La Chiesa delle discussioni, la Chiesa delle polemiche, la Chiesa delle accuse reciproche, la Chiesa in cui si scontrano tradizionalisti e innovatori, la Chiesa, la Chiesa di Gerusalemme. Questa pagina degli Atti degli Apostoli è quello che precede; quello che segue dà quest’immagine di una Chiesa che è abitata da continue discussioni, da reazioni arrabbiate, da rivendicazioni di diritti da far valere. Mi pare che Papa Leone XIV, incominciando il suo ministero, abbia richiamato come prima cosa, il primo grande desiderio, una Chiesa unita, segno di unità e di comunione, che diventi fermento per un mondo riconciliato.
Nell’elezione di Papa Leone, la cosa che ci ha riempiti di gioia e che mi ha molto consolato è che in poco tempo i Cardinali hanno trovato la convergenza su di lui. Prima del Conclave circolava l’idea che i Cardinali la pensano diversamente l’uno dall’altro, che alcuni sono legati più a Papa Francesco, altri più a Papa Benedetto, taluni sono progressisti, talaltri conservatori: l’immagine di una Chiesa fatta di partiti, di rapporti di potere, di accuse vicendevoli… Forse c’è anche questo, ma il fatto che in un giorno hanno deciso che il cardinal Prevost diventava Papa mi dà l’idea che forse tutte queste discussioni, tutti questi partiti, che la mentalità diffusa si immagina, sono aspetti superficiali.
Non è che nella Chiesa tutti vadano d’accordo e tutti la pensino alla stessa maniera; però in realtà, in profondità, la verità che noi stiamo vivendo non è una divisione, una contrapposizione, ma è la risposta ad una chiamata all’unità. Ecco, così Papa Leone ha cominciato il suo ministero e così noi vogliamo oggi pregare per lui e, come diceva don Giulio all’inizio, predisporci ad accoglierlo.
Ma che cos’è che ci unisce? Che cos’è che ci permette, pur pensandola magari in modi un po’ diversi, di sentirci realmente in comunione? Ecco, la parola che Pietro pronuncia al Concilio di Gerusalemme mi pare che sia il vero motivo per rallegrarci: «noi invece crediamo che per la grazia del Signore Gesù siamo salvati, così come loro», cioè noi che siamo di origine giudaica siamo salvato come loro, che sono di origine pagana, provenendo non da Israele ma dagli altri popoli.
Ecco, noi per la grazia del Signore Gesù siamo salvati. Questo è tutto. Cioè, noi perché possiamo celebrare il Giubileo? Perché vogliamo riconoscere di essere salvati. Noi perché guardiamo con fiducia alla nostra vita, anche al peso che magari portiamo sulle spalle a causa delle nostre vicende o dei peccati che personalmente abbiamo commesso? Perché noi possiamo dire: ecco, nel Giubileo vogliamo far festa, vogliamo deporre il peso dei nostri peccati e dei nostri sensi di colpa. Perché? Perché per la grazia del Signore Gesù siamo salvati. E perché guardiamo al futuro con serenità, anche se non è prevedibile quello che succederà e certamente ci aspettano anche tribolazioni oltre che feste, malattie oltre che la salute.
«Per la grazia del Signore Gesù siamo salvati»: la rivelazione che il Signore Gesù ci ha salvati, questa è la verità più necessaria, è la parola più semplice, e non è il risultato di una conquista, non è il premio per una particolare virtù o eroismo. No, siamo stati salvati: tutto è grazia. E dunque, perché noi possiamo perdonarci a vicenda? Perché noi possiamo guardare con benevolenza tutte le persone che incontriamo, senza troppe distinzioni tra gli amici e i nemici, tra quelli con cui andiamo d’accordo e quelli con cui abbiamo dei motivi di discussione? Perché noi ci guardiamo gli uni gli altri con benevolenza. Perché «per la grazia del Signore Gesù siamo salvati». Non siamo nella condizione di giudicare gli altri. Non guardiamo gli altri come se fossero persone escluse dall’appartenenza alla comunità, come persone indegne di essere vive nella Chiesa. No, noi come tutti, come gli altri, tutti, siamo stati salvati. È con questo atteggiamento che vogliamo raccogliere la grazia del Giubileo, che qui in questa chiesa giubilare si può celebrare tutti i giorni e che oggi celebriamo con i preti, i fratelli qui presenti e con tutti voi che siete qui.
La grazia di essere salvati. È bello per noi raccogliere quello che Papa Leone ha detto ieri e farlo diventare un proposito di vita: guardare a Cristo, avvicinarsi a Lui che illumina e consola. «Nell’unico Cristo noi siamo uno» è il suo motto episcopale, tratto da uno scritto di sant’Agostino. E con questa grazia, con questo senso di leggerezza, con questa rivelazione dell’amore che Dio ha per noi possiamo celebrare il Giubileo ed anche vivere la nostra vita come una missione, proprio come ha detto ieri Papa Leone: una missione, non chiuderci nel nostro piccolo gruppo, né sentirci superiori al mondo, ma chiamati ad offrire a tutti l’amore di Dio. Questa è l’ora dell’amore!

