Per contrastare la recessione, con i suoi effetti perversi sul fronte occupazionale e sociale, ogni mezzo (lecito) è ben accetto. Del resto «non possiamo impedire che questa crisi sia causa di disoccupazione»; ciò che si può fare è limitare i danni, immettere soldi freschi e iniezioni di fiducia sui mercati e sperare che la burrasca passi presto. È la filosofia che ha fatto da filo conduttore al mini-vertice del 7 maggio a Praga, promosso dall’Ue con le parti sociali, assenti i principali attori politico-economici continentali, ovvero i governi degli Stati Ue e il mondo della finanza.
Il vertice, durato meno di mezza giornata, ha formulato alcune proposte – rese note dal presidente della Commissione José Manuel Barroso – che giungeranno sul tavolo del Consiglio europeo del 18-19 giugno, quando l’Ue tornerà a parlare di crisi ai massimi livelli, con la presenza dei ventisette capi di Stato e di governo. Le “proposte di Praga” sono state dunque riassunte in un “decalogo”. Quasi si potessero calare dall’alto regole virtuose, capaci di mettere al riparo i posti di lavoro e, con essi, i redditi delle famiglie, rilanciando al contempo i consumi e la propensione a investire da parte delle aziende.
Le «10 azioni concrete, a breve e a lungo termine», da «realizzarsi a livello nazionale ed europeo insieme alle parti sociali» (secondo le parole di Barroso) sono sintetizzate in dieci verbi. Dunque, occorre «aiutare» il maggior numero di persone possibile a mantenere il proprio impiego, «con aggiustamenti temporanei dell’orario di lavoro combinati ad azioni di riqualificazione finanziate pubblicamente, anche dal Fondo sociale europeo»; «incoraggiare» l’imprenditorialità e la creazione di posti di lavoro, «diminuendo ad esempio i costi extrasalariali della manodopera»; «migliorare» l’efficienza delle agenzie nazionali di collocamento; «aumentare» il numero degli apprendistati e dei tirocini.
Bisogna poi «promuovere» mercati del lavoro più integrati che fra l’altro considerino i gruppi svantaggiati, come disabili e migranti; «adeguare» le abilità a tutti i livelli attraverso l’educazione permanente; «usare» la mobilità della manodopera «perché la domanda e l’offerta di lavoro si possano incontrare»; «individuare» future opportunità di lavoro, «per meglio progettare l’offerta di formazione professionale». Seguono: «assistere» giovani e disoccupati nell’avvio di imprese proprie offrendo formazione, capitali e abbassando l’onere fiscale per avviare un’impresa; e, infine, «dirigere» la ristrutturazione delle economie «attraverso l’apprendimento e lo scambio di pratiche esemplari».
Dopo aver fornito le nuove “tavole della legge” (in realtà si tratta di proposte serie e in parte percorribili), Barroso ha almeno ammesso: «L’iniziativa europea sull’occupazione non comincia e non si arresta con il vertice» di Praga, «ma con esso diciamo ai cittadini che la loro occupazione è l’obiettivo numero uno dell’Europa». Sull’efficacia dell’azione Ue si ripongono nuove speranze (le quali – è possibile obiettare – non offrono stipendi e raramente riempiono il piatto), anche se molto dipenderà dall’impegno degli Stati, che hanno la titolarità e la prima responsabilità per interventi di rilancio delle proprie economie. Per contrastare la recessione, con i suoi effetti perversi sul fronte occupazionale e sociale, ogni mezzo (lecito) è ben accetto. Del resto «non possiamo impedire che questa crisi sia causa di disoccupazione»; ciò che si può fare è limitare i danni, immettere soldi freschi e iniezioni di fiducia sui mercati e sperare che la burrasca passi presto. È la filosofia che ha fatto da filo conduttore al mini-vertice del 7 maggio a Praga, promosso dall’Ue con le parti sociali, assenti i principali attori politico-economici continentali, ovvero i governi degli Stati Ue e il mondo della finanza.Il vertice, durato meno di mezza giornata, ha formulato alcune proposte – rese note dal presidente della Commissione José Manuel Barroso – che giungeranno sul tavolo del Consiglio europeo del 18-19 giugno, quando l’Ue tornerà a parlare di crisi ai massimi livelli, con la presenza dei ventisette capi di Stato e di governo. Le “proposte di Praga” sono state dunque riassunte in un “decalogo”. Quasi si potessero calare dall’alto regole virtuose, capaci di mettere al riparo i posti di lavoro e, con essi, i redditi delle famiglie, rilanciando al contempo i consumi e la propensione a investire da parte delle aziende.Le «10 azioni concrete, a breve e a lungo termine», da «realizzarsi a livello nazionale ed europeo insieme alle parti sociali» (secondo le parole di Barroso) sono sintetizzate in dieci verbi. Dunque, occorre «aiutare» il maggior numero di persone possibile a mantenere il proprio impiego, «con aggiustamenti temporanei dell’orario di lavoro combinati ad azioni di riqualificazione finanziate pubblicamente, anche dal Fondo sociale europeo»; «incoraggiare» l’imprenditorialità e la creazione di posti di lavoro, «diminuendo ad esempio i costi extrasalariali della manodopera»; «migliorare» l’efficienza delle agenzie nazionali di collocamento; «aumentare» il numero degli apprendistati e dei tirocini.Bisogna poi «promuovere» mercati del lavoro più integrati che fra l’altro considerino i gruppi svantaggiati, come disabili e migranti; «adeguare» le abilità a tutti i livelli attraverso l’educazione permanente; «usare» la mobilità della manodopera «perché la domanda e l’offerta di lavoro si possano incontrare»; «individuare» future opportunità di lavoro, «per meglio progettare l’offerta di formazione professionale». Seguono: «assistere» giovani e disoccupati nell’avvio di imprese proprie offrendo formazione, capitali e abbassando l’onere fiscale per avviare un’impresa; e, infine, «dirigere» la ristrutturazione delle economie «attraverso l’apprendimento e lo scambio di pratiche esemplari».Dopo aver fornito le nuove “tavole della legge” (in realtà si tratta di proposte serie e in parte percorribili), Barroso ha almeno ammesso: «L’iniziativa europea sull’occupazione non comincia e non si arresta con il vertice» di Praga, «ma con esso diciamo ai cittadini che la loro occupazione è l’obiettivo numero uno dell’Europa». Sull’efficacia dell’azione Ue si ripongono nuove speranze (le quali – è possibile obiettare – non offrono stipendi e raramente riempiono il piatto), anche se molto dipenderà dall’impegno degli Stati, che hanno la titolarità e la prima responsabilità per interventi di rilancio delle proprie economie.
Dopo il vertice di Praga
Europa, limitare i danni
Le "dieci azioni" contro la crisi che verranno formalizzate nel Consiglio di metà giugno
Gianni BORSA Redazione
13 Maggio 2009