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Quando il cattivo esempio arriva dagli adulti

La riflessione di un parroco a margine delle "stragi del sabato sera"

30 Settembre 2008

30/09/2008

di Angelo ZORLONI
Parroco Santi Nazaro e Celso, Bresso

Un mazzo di fiori, un cartello con un messaggio, un’immagine. Li troviamo ormai con amara facilità sulle grandi vie a scorrimento veloce delle nostre città. Sono i segni delle stragi del sabato sera che falciano giovani vite, ne rovinano altre, gettano nella tragedia le loro famiglie. Quei segni ai bordi delle strade ci ricordano la sfida dei nostri giovani, belli e fragili. La sfida dello splendore delle loro vite e dello squallore dello sballo.

Quando penso ai giovani, la riflessione corre non su di loro, ma su noi adulti. I giovani costruiscono la casa della loro vita con i mattoni che noi adulti forniamo loro. L’emergenza educativa non è loro, ma nostra. Da qualcuno avranno imparato la smania per la bella vita e il disprezzo per quella che cresce semplice e laboriosa. Da qualcuno avranno acquistato la droga, o l’ennesimo bicchiere di alcol. Da qualcuno avranno imparato la violenza.

Etilometri, tabelle alcoliche, controlli delle forze dell’ordine: tutto bene. Ma ritengo che sia meglio dare ai giovani la nostra esemplarità di adulti che vivono attenti a fare il bene più che a star bene. E che sanno amare e soffrire, lavorare e divertirsi, con questo stile chiaro e forte. Alcuni piagnucolosi servizi televisivi sugli incidenti dovuti allo sballo, posti negli stessi palinsesti che esaltano superficialità, soldi, istintività e potere, si meritano solo l’irritato cambio di canale, suggello della fine di ogni loro credibilità.

Quando penso allo sballo dei giovani, penso anche al bene che i giovani fanno, che i giovani sono. Spesso sono i medesimi giovani: che studiano o lavorano con impegno, che vivono sincere amicizie, che hanno nel cuore un’infinita ansia di senso e di bellezza. Ma che cedono al fascino oscuro dello sballo e del nonsenso.

Generazione più confusa che perduta. Ha scritto il cardinale Tettamanzi quest’estate ai giovani preti: «I ragazzi e i giovani voi li conoscete bene: spesso non conoscono il significato vero di che cosa siano la libertà, l’amicizia, l’affetto, la dedizione agli altri, la bellezza della vita comunitaria cristiana. Voi aiutate questi ragazzi a crescere; voi siete per loro una presenza importante per il loro presente e per il loro futuro. Il Vangelo e il suo messaggio – così religioso e insieme così umano – non sono forse immediatamente comprensibili dai ragazzi che incontrate, però sono certo che essi hanno in fondo al cuore un vero desiderio di bene, un desiderio che ha bisogno di essere ridestato, sostenuto, favorito».

Sostenere, ridestare, favorire, ascoltare, conoscerli. Anche dire dei no chiari e forti. Mai lasciare soli i giovani. In famiglia, a scuola, nelle comunità ecclesiali, nelle agenzie educative. Questa prossimità fa bene ai giovani e fa bene a noi.