Dopo cena è in programma l’incontro con due promotori degli “Accordi di Ginevra”, l’israeliano Menachem Klein e il palestinese Saman Khoury.
Quello di Ginevra è il primo accordo firmato dalle due parti, anche se non a livello governativo.
Un buon accordo dicono i palestinesi, ma chi lo realizza?
“A bbiamo le stanze piene di carte, vedi le tante risoluzioni dell’Onu, eppure sono lettera morta”.
Il prof. Klein sostiene che si tratta di “un’alternativa globale allo spargimento di sangue e all’attuale politica israeliana”.
Gli accordi toccano tutti i punti caldi della contesa (lo status di Gerusalemme, i rifugiati palestinesi, i confini), prospettando soluzioni: per Gerusalemme si torna al piano Clinton e alla suddivisione che già esiste di fatto (zona est ai palestinesi, ovest agli israeliani; la città vecchia libera per tutti), per i confini si torna a quelli del 1967, il diritto di ritorno è ristretto ai soli rifugiati, il muro viene ridotto dai previsti 700 km a 425 con conseguente annessione di territorio ridotta al 2 per cento (contro il 20 del muro di Sharon) ed è previsto il rientro di 58 insediamenti di coloni più 80 avamposti ritenuti illegali anche dalla legislazione israeliana.
Nonostante fondati timori che estremisti d’ambo le parti cerchino pretesti per ulteriori violenze, c’è nell’aria un cauto ottimismo, ad esempio per l’annunciato ritiro unilaterale da Gaza.
Tutti concordano nel ritenere questi accordi un buon punto di partenza per sedersi attorno a un tavolo e cercare sul serio la via della pace.
Claudio Mazza