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Verso gli altari

Don Serafino, «Chiuso attende con trepidazione»

Spiega il parroco don Adriano Bertocchi: «Il nostro desiderio è che questa beatificazione non resti un evento limitato alla nostra comunità, ma sia sentito dall’intera Diocesi e da tutta la Chiesa»

di Marcello VILLANI

5 Aprile 2011

Viene ricordato come “il Curato d’Ars italiano”, don Serafino Morazzone, il prete lecchese parroco di Chiuso (rione alle porte di Lecco) per quarantanove anni, dal 1773 al 1822, che sarà proclamato “beato” il prossimo 26 giugno a Milano.
Don Serafino nacque a Milano l’1 febbraio 1747 e fu figura esemplare tra i suoi parrocchiani, tanto che lo stesso Alessandro Manzoni ne diede uno splendido ritratto nella prima stesura dei Promessi Sposi, parlando del «buon curato di Chiuso». Il Manzoni conobbe di persona don Serafino, assistette quasi certamente ai suoi funerali e conosceva la venerazione popolare verso di lui, che documentò nella prima versione del Fermo e Lucia. Ora, a distanza di quasi duecento anni dalla morte (avvenuta a Chiuso il 13 aprile 1822), arriva la beatificazione, postulata da una commissione formata innanzitutto da fedeli e che chiude un iter durato quarantasette anni. Partì infatti nel 1964, ma era stato concepito già nel 1948, quando il cardinale Schuster auspicò la diffusione della memoria del Morazzone. Sul Beato di Chiuso sono già usciti parecchi scritti, l’ultimo dei quali è Don Serafino Morazzone. Amico di Dio e di tutti, a cura di Alessandro Pronzato (Gribaudi, 2009). Secondo Pronzato ci sono «impressionanti somiglianze tra il Curato di Chiuso e il Santo Curato d’Ars».
«Per Lecco questa beatificazione rappresenta un grande onore», commenta il vicario episcopale monsignor Bruno Molinari, che risiede proprio nella comunità pastorale di Maggianico-Chiuso, dove «la beatificazione di don Serafino è attesa con trepidazione. Don Serafino fu un santo che visse la sua chiamata nella quotidianità: non fece cose eccezionali, anche se sono documentati miracoli; piuttosto rimase sempre accanto alla sua gente, anche nei momenti più difficili, come durante la guerra».
«Il nostro desiderio è che la beatificazione di don Serafino non resti un evento limitato solo alla nostra comunità, ma sia sentito dall’intera Diocesi e da tutta la Chiesa», auspica don Adriano Bertocchi, parroco di Chiuso e Maggianico, dove si trova la chiesetta di don Serafino. «L’obiettivo ultimo non è la beatificazione in sé – aggiunge don Adriano -, ma che questa serva perché don Serafino sia una figura percepita come viva ed eloquente ancora oggi». Fino a cinquant’anni fa la venerazione popolare per don Serafino nel quartiere di Chiuso-Maggianico era ancora notevole. «Nell’ultimo mezzo secolo il volto e la popolazione di Chiuso sono cambiate: ci sono nuovi abitanti, nuove costruzioni e, a parte uno “zoccolo duro”, una porzione di lecchesi rimasti dediti al curato, pochi oggi lo conoscono», racconta don Bertocchi.
La beatificazione riporterà dunque in auge questo Beato della Diocesi, salito agli onori dell’altare grazie a una causa di beatificazione portata avanti «miracolosamente: senza intoppi, con la piena unanimità di teologi, cardinali e medici», racconta il lecchese Aldo Decò, membro della commissione di beatificazione. Un santo, don Serafino Morazzone, appassionato alla sua gente, dedito alla preghiera, ma poi incarnato e capace di grandissima compassione. Come testimonia l’icona che lo ritrae come “San Serafino delle fragole”: nell’atto di scavare nella neve e trovarvi delle fragole da donare a una bambina ammalata, con un gesto di delicata gentilezza e attenzione verso i più deboli che gli erano proprie.