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L’inquietudine, la dimora, l’annuncio

Pellegrinaggio in Terra Santa dei Vescovi lombardi. Messa della domenica di Pasqua, Santo Sepolcro - 29 ottobre 2025

29 Ottobre 2025

1. La Pasqua del Signore, la nostra inquietudine

 «Correvano insieme tutti e due», Pietro e Giovanni, sconcertati dalla notizia del sepolcro vuoto e forse inclini allo scetticismo, forse animati da un’intuizione piena di fascino e di mistero. Correvano per andare al sepolcro, ma poi «se ne tornarono di nuovo a casa».

Gesù risorto non si riduce alla notizia di un evento, è piuttosto l’irrompere dell’inedito: c’è una parola inaudita, c’è una possibilità insperata, c’è un accadimento che sconvolge ogni immaginazione ed ogni aspettativa. L’originalità della fede cristiana si rivela inquietante nel contesto di allora e nel contesto di oggi: è così radicata la persuasione della morte come ineluttabile e irreparabile destino di tutti! È così comune l’esperienza del veder morire!

Coloro che credono in Gesù risorto si rendono conto di dover pronunciare parole così incomprensibili per il pensiero rassegnato e per la speranza proibita, da esserne impauriti. Talora preferiscono ricordare gli insegnamenti di Gesù, piuttosto che chiamare all’incontro con lui; talora acconsentono alla banalità che dichiara: “Ciò che importa è fare del bene” e non vogliono disturbare con un annuncio così oltre ogni attesa. La gente di oggi non si aspetta che ci sia una risurrezione. Quindi l’annuncio si riduce alla rassicurazione di un lieto fine a una storia drammatica.

E noi non possiamo evitare l’inquietudine e gli interrogativi di una fede che vive di gioia e di esitazioni, come i discepoli, che «per la gioia non credevano ancora» (Lc 24,41). Credere ed insieme non credere: la Pasqua non è enigma incomprensibile e neppure visione indiscutibile. È l’inquietudine della speranza, invincibile e fragile.

 

2. «Risorti con Cristo»: la dimora

 “Con” è la preposizione irrinunciabile. La risurrezione non è uno spettacolo da vedere, non è un fatto che si impone. È piuttosto una relazione, è la dimora dove possiamo, desideriamo, dobbiamo rimanere: Gesù risorto è con i suoi discepoli. L’essere-con di Gesù morto e risorto è il principio dell’umanesimo cristiano. La preoccupazione per la contestazione dell’umanesimo fa pensare: per certi aspetti sembra che uomini e donne siano un danno per il pianeta; per certi aspetti ci si immagina che il mondo funzionerà meglio quando sarà governato da altre intelligenze, da altre precisioni.

La risurrezione di Gesù rivela che la speranza è autorizzata ed è proposta la via della salvezza: «Voi infatti siete morti e la vostra vita è nascosta con Cristo in Dio […] quando Cristo sarà manifestato, allora anche voi apparirete con lui nella gloria». In questo tempo e in questa terra molti trovano buone ragioni per disperare della possibilità dell’umanità di sopravvivere: ci vogliono molte cautele – ci raccomandano – per sopravvivere. Ma coloro che sono con Cristo, risorti con lui, non possono semplicemente essere cauti per sopravvivere; devono piuttosto vivere, vivere in pienezza, vivere felici, vivere sempre, vivere e dare vita, vivere e fare della propria vita un dono.

 

3. «Questa è la parola»

Non possiamo tacere. Siamo inviati. Non per un progetto, per un’obbedienza. Non per cercare consenso, ma per essere coerenti. Non perché siamo i migliori, ma per un’incomprensibile vocazione ad essere testimoni prescelti da Dio.

«Ci ha ordinato di annunciare al popolo e di testimoniare che egli è il giudice dei vivi e dei morti». Queste parole siamo incaricati di pronunciare nello stesso discorso: figli di Israele, pace, Gesù. Sono tre parole difficili da pronunciare insieme, tre parole impopolari, ma noi questo dobbiamo dire. Questo siamo venuti a dire qui al sepolcro: per mezzo di Gesù, il risorto, sono stati riconciliati i popoli e a noi è stata affidata la parola della riconciliazione.