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Sobrietà

Famiglie che si prendono cura: una rete in parrocchia

La proposta della Caritas per tradurre in concreto questa attenzione auspicata dall’Arcivescovo

di Luisa BOVE

4 Febbraio 2010

«La solidarietà tra famiglie è ciò che si auspica da tempo l’Arcivescovo, lo scriveva già nel percorso pastorale dell’anno scorso chiedendo anche «di tradurre in concreto questo tipo di attenzione – dice Matteo Zappa, responsabile dell’Area minori di Caritas Ambrosiana -. Parlava di famiglie tutor, noi ora diciamo “famiglie che si prendono cura” con l’idea che c’è un momento della vita in cui una famiglia ha bisogno di sostegno, ma poi nasce una reciprocità ed entrambe diventano risorsa». Dalle esperienze già avviate in diocesi «risulta che alla fine tutte e due le famiglie beneficiano di questa nuova relazione».
La Caritas si rivolge quindi alle parrocchie per sollecitarle a un impegno a due livelli, seppure strettamente legati tra loro. Da una parte, spiega Zappa, l’invito è rivolto alle famiglie e agli adulti più sensibili «che abbiano voglia di creare una rete e diventare punto di contatto tra le situazioni di bisogno e le famiglie che si renderanno disponibili per diverse forme di sostegno». Questi «tessitori di rete» dovranno sensibilizzare la comunità parrocchiale e allo stesso tempo cogliere le «situazioni di fragilità e vulnerabilità», come si dice oggi. «Ci sembra importante che qualche famiglia, all’interno della comunità, garantisca la bontà di queste relazioni soprattutto all’inizio». Questo significa che soggetti terzi accompagneranno e sosterranno questi nuovi rapporti tra famiglie, da cui non è escluso potranno nascere anche belle amicizie.
Il secondo livello tocca invece le famiglie che «daranno la loro disponibilità di appoggio, sostegno, mutuo aiuto e accoglienza». Anche a loro sarà importante offrire occasioni «di riflessione e formazione sul significato di questo impegno per imparare a costruire un rapporto solidale nel rispetto dell’autonomia e della libertà dell’altro».
Per Zappa la lettura dei bisogni non deve essere affidata solo al Centro di ascolto della parrocchia o del decanato e parla di «educazione allo “sguardo”, all’attenzione» perché tutti (sacerdoti, catechisti, allenatori, insegnanti…) devono saper cogliere le difficoltà anche inespresse. Qualche volta è la famiglia stessa a chiedere aiuto, ma se c’è già una conoscenza allora si può anche «osare» chiedendo alla persona «se per gestire quel momento di fatica le farebbe piacere avere accanto qualcuno che le dia una mano».
Certo occorre sempre muoversi con estrema «delicatezza e sensibilità» anche nell’offrire un aiuto concreto. «In questo momento di crisi economica, di fronte alla perdita del lavoro o alla necessità di riprogettarsi – continua Zappa -, è importante per una famiglia essere sostenuta da qualche presenza amica, vicina, solidale». Per esempio una mamma che lavora a part-time e il pomeriggio dedica qualche ora ai suoi figli, potrebbe allo stesso tempo andare a prendere a scuola e portare a casa propria anche il figlio di una coppia che è al lavoro fino a tardi. Un’altra potrebbe aiutare una famiglia straniera a integrarsi vivendo insieme alcuni momenti della giornata, come può essere la spesa, specie se manca una rete parentale e amicale».
Pensiamo anche alle famiglie che hanno carichi gravosi di cura, magari perché hanno anziani in casa ai quali dedicano molto tempo. Potrebbero essere “sollevate” per qualche ora grazie al sostegno di altre persone». «Le possibilità di aiuto – conclude Zappa – sono davvero molte e partono da gesti semplici anche nei confronti di chi ci vive accanto, come i vicini di casa o di pianerottolo».