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Società

Immigrati, allarmi immotivati

A proposito di criminalità e pericolosità sociale, i dati di una ricerca realizzata da Caritas/Migrantes e Redattore Sociale

8 Ottobre 2009

Gli allarmi sulla criminalità legati all’immigrazione sono immotivati: «Non corrisponde al vero l’affermazione che il tasso di criminalità degli immigrati è di 5-6 volte superiore a quello degli italiani come spesso si afferma». Il dato è fornito dalla ricerca “La criminalità degli immigrati: dati, interpretazioni e pregiudizi”, presentata a Roma e realizzata dall’équipe del Dossier statistico immigrazione Caritas/Migrantes e dall’Agenzia “Redattore Sociale”. La ricerca sarà pubblicata parzialmente nel prossimo Dossier statistico immigrazione, che sarà presentato a Roma e in diverse città italiane il 28 ottobre, e integralmente nella prossima Guida per l’informazione sociale 2010, che “Redattore Sociale” presenterà a fine novembre. Gli allarmi sulla criminalità legati all’immigrazione sono immotivati: «Non corrisponde al vero l’affermazione che il tasso di criminalità degli immigrati è di 5-6 volte superiore a quello degli italiani come spesso si afferma». Il dato è fornito dalla ricerca “La criminalità degli immigrati: dati, interpretazioni e pregiudizi”, presentata a Roma e realizzata dall’équipe del Dossier statistico immigrazione Caritas/Migrantes e dall’Agenzia “Redattore Sociale”. La ricerca sarà pubblicata parzialmente nel prossimo Dossier statistico immigrazione, che sarà presentato a Roma e in diverse città italiane il 28 ottobre, e integralmente nella prossima Guida per l’informazione sociale 2010, che “Redattore Sociale” presenterà a fine novembre. Il tasso di criminalità degli stranieri Secondo i ricercatori «nonostante condizioni sociali e normative sfavorevoli», il «tasso di criminalità» degli immigrati regolari nel nostro Paese è «solo leggermente più alto di quello degli italiani (tra l’1,23% e l’1,40%, contro lo 0,75%) e, se si tiene conto della differenza di età, questo tasso è uguale a quello degli italiani. A influire al riguardo, infatti, sono le fasce di età più giovani, mentre è addirittura inferiore tra le persone oltre i 40 anni».Secondo la ricerca, il coinvolgimento degli immigrati in attività criminose è legato in maniera «preponderante alla condizione di irregolarità: oscilla infatti tra il 70 e l’80% la quota di irregolari tra le persone denunciate. Va però tenuto conto, per non trasformare gli irregolari in delinquenti, dei cosiddetti reati strumentali o relativi alla condizione stessa dell’immigrato, che incidono per almeno un quarto sul carico penale degli stranieri». «Reati di stranieri» Quando si leggono i dati su immigrazione e criminalità – spiegano ancora i curatori della ricerca – occorre tener presente che in Italia la «stragrande maggioranza dei reati ascritti agli immigrati» sono classificati come «reati di stranieri», in quanto «sono pochissimi gli immigrati che hanno ottenuto la cittadinanza italiana». Inoltre il «contributo» degli immigrati alla criminalità, «pur essendo visibile in alcune fattispecie gravi, è prevalentemente limitato a episodi di microcriminalità, comunque preoccupanti e non sottovalutabili». Tra i reati commessi, la maggioranza spetta a quelli relativi alle leggi in materia di immigrazione.Secondo i ricercatori l’incidenza degli stranieri sulla criminalità viene solitamente calcolata come se le due popolazioni (italiani e immigrati) avessero la stessa composizione anagrafica. In realtà la popolazione immigrata è caratterizzata da una concentrazione di soggetti giovani molto più forte. La differenza tra italiani e stranieri si concentra tra i ventenni e i trentenni, una fascia di età in cui è più frequente che gli immigrati inizino la loro vicenda migratoria. Dai 40 anni in poi, quando l’inserimento si è consolidato, il «tasso di delinquenza» – rileva la ricerca – è «minore» degli italiani. Considerando poi i reati commessi «in quanto stranieri» (con infrazioni legate alla normativa che li riguarda in maniera specifica), «il tasso di delinquenza tra italiani e stranieri è equiparabile. Anzi, se si tenesse conto delle più sfavorevoli condizioni socio-economico-familiari degli immigrati, la bilancia finirebbe per pendere dalla loro parte». Per una convivenza interetnica «È evidente – si legge nello studio – che se la criminalità dovesse crescere di pari passo con l’immigrazione, questa sarebbe a ragione una fonte di allarme sociale; in realtà, molto spesso gli stranieri sono diventati spesso un capro espiatorio per lenire l’insicurezza degli italiani in una fase di forti cambiamenti culturali e di crisi economica». Per questo la questione merita di essere «inquadrata in maniera più corretta». Da qui il bisogno di individuare «strategie più adatte a favorire una fruttuosa convivenza interetnica» e l’attuazione di politiche sociali più «inclusive». «La criminalità deve essere duramente contrastata – è la conclusione – perché offusca le valenze positive dell’immigrazione, sulle quali a più riprese è ritornato il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, e la parola d’ordine deve essere integrazione».«Non si tratta di fare prediche – dice Franco Pittau, coordinatore del Dossier statistico immigrazione Caritas/Migrantes -, ma di generare convinzioni sulla base di una documentazione statistica in parte innovativa. Alla fine di questo sforzo conoscitivo, i più di 4 milioni di immigrati che vivono in Italia, quelli della porta accanto, quelli dei quali siamo portati ad avere paura, appaiono poveri diavoli come noi italiani, all’incirca con lo stesso tasso di delinquenza, alle prese più con i difficili compiti di questa fase di crisi che con comportamenti delittuosi». Questa ricerca, conclude Pittau, «ci sembra un supporto concreto alla raccomandazione della Cei di coniugare sicurezza e integrazione e, perciò, siamo lieti di averla portata a termine».