Dati sull’immigrazione in Lombardia Note pastorali di don G.Quadri
Responsabile Uff. per la Pastorale dei migranti
Non di solo pane vive l’immigrato. È quanto emerge dalla ricerca «Le famiglie cattoliche immigrate» condotta nella diocesi di Milano dalla Fondazione Ismu in collaborazione con l’Ufficio diocesano per la Pastorale dei Migranti.
Una ricerca che ha voluto fotografare la «pratica religiosa» degli immigrati cattolici, che in Lombardia sono circa il 30 per cento di tutti gli immigrati.
E la realtà che emerge da questa ricerca è quella di immigrati cattolici che vivono la propria fede con costanza, non limitandosi alla messa domenicale e che cercano di inserirsi nella vita ordinaria delle parrocchie.
Di solito si pensa che gli immigrati si ritrovino per la messa domenicale con la propria comunità etnica di riferimento, generalmente in una determinata chiesa della città nella quale le celebrazioni sono nella loro lingua.
La ricerca dimostra che in realtà solo la metà degli intervistati ha questa abitudine, (46,5 per cento degli uomini e 51,8 per cento delle donne), mentre il 38,8 per cento degli uomini e il 42,8 per cento delle donne ha come «luogo più assiduamente frequentato per la pratica religiosa» la parrocchia di residenza.
I figli, in base alle risposte date dai genitori, seguono padre e madre nei luoghi che scelgono per la partecipare alla messa o per la catechesi.
Inoltre, alla domanda su quali sono le figure di riferimento religioso, il «parroco della parrocchia italiana» è la risposta più frequente (36,4 per cento uomini, 38,2 per cento donne), seguita da quella del «cappellano della comunità etnica» (31,8 uomini, 34,7 donne).
«Mi pare siano dati significativi», afferma il professor Giovanni Valtolina, coordinatore della ricerca e docente all’Università Cattolica, «che vanno letti per molte ragioni in termini positivi. In questi dati si può leggere anche il desiderio degli immigrati di integrazione e la religione viene vista come una delle vie percorribili».
Un’integrazione quindi non solo nel mondo del lavoro, ma anche un’integrazione che viene cercata in ambiti, come quello religioso, che riguardano la persona nella sua globalità, ambiti in cui si possono sviluppare relazioni non incentrate sulla soluzione di bisogni concreti.
In altri termini, la famiglia immigrata cattolica sceglie di andare a Messa nella parrocchia più vicina perché così può conoscere e farsi conoscere dalle persone che abitano nella zona, perché così l’ambiente che la circonda diventa più famigliare.
Si cerca insomma di ricreare quella normalità del paese d’origine.
I ricercatori hanno intervistato 400 immigrati, fra Milano, Varese e Lecco. Erano interviste a gruppi famigliari e le domande riguardavano anche i figli.
Le nazionalità presenti nel campione prescelto sono 52, quelle più rappresentate sono quella peruviana (14,8 per cento), filippina (14,3), Ecuador (10), Sri Lanka (9,3), Albania (5). Il 63,2 per cento è stato intervistato all’uscita della Messa domenicale, il 36,8 per cento in altri luoghi.
Il 58,3 per cento degli intervistati uomini ha detto che va a messa tutte le domeniche, il 28,1 «circa una volta al mese». Per le donne, il 67,3 tutte le domeniche e il 25,6 una volta al mese.
Un altro dato particolarmente significativo emerge dalla domanda che chiedeva a quali attività religiose partecipano oltre alla messa (potevano dare più di una risposta). Il 41,1 per cento degli uomini e il 66,9 per cento delle donne ha risposto «a gruppi di catechesi». Ancora più alta la percentuale di chi frequenta «gruppi di spiritualità» : 45,2 per cento gli uomini, 59,4 le donne. Solo il 10,2 per cento degli uomini e il 3,4 delle donne è legato alle confraternite, che nel paese d’origine sono invece diffusissime e coagulano numerosi fedeli.
I figli frequentano massicciamente la catechesi (88,5 per cento), ma per ovvie ragioni: si tratta della catechesi in preparazione alla comunione o alla cresima.
Le risposte date a quest’ultima domanda dimostrano come per le famiglie immigrate cattoliche la "pratica religiosa" non sia limitata alla messa domenicale.
Va ben oltre, sia gli uomini che le donne cercano occasioni per approfondire la propria fede.
Un’ultima domanda riguardava la partecipazione ad attività sociali . Oltre la metà delle persone ha risposto di frequentare luoghi di aggregazione sportiva (28,3 per cento uomini, 25 donne) o ricreativa (47,5 uomini, 49,8 donne). Pochissimi invece quelli che si indirizzano verso luoghi di aggregazione politica (1,3 uomini, 0,5 donne) o culturale (13,3 uomini 13,8 donne).
Quest’ultimo dato indica che la partecipazione alla vita politica e culturale delle nostre città non lascia spazio agli immigrati, i quali invece trovano porte aperte nello sport e nelle attività ricreative.
Dario Paladini