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Evento

«È Roma la prima casa di San Carlo»

Dedicato agli intensi legami con la città capitolina e ai risvolti di attualità della figura del Borromeo l'intervento del cardinale Tettamanzi in occasione della presentazione all'Istituto Sturzo del suo libro dedicato al Santo nel IV centenario di canonizzazione

di Rita SALERNO

12 Novembre 2010

Il messaggio di San Carlo è un «forte stimolo a dare un contenuto all’esistenza, a lasciarsi cogliere dal suo stile audace e dal suo rigore morale». Nel corso della presentazione della sua ultima opera dedicata a San Carlo Borromeo – presso l’Istituto Luigi Sturzo di Roma, alla presenza, tra gli altri, del sindaco della capitale Gianni Alemanno -, il cardinale Dionigi Tettamanzi prende spunto dal titolo del volume pubblicato da Rizzoli per una riflessione a tutto tondo sulla figura del santo di cui è il successore sulla cattedra di Sant’Ambrogio.
Dalla tua mano, infatti – come ricorda l’Arcivescovo -, è tratto da una lettera scritta dal cardinale Borromeo in una circostanza dolorosa per la sua famiglia: l’improvvisa morte del fratello maggiore, che si tramuterà in occasione provvidenziale per accogliere tutto quello che «viene dalla sua mano», cioè dalla mano del Signore che guiderà il suo cammino. Titolo e sottotitolo dell’ultima fatica del cardinale Tettamanzi rimandano in particolare agli anni romani di San Carlo, chiamato nella culla della cristianità dallo zio Papa nel 1560 e creato cardinale a poco più di ventuno anni.
Ed è proprio Roma a giocare un ruolo attivo nel cambiamento di vita di San Carlo. Al punto che è Roma, sottolinea Tettamanzi, «la vera prima casa» del Santo cardinale. E non solo perché la capitale accoglie il cuore del Borromeo – per volontà del cugino cardinale Federico – in un reliquiario nella chiesa di San Carlo al Corso (splendido esempio del migliore barocco post-tridentino), mentre a Milano tocca l’onore di custodire il corpo del grande riformatore. La ragione sta nel fatto – aggiunge Tettamanzi – che il legame di San Carlo con Roma è fortissimo. Anzi è «fondativo, nel senso che quello che il Borromeo si rivelerà essere a Milano, lo divenne prima qui a Roma». Ed è qui «a Roma che nel 1610 venne riconosciuta e solennemente proclamata quella santità eroica che egli dispiegò sì a Milano nel suo ventennale straordinario episcopato, ma che trova le sue radici nella Città Eterna, nel cuore della cattolicità».
Ed ecco perché «parlare di San Carlo a Roma non è illogico o peggio peregrino». Significa invece – sono sempre parole dell’Arcivescovo – «parlare di San Carlo nella sua “prima casa”». Non è un caso allora se il titolo del volume di Tettamanzi, omaggio ai quattro discorsi pronunciati da Paolo VI per San Carlo, allude agli anni romani del Borromeo, quando giovane “cardinal nepote”, per una prassi nota ai posteri come nepotismo, conduceva una vita moralmente irreprensibile, ma priva di quegli slanci verso una vita cristiana consapevole e profondamente radicata nell’esercizio delle virtù.
Preceduto dall’intervento di monsignor Marco Navoni – ricco di spunti interessanti che hanno inquadrato la figura del santo nel contesto storico in cui si dipanò la sua parabola terrena -, il cardinale Tettamanzi racconta il libro che ha visto la luce in occasione del quarto centenario della canonizzazione ricostruendo il filo rosso che unisce Roma a Milano, il pastore preso a modello per il mondo intero e la sua mediocre esistenza prima della trasformazione.
Dalle pagine del libro emerge con forza l’uomo di Chiesa rigoroso, ammirato per le scelte di sobrietà e di serietà, capace di stare in mezzo alla gente, di girare in lungo e largo per ben due volte la diocesi di cui ha la cura pastorale, riformatore secondo Tettamanzi «inattuale». Se per inattuale «si intende ciò che si radica nei valori fondamentali della tradizione cristiana e tale viene giudicato solo perché non si adegua a ciò che attualmente è ritenuto “politicamente corretto”. Forse, conclude il cardinale, «dovremmo chiederci se l’inattualità di san Carlo non si trasformi in una “urgente attualità” di ripensamento, di rivalutazione dei nostri metri di giudizio valoriale, di riforma del nostro modo di vivere e di convivere».

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