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Quando il cardinale Schuster denunciò le leggi razziali

Il 13 novembre 1938, in Duomo, l'Arcivescovo pronunciò una durissima omelia contro i provvedimenti del regime fascista che di lì a qualche giorno sarebbero stati approvati. Le sue parole, le prese di posizione di Pio XI e i coraggiosi interventi del laicato cattolico dimostrano che la Chiesa non fu affatto passiva davanti alla barbarie che avanzava in Italia

18 Dicembre 2008

19/12/2008

In relazione alle recenti affermazioni del presidente della Camera Gianfranco Fini, che – condannando le leggi razziali in occasione di una conferenza organizzata a Montecitorio nel 70° anniversario della loro promulgazione da parte del regime fascista -, ha rilevato che all’epoca nel nostro Paese non vi furono particolari manifestazioni di opposizione «nemmeno, mi duole dirlo, da parte della Chiesa cattolica», occorre evidenziare la ferma denuncia dell’antisemitismo pronunciata dal cardinale Schuster, arcivescovo di Milano, il 13 novembre 1938, pochi giorni prima che quei provvedimenti venissero approvati.

Era la prima domenica dell’Avvento ambrosiano e il Duomo fu teatro di uno tra i momenti più importanti, drammatici e, insieme, “alti” della storia di Milano e dell’intera nazione. Nell’omelia Schuster prese la parola sul razzismo, con un giudizio che aprì un vulnus insanabile tra la Chiesa ambrosiana e il fascismo.

«E’ nata all’estero – disse – e serpeggia un po’ dovunque una specie di eresia, che non solamente attenta alla fondamenta soprannaturali della cattolica Chiesa, ma materializza nel sangue umano i concetti spirituali di individuo, di Nazione e di Patria, rinnega all’umanità ogni altro valore spirituale, e costituisce così un pericolo internazionale non minore di quello dello stesso bolscevismo. È il cosiddetto razzismo».

Il senso delle parole dell’Arcivescovo – che pareva rivolgersi non solo a Roma, ma anche a Berlino, capitale del Reich che si pretendeva millenario nel nome della pura razza ariana – non ammetteva troppe repliche. Quelle che giunsero nelle ore e nei giorni successivi, infatti, furono improntate a una sorta di reazione rabbiosa. Schuster aveva colpito nel segno, e il pericolo che la sua riflessione trovasse ascolto e si diffondesse – soprattutto per il prestigio e il rispetto di cui godeva l’Arcivescovo di Milano – era, per il fascismo, troppo grande.

La pubblicazione integrale del testo schusteriano su L’Italia del 15 novembre aggravò le cose, spingendo lo stesso Mussolini a chiedere spiegazioni al Federale di Milano Rino Parenti. La risposta di quest’ultimo offrì l’esatta dimensione dell’intervento arcivescovile.

Scrisse Parenti il 29 novembre 1938: «La mia opera non ha in alcun modo autorizzato a creare confusioni fra l’indiscusso prestigio del Fascismo milanese e la Chiesa… I lamenti dei protettori dei Giudei non sono raccolti. A Milano si sa che sul terreno della battaglia, sia razziale che di qualsivoglia altra natura, contro il Fascismo non la si spunta».

La verità, invece, è che il “cuore” della Milano ecclesiale aveva saputo tenere testa alla Milano del potere. Il Duce lo sapeva e – conoscendo come pochi la realtà ambrosiana – avrà immaginato che una predicazione tanto grave non poteva che essere stata concordata con Roma. Elemento di cui oggi gli storici sono convinti.

E’ in quel contesto, infatti, che si inserì l’omelia del Cardinale. Basti ricordare il lavoro della diplomazia vaticana e, soprattutto, le coraggiose prese di posizione di Pio XI, dalla notissima enciclica Mit brennender Sorge – Con ardente ansietà alle parole rivolte ai pellegrini belgi il 6 settembre 1938: «L’antisemitismo è inammissibile, spiritualmente siamo tutti semiti».

Qualcuno – negli ambienti della cattolicità illuminata lombarda – seppe intravvedere nell’antisemitismo uno dei punti di non ritorno della barbarie. Particolarmente belle e nobili furono le espressioni inviate a Schuster da Tommaso Gallarati Scotti alla vigilia del Natale 1938: «Acconsenta V.E. che colga questa stessa occasione per esprimerle il caldo consenso per la parola generosa e coraggiosa di ammaestramento che ha consolato e illuminato molte anime come la mia».

E si potrebbero aggiungere Raimondo Manzini e Sante Maggi. Manzini, direttore de L’Avvenire d’Italia, scrisse: «Eminenza! ho letto con emozione l’alta pagina apostolica e apologetica circa “Una eresia Nordica”. La riproduciamo su L’Avvenire di domani: intanto, Eminenza, permetta che esprima anche a nome dei nostri lettori profonda gratitudine. Si ha tanto bisogno di conforto nella Verità!».

Il meno famoso Maggi, direttore de L’Italia pagò da giornalista il suo coraggio. Nonostante l’appoggio incondizionato offertogli da Schuster, Maggi fu infatti rimosso dalla direzione del giornale dopo aver pubblicato, con grande evidenza, l’omelia in prima pagina il 15 novembre. Due giorni dopo la dottrina razziale e l’antisemitismo sarebbero diventate leggi dello Stato.

(con la collaborazione di Annamaria Braccini)