1. Il viandante infelice nel paese dell’oblio
Il viandante infelice alla ricerca del paese della felicità giunse un giorno nel paese dell’oblio.
Nel paese dell’oblio la prima impressione è che siano tutti allegri. Infatti vivono e si godono il presente, si divertono e non si preoccupano di niente. Gli abitanti del paese dell’oblio hanno dimenticato da dove vengono e non ricordano perché abitano lì. Non sanno dove devono andare e perciò si accomodano nel presente e si assestano nell’inerzia.
Nel paese dell’oblio tutto è possibile, tutto è lecito. Non c’è nessun Dio dei comandamenti. Non c’è nessun criterio per distinguere il bene dal male. C’è soltanto da fare quello che vuoi, anche se molti non sanno quello che vogliono. Anche gli uomini del sacro fanno quello che vogliono per accontentare i devoti.
C’è una sola parola proibita. Nel paese dell’oblio è proibito chiedere “perché?”. Perciò nel paese dell’oblio alcuni sono ricchi e altri poveri, ma non si chiedono perché; ci sono quelli che nascono e quelli che muoiono, ma non si chiedono perché. Tutti sembrano allegri e spensierati, in realtà sono disperati, ma non si chiedono perché.
Il viandante infelice in mezzo allegria generale non riusciva a essere allegro, perché proprio per questo era un viandante: cercava risposte.
2. Il viandante infelice nel paese del calcolo
Il viandante infelice giunse nel paese del calcolo. Nel paese del calcolo tutti sono nervosi: sono sempre presi da frenesia, sempre di corsa, sempre competitivi. Nel paese del calcolo tutto deve essere calcolato: quanto ho speso, quanto ho guadagnato, quanto è cresciuto il mio patrimonio. Nel paese del calcolo anche gli uomini del sacro vivono di calcoli e di statistiche e calcolano quanti raccolgono l’invito e quanto è cresciuto e quanto è diminuito il numero dei presenti.
Nel paese del calcolo non si distingue bene e male, ma si è contenti se si è in tanti e si è tristi se si è in pochi. Anche Dio nel paese del calcolo è un calcolatore e registra quanto bene hai fatto e quanto male e poi si fa la somma, per decidere del premio o del castigo. Un po’ come si fa in azienda, premiando la produzione e chiedendo il risarcimento per le perdite.
Il viandante infelice in mezzo alla frenesia generale non riusciva a sentirsi a suo agio, perché proprio per questo era un viandante: non cercava numeri, ma incontri e risposte.
3. Il viandante infelice nel paese delle aspettative
Il viandante infelice giunse nel paese delle aspettative. Nel paese delle aspettative tutti sono pieni di pretese e si aspettano che gli altri, che il mondo, che Dio stesso corrisponda alle loro aspettative.
Si aspettano di essere amati, riconosciuti, ammirati, aiutati. Si aspettano e pretendono che la persona di cui si sono innamorati corrisponda al loro amore. Si aspettano che le persone che hanno consigliato seguano i loro consigli. Si aspettano che ciò per cui si sono impegnati produca i risultati attesi. Si aspettano che il Dio che hanno pregato esaudisca le loro preghiere. Anche gli uomini del sacro si aspettano che le loro prediche siano ascoltate, che le loro proposte siano accolte. Perciò – come è ovvio – nel paese delle aspettative tutti sono infelici, perché niente e nessuno corrisponde adeguatamente alle loro aspettative.
Il viandante infelice già era infelice per conto suo, figuriamoci se poteva trovarsi a proprio agio in quel paese: proprio per questo era un viandante, per cercare la felicità.
4. Il viandante infelice incontra il popolo dei pellegrini
Il viandante infelice, dunque, non riusciva a trovare il paese dove trovarsi a proprio agio. E continuando il suo andare si incontrò un giorno con gente che era in cammino, gente che cantava, gente che sorrideva. Insomma sembravano gente felice. E il viandante infelice chiese: “Chi siete? Da quale paese venite? Verso quale paese siete in cammino? Perché siete in cammino?”. Raccolse diverse risposte.
“Siamo in cammino perché siamo stati chiamati e la voce che ci ha chiamato è una voce amica che orienta il nostro andare”: «Non vi chiamo più servi […] vi ho chiamato amici».
“Siamo in cammino e siamo lieti perché abbiamo creduto alla promessa di felicità che la voce amica ha assicurato a chi si fida”: «ci ha fatto rivivere con Cristo: per grazia siete salvati. Con lui ci ha anche risuscitato e ci ha fatto sedere nei cieli, in Cristo Gesù, per mostrare nei secoli futuri la straordinaria ricchezza della sua grazia mediante la sua bontà verso di noi in Cristo Gesù».
“Siamo in cammino perché c’è gente che ci aspetta e ha bisogno di noi”: «ma io ho scelto voi e vi ho costituiti perché andiate e portiate frutto e il vostro frutto rimanga».
“Siamo in cammino perché siamo incaricati di tenere viva la speranza, di incoraggiare il cammino, di testimoniare la gioia: questa è la nostra vocazione santa”.
Il viandante infelice comprese che la felicità non si trova in un paese, ma nel cammino in risposta alla voce amica che chiama, nella fiducia nella promessa, nella gratitudine per la salvezza. Il viandante infelice si unì al popolo incammino e divenne pellegrino di speranza.
Così siamo chiamati ad essere tutti. Così sono i preti: non si immergono nel presente fino all’oblio, non sono ossessionati dai numeri, non vivono di aspettative e frustrazioni. Sono pellegrini di speranza.

