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La storia

Una vita diversa, un uomo di speranza

Vive legato a un respiratore automatico, ma non si arrende: Gilberto Binaghi racconta la sua storia in un libro. Presso l'ospedale di Saronno ha dettato pensieri ed esperienze ai volontari che hanno scritto al suo posto

di Saverio CLEMENTI Redazione

30 Ottobre 2009

Gilberto Binaghi ha 61 anni e dal 1992 vive in una camera dell’ospedale di Saronno attaccato a un respiratore automatico, dopo essere stato colpito da ragazzo da una forma di distrofia muscolare progressiva. Grazie a una carrozzina elettrica, fornita di respiratore portatile che manovra con un dito, ha conquistato un po’ di indipendenza e oggi riesce a vedere qualcosa del mondo esterno. Eppure la sua è una vita piena: ama la filatelia e la cartofilia, a cui si dedica con l’aiuto di amici e conoscenti, e ha partecipato a mostre in Italia e all’estero. Un’esistenza certamente difficile che ha voluto raccontare in un libro, pubblicato recentemente dalla Editrice Monti, dal titolo Come un album. Esperienze di una vita diversa.
«La realizzazione di questo libro è nata per caso, quasi come un gioco, per riempire scampoli di tempo che passano lentamente vivendo in una camera d’ospedale – racconta -. La stesura del testo è stata fatta sotto dettatura coinvolgendo persone che hanno donato parte del loro tempo, impugnando una penna al mio posto. Non mi considero uno scrittore e non voglio insegnare niente a nessuno. L’unico augurio è di poter conoscere parte di me, di un tempo passato e attuale, e di trascorrere un’ora lontano dalle preoccupazioni e dai problemi di ogni giorno».
La malattia non ha impedito a Gilberto di coltivare amicizie e di frequentare gruppi legati al mondo cattolico saronnese, come il Centro Volontari della Sofferenza («definizione che non mi piacque proprio – confessa -, anche perché non mi sentivo affatto “sofferente”») e il Gruppo Betania. Il libro affida a monsignor Franco Agnesi, oggi prevosto di Busto Arsizio, ma allora giovane sacerdote residente presso il Seminario di Saronno, il compito di ricordare quegli anni. «Così ti vedo ancora – scrive -: un uomo di speranza. Durante le discussioni sulla nostra/vostra identità di gruppo, il tuo sguardo, più che le tue parole, ci dicevano: ma che cosa è più importante? Anche il tuo sorriso intelligente e un po’ “da presa in giro”, mi ricordava di tenere bene i piedi per terra di fronte alle grandi parole e ai grandi discorsi, ma nello stesso tempo invitava ad alzare lo sguardo, a tendere la mano, a inchinarsi verso i fratelli, a rispettare il dolore e la dignità di tutti».
Gilberto Binaghi ripercorre i momenti più significativi della sua vita: quelli sereni di un’infanzia trascorsa con la famiglia in una tipica casa di ringhiera, seguiti dai primi sintomi di una malattia che avrebbe definitivamente segnato il suo futuro, fino alla drammatica crisi che lo portò in fin di vita in terapia intensiva e da cui uscì definitivamente legato a un respiratore automatico. Soltanto con l’arrivo della carrozzina elettrica poté finalmente uscire liberamente dalla sua stanza e riconquistare momenti di libertà e la voglia vivere.
Il libro si chiude con un album di fotografie che accompagnano e testimoniano tutte le tappe di un’esistenza mai banale e subita. Tanti flash di momenti vissuti, passati per la mente, di giorno e nelle lunghe ore insonni della notte. È inutile cercare parole dure o di sconforto, di chi chiede risarcimenti per quello che la vita non è stato in grado di dargli. Anzi, dalla sofferenza ha saputo ricavare un insegnamento per se stesso e per gli altri: «Forse io ci sono per testimoniare che si può essere liberi di pensare e di programmare anche se non si possono usare mani e piedi. Forse è per testimoniare che la speranza sta nel credere che esiste Qualcuno che ha cura di ciascuno di noi». Gilberto Binaghi ha 61 anni e dal 1992 vive in una camera dell’ospedale di Saronno attaccato a un respiratore automatico, dopo essere stato colpito da ragazzo da una forma di distrofia muscolare progressiva. Grazie a una carrozzina elettrica, fornita di respiratore portatile che manovra con un dito, ha conquistato un po’ di indipendenza e oggi riesce a vedere qualcosa del mondo esterno. Eppure la sua è una vita piena: ama la filatelia e la cartofilia, a cui si dedica con l’aiuto di amici e conoscenti, e ha partecipato a mostre in Italia e all’estero. Un’esistenza certamente difficile che ha voluto raccontare in un libro, pubblicato recentemente dalla Editrice Monti, dal titolo Come un album. Esperienze di una vita diversa.«La realizzazione di questo libro è nata per caso, quasi come un gioco, per riempire scampoli di tempo che passano lentamente vivendo in una camera d’ospedale – racconta -. La stesura del testo è stata fatta sotto dettatura coinvolgendo persone che hanno donato parte del loro tempo, impugnando una penna al mio posto. Non mi considero uno scrittore e non voglio insegnare niente a nessuno. L’unico augurio è di poter conoscere parte di me, di un tempo passato e attuale, e di trascorrere un’ora lontano dalle preoccupazioni e dai problemi di ogni giorno».La malattia non ha impedito a Gilberto di coltivare amicizie e di frequentare gruppi legati al mondo cattolico saronnese, come il Centro Volontari della Sofferenza («definizione che non mi piacque proprio – confessa -, anche perché non mi sentivo affatto “sofferente”») e il Gruppo Betania. Il libro affida a monsignor Franco Agnesi, oggi prevosto di Busto Arsizio, ma allora giovane sacerdote residente presso il Seminario di Saronno, il compito di ricordare quegli anni. «Così ti vedo ancora – scrive -: un uomo di speranza. Durante le discussioni sulla nostra/vostra identità di gruppo, il tuo sguardo, più che le tue parole, ci dicevano: ma che cosa è più importante? Anche il tuo sorriso intelligente e un po’ “da presa in giro”, mi ricordava di tenere bene i piedi per terra di fronte alle grandi parole e ai grandi discorsi, ma nello stesso tempo invitava ad alzare lo sguardo, a tendere la mano, a inchinarsi verso i fratelli, a rispettare il dolore e la dignità di tutti».Gilberto Binaghi ripercorre i momenti più significativi della sua vita: quelli sereni di un’infanzia trascorsa con la famiglia in una tipica casa di ringhiera, seguiti dai primi sintomi di una malattia che avrebbe definitivamente segnato il suo futuro, fino alla drammatica crisi che lo portò in fin di vita in terapia intensiva e da cui uscì definitivamente legato a un respiratore automatico. Soltanto con l’arrivo della carrozzina elettrica poté finalmente uscire liberamente dalla sua stanza e riconquistare momenti di libertà e la voglia vivere.Il libro si chiude con un album di fotografie che accompagnano e testimoniano tutte le tappe di un’esistenza mai banale e subita. Tanti flash di momenti vissuti, passati per la mente, di giorno e nelle lunghe ore insonni della notte. È inutile cercare parole dure o di sconforto, di chi chiede risarcimenti per quello che la vita non è stato in grado di dargli. Anzi, dalla sofferenza ha saputo ricavare un insegnamento per se stesso e per gli altri: «Forse io ci sono per testimoniare che si può essere liberi di pensare e di programmare anche se non si possono usare mani e piedi. Forse è per testimoniare che la speranza sta nel credere che esiste Qualcuno che ha cura di ciascuno di noi».