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Storia

Rom, quello sterminio dimenticato

In occasione della Giornata della Memoria rievochiamo un episodio relativo a un altro olocausto meno conosciuto, quello del popolo zingaro

Silvio MENGOTTO Redazione

27 Gennaio 2009

Un mattino del 1941 la città, una cittadina bavarese come tante, si sveglia avvolta nella nebbia. È uscito da poco tempo il Liquindierungsbefehl, ossia l’ordine di «uccisione di tutti gli indesiderabili dal punto di vista razziale e politico, in quanto pericolosi per la sicurezza». E “gli indesiderabili” sono: funzionari comunisti, asiatici inferiori, ebrei e zingari.
Sulla piazza sono fermi due camion, sui cofani le croci uncinate. L’unico rumore sono i tacchi dei soldati nazisti, che rapidamente svolgono il loro mandato. La folla circonda i camion, stordita da un silenzio sempre più inquietante. Dalla porticina di un antico convento escono un centinaio di persone. Le voci dicono essere malati incurabili. Non c’è certezza, in realtà ci sono molti zingari. I cento vengono stipati nei camion sino a togliere il respiro dell’ultima speranza. Dopo l’accensione dei motori le vetture partono. La destinazione è scontata.
Per Moni Ovadia «l’Occidente ha un enorme debito in sospeso nei confronti del popolo rom. Ancora pesa la tragedia dei campi nazisti dove sono stati uccisi anche gli zingari». Ceija Stojka, bimba zingara che fu a Bergen-Belsen, dice: «Noi abbiamo costituito un popolo che è stato considerato sempre e comunque l’incarnazione del male… mi vedo davanti al diluvio universale, vedi la miseria non appena i bambini corrono e le SS li rincorrono. Questo ricordo non mi ha mai abbandonato… Ricominciare a vivere non è facile. Dio ha voluto che non scomparissimo del tutto. Egli ha salvato alcuni da quella follia, dagli artigli della comunità di criminale che altro non erano» (Forse sogno di vivere. Una bambina rom a Bergen-Belsen, La Giuntina, 2007). Un mattino del 1941 la città, una cittadina bavarese come tante, si sveglia avvolta nella nebbia. È uscito da poco tempo il Liquindierungsbefehl, ossia l’ordine di «uccisione di tutti gli indesiderabili dal punto di vista razziale e politico, in quanto pericolosi per la sicurezza». E “gli indesiderabili” sono: funzionari comunisti, asiatici inferiori, ebrei e zingari.Sulla piazza sono fermi due camion, sui cofani le croci uncinate. L’unico rumore sono i tacchi dei soldati nazisti, che rapidamente svolgono il loro mandato. La folla circonda i camion, stordita da un silenzio sempre più inquietante. Dalla porticina di un antico convento escono un centinaio di persone. Le voci dicono essere malati incurabili. Non c’è certezza, in realtà ci sono molti zingari. I cento vengono stipati nei camion sino a togliere il respiro dell’ultima speranza. Dopo l’accensione dei motori le vetture partono. La destinazione è scontata.Per Moni Ovadia «l’Occidente ha un enorme debito in sospeso nei confronti del popolo rom. Ancora pesa la tragedia dei campi nazisti dove sono stati uccisi anche gli zingari». Ceija Stojka, bimba zingara che fu a Bergen-Belsen, dice: «Noi abbiamo costituito un popolo che è stato considerato sempre e comunque l’incarnazione del male… mi vedo davanti al diluvio universale, vedi la miseria non appena i bambini corrono e le SS li rincorrono. Questo ricordo non mi ha mai abbandonato… Ricominciare a vivere non è facile. Dio ha voluto che non scomparissimo del tutto. Egli ha salvato alcuni da quella follia, dagli artigli della comunità di criminale che altro non erano» (Forse sogno di vivere. Una bambina rom a Bergen-Belsen, La Giuntina, 2007). Le parole del Papa Nella celebrazione penitenziale del 12 marzo 2000, Giovanni Paolo II, con tutta la solennità del linguaggio liturgico, disse: «Preghiamo perché nella contemplazione di Gesù, nostro Signore e nostra Pace, i cristiani sappiano pentirsi delle parole e dei comportamenti che a volte sono stati loro suggeriti dall’orgoglio, dall’odio, dall’inimicizia verso gli aderenti ad altre religioni e verso gruppi sociali più deboli, come quelli degli immigrati e degli zingari».In un resoconto scritto dai nazisti, misteriosamente conservato, si dice che il curato di quel villaggio bavarese, prima che le persone lasciassero il convento, servì a tutti la comunione. È annotato che in molti piansero, nazisti compresi. In quel tempo lontano, ma così vicino ai nostri giorni, gli zingari erano considerati “ammalati”, nemmeno persone illegali. Dopo la fine della guerra, sul loro sterminio calò il silenzio. Se a Norimberga la giustizia si è fatta strada per i sei milioni di ebrei sterminati, non è stato così per il mezzo milione di zingari: i superstiti non furono chiamati al banco dei testimoni e le loro richieste di risarcimento vennero respinte.