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Finanza, un terremoto scongiurato

Il "caso F&F" negli Usa e le conseguenze internazionali e nel nostro Paese

10 Settembre 2008

10/09/2008

di Nicola CURCI
economista

La nazionalizzazione di Fannie Mae e di Freddie Mac (F&F), i due colossi del credito americano specializzati nel mercato dei mutui immobiliari, da parte del governo di Washington, mette fine a un classico esempio di quelli che gli economisti chiamano “fallimenti di mercato”. F&F sono due istituti finanziari speciali: la loro storia è molto istruttiva per capire come l’interazione tra mercati e potere politico porti spesso a situazioni nefaste per l’intera economia.

Fannie Mae nacque negli anni Trenta del secolo scorso, come istituto pubblico volto a garantire la concessione di mutui obbligazionari alle famiglie americane, in difficoltà dopo la Grande Depressione iniziata nel 1929. In tal modo, il Governo americano puntava a sostenere la domanda di abitazioni e, quindi, gli investimenti immobiliari per favorire la ripresa economica.

Nel 1968 si decise di privatizzare l’istituto e le sue azioni furono vendute sul mercato: esso continuò a svolgere il suo compito di garanzia all’erogazione di mutui. Per far sì che il potere di mercato di questo istituto non crescesse in maniera smisurata, nel 1970 fu creata Freddie Mac, un istituto gemello assolutamente speculare al primo.

La garanzia fornita dai due istituti all’erogazione di mutui era percepita come una sorta di garanzia “governativa”, anche se erogata da un istituto privato. Questo perché pian piano i due istituti sono cresciuti sempre più, in quanto il potere politico si è sempre guardato dal regolamentarne il funzionamento, per via dei grandi interessi che ruotavano intorno a essi.

Si è arrivati così al classico “fallimento di mercato”: infatti, da un lato il management puntava alla massimizzazione del profitto per gli azionisti e per se stesso (tramite le famose stock options); dall’altro, tuttavia, conoscendo l’importanza strategica dei due istituti per il corretto funzionamento dei mercati finanziari, il management poteva assumere comportamenti sempre più rischiosi, fino ai limiti della legalità, sapendo che comunque, se le cose non fossero andate bene, il Governo americano non avrebbe lasciato fallire F&F.

E ciò si è puntualmente verificato. Con il gonfiarsi della bolla speculativa immobiliare dell’ultimo decennio, F&F hanno assunto un ruolo ancora più importante. Essi sono arrivati a controllare i due terzi dei mutui immobiliari americani. Le obbligazioni e i titoli che hanno emesso, avendo come garanzia questi mutui, sono stati acquistati dagli operatori di tutto il mondo, in particolare dei grandi Paesi emergenti dell’Asia.

Con lo scoppio della bolla immobiliare e il conseguente deterioramento dei bilanci dei due colossi, si è diffusa la paura di un eventuale fallimento di F&F, che avrebbe provocato il più grande terremoto della storia dei mercati finanziari: non solo la grande maggioranza dei mutui americani sarebbe diventata carta straccia e con essi i bilanci di tutti le banche americane, ma anche i possessori di titoli obbligazionari dei due colossi si sarebbero trovati con nulla in mano. Il terrore che tutto ciò si verificasse realmente spingeva le Borse di tutto il mondo al ribasso.

F&F erano, insomma, too big to fail, troppo grandi per fallire. E infatti il Governo americano ha deciso di porre fine a tutto questo, ri-nazionalizzandole. Nella patria del libero mercato, il Governo ha riconosciuto che questa situazione di “fallimento del mercato” non era più sostenibile.

Il contribuente americano pagherà un costo altissimo per questa nazionalizzazione. Ma era davvero l’unica strada percorribile. L’importante è che quanto avvenuto aiuti a ricostruire un sistema finanziario meglio funzionante. Per farlo è necessario stabilire regole ben precise, orientate alla trasparenza dei bilanci, alla massima diffusione delle informazioni sul mercato, a un sistema di incentivi al management che eviti il ricorso a rischi eccessivi per le società.

Ora che F&F rientrano nel recinto pubblico, c’è da attendersi che i mercati globali si rimettano in moto. L’anno orribile che abbiamo alle spalle è servito a riassorbire tanti eccessi degli ultimi dieci anni: gli squilibri della bilancia americana dei pagamenti, riassorbiti grazie alla debolezza del dollaro che ha favorito le esportazioni americane; gli squilibri nel mercato delle materie prime, con l’impennata dei prezzi che è in via di attenuazione; gli squilibri nei mercati finanziari, di cui F&F erano l’apice.

Il fatto è che il riassorbimento di questi eccessi ha provocato un’ondata di inflazione e forse anche una recessione mondiale. A pagare le conseguenze dell’una e dell’altra sono e saranno le famiglie. Per attenuare le conseguenze di tutto ciò, c’è bisogno di politiche economiche adeguate, che sostengano i redditi dei lavoratori senza far crescere ancora l’inflazione.

Nel nostro orticello italiano, c’è da augurarsi che sindacati e imprese sappiano scrivere regole di contrattazione salariale più efficaci di quelle attuali, per sostenere il potere d’acquisto di salari e pensioni e allo stesso tempo accrescere sensibilmente la produttività. Senza questo accordo, che deve arrivare subito, sarà difficile che le buone notizie in arrivo dall’economia mondiale contagino anche quella italiana. Ma a quel punto sarà ancora una volta solo colpa nostra.