene che imbrigliare nelle pastoie burocratiche la residenza anagrafica, a Milano, non paga. «Il privato è più duttile – spiega Maurizio Rotaris, responsabile di Exodus –: il comune porrebbe molti paletti. Ad Exodus non abbiamo soglie di requisiti: la cittadinanza la concediamo a chiunque ne faccia richiesta, perché è un diritto. Punto e basta. Finora abbiamo concesso circa 470 residenze, di cui circa 200 attive». Altre 400 le ha concesse la parrocchia della Medaglia Miracolosa di viale Lucania, 48 (a fine 2008) dipendevano dalla Casa di accoglienza Ortles. «Anche Milano – conclude Raffaele Gnocchi – arriverà a concedere la cittadinanza come un diritto a tutti. Basterà, banalmente, una causa al comune per attivare l’automatismo, garantito dalla legge. É sacrosanto, e tutti speriamo che Milano si decida a fare questo passo, che è anche il riconoscimento della piena esistenza di persone sempre più a rischio di esclusione sociale. Però siamo preoccupati. Il Sam e i centri di ascolto Caritas, oltre alla compilazione del modulo per la residenza, seguono tutto il percorso dell’ottenimento dei diritti che ne conseguono. Una volta “affidato” al comune, il senza dimora sarà seguito allo stesso modo? Siamo scettici. Basti pensare che per ottenere un colloquio con un’assistente sociale comunale, a Milano può capitare che si verifichino attese di tre mesi…».