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Esteri

Europa, celebrare non basta

Verso il 20° anniversario della caduta del Muro di Berlino

Gianni BORSA Redazione

10 Luglio 2009

Tra pochi mesi l’Europa ricorderà la caduta del Muro di Berlino. La data-simbolo del 9 novembre 1989 segnala lo sfaldamento del blocco sovietico, il fallimento “sul campo” del comunismo nell’Est europeo, il successivo ricongiungimento della parte orientale con quella occidentale del vecchio continente. Da allora l’Europa ha fatto molti passi avanti, anche se solo di recente ha aperto gli occhi rispetto ad alcune errate valutazioni di allora. Il crollo dei regimi collettivisti non ha infatti significato la “prova provata” del successo storico del libero mercato (la crisi finanziaria imperante ne è un’ultima ed evidente dimostrazione) e nemmeno della democrazia occidentale, che mostra tanti aspetti positivi accanto a innumerevoli debolezze (distanza delle istituzioni dai cittadini e viceversa, scarsa partecipazione alla vita politica, difficoltà nel creare classi dirigenti moderne e credibili, corruzione…).
Ma se per il 9 novembre dovremo attenderci celebrazioni in ogni angolo del continente, non dovrebbe sfuggire il valore di almeno altre due date di quello stesso, emblematico e appassionante 1989 (che è pure l’anno delle prime elezioni libere in Polonia e, fuori dai confini europei, di piazza Tien An Men in Cina). Il 27 giugno, infatti, gli allora ministri degli Esteri austriaco, Alois Mock, e ungherese, Gyula Horn, attraversarono insieme il confine, nei pressi della cittadina di Sopron, aprendo di fatto un coraggioso varco nella Cortina di ferro che tagliava politicamente in due l’Europa dalla fine della seconda guerra mondiale. Il 19 agosto successivo, invece, si svolse il “picnic paneuropeo”, dimostrazione pacifica sempre vicino a Sopron, favorita dall’apertura delle due frontiere mediante previo accordo dei governi di Vienna e Budapest.
Lo smantellamento delle postazioni di confine, guardato con sospetto nelle altre capitali del Patto di Varsavia e persino in qualche ambiente diplomatico occidentale, era un ulteriore segnale dell’imminente cambio di era. La nascita di Solidarnosc in Polonia, la glasnost di Gorbaciov a Mosca, il battesimo di tanti movimenti intellettuali o di piazza oltre Cortina indicavano che la misura era colma: l’aria di libertà e di democrazia cominciava a spirare anche a est. Il ruolo storico e politico svolto in tal senso da Giovanni Paolo II è già stato unanimemente riconosciuto.
Ma, come sempre, celebrare non basta. Il 27 giugno, il 19 agosto e anche il 9 novembre 1989 non avrebbero alcun senso se oggi l’Europa dovesse essere tagliata in due da una nuova Cortina: tra paesi ricchi e poveri di mezzi materiali; tra nazioni in cui gli standard di vita o i livelli occupazionali e salariali mostrano profonde differenze; tra chi crede di più e chi meno, o per nulla, nell’integrazione comunitaria; tra chi è “amico” del partner americano e chi ne è semplicemente succube… Fare seriamente il punto della situazione vent’anni dopo, potrebbe aiutare l’Europa a guardare avanti con determinazione, anziché soffermarsi a rimirare nostalgicamente il passato. Tra pochi mesi l’Europa ricorderà la caduta del Muro di Berlino. La data-simbolo del 9 novembre 1989 segnala lo sfaldamento del blocco sovietico, il fallimento “sul campo” del comunismo nell’Est europeo, il successivo ricongiungimento della parte orientale con quella occidentale del vecchio continente. Da allora l’Europa ha fatto molti passi avanti, anche se solo di recente ha aperto gli occhi rispetto ad alcune errate valutazioni di allora. Il crollo dei regimi collettivisti non ha infatti significato la “prova provata” del successo storico del libero mercato (la crisi finanziaria imperante ne è un’ultima ed evidente dimostrazione) e nemmeno della democrazia occidentale, che mostra tanti aspetti positivi accanto a innumerevoli debolezze (distanza delle istituzioni dai cittadini e viceversa, scarsa partecipazione alla vita politica, difficoltà nel creare classi dirigenti moderne e credibili, corruzione…).Ma se per il 9 novembre dovremo attenderci celebrazioni in ogni angolo del continente, non dovrebbe sfuggire il valore di almeno altre due date di quello stesso, emblematico e appassionante 1989 (che è pure l’anno delle prime elezioni libere in Polonia e, fuori dai confini europei, di piazza Tien An Men in Cina). Il 27 giugno, infatti, gli allora ministri degli Esteri austriaco, Alois Mock, e ungherese, Gyula Horn, attraversarono insieme il confine, nei pressi della cittadina di Sopron, aprendo di fatto un coraggioso varco nella Cortina di ferro che tagliava politicamente in due l’Europa dalla fine della seconda guerra mondiale. Il 19 agosto successivo, invece, si svolse il “picnic paneuropeo”, dimostrazione pacifica sempre vicino a Sopron, favorita dall’apertura delle due frontiere mediante previo accordo dei governi di Vienna e Budapest.Lo smantellamento delle postazioni di confine, guardato con sospetto nelle altre capitali del Patto di Varsavia e persino in qualche ambiente diplomatico occidentale, era un ulteriore segnale dell’imminente cambio di era. La nascita di Solidarnosc in Polonia, la glasnost di Gorbaciov a Mosca, il battesimo di tanti movimenti intellettuali o di piazza oltre Cortina indicavano che la misura era colma: l’aria di libertà e di democrazia cominciava a spirare anche a est. Il ruolo storico e politico svolto in tal senso da Giovanni Paolo II è già stato unanimemente riconosciuto.Ma, come sempre, celebrare non basta. Il 27 giugno, il 19 agosto e anche il 9 novembre 1989 non avrebbero alcun senso se oggi l’Europa dovesse essere tagliata in due da una nuova Cortina: tra paesi ricchi e poveri di mezzi materiali; tra nazioni in cui gli standard di vita o i livelli occupazionali e salariali mostrano profonde differenze; tra chi crede di più e chi meno, o per nulla, nell’integrazione comunitaria; tra chi è “amico” del partner americano e chi ne è semplicemente succube… Fare seriamente il punto della situazione vent’anni dopo, potrebbe aiutare l’Europa a guardare avanti con determinazione, anziché soffermarsi a rimirare nostalgicamente il passato.