L’animo umano è una dimora: chi vi abita?
Giubileo della Coldiretti: “I coltivatori: produttori di cibo e ambasciatori di pace e di speranza”
1. Le radici del bene e del male: l’interiorità
«Chiunque odia il proprio fratello è omicida, e voi sapete che nessun omicida ha più la vita eterna che dimora in lui […] come Caino, che era dal Maligno e uccise suo fratello». Caino era un agricoltore, coltivava la terra. Abele era un allevatore, era pastore di greggi. Si può immaginare che il motivo della rivalità fino al delitto fosse il contrasto tra gli interessi: io ho bisogno di terra per seminare e raccogliere; io ho bisogno di terra per il pascolo. Sono interessi contrastanti e in tutta la storia sono motivi di guerra.
Ma nella lettera di Giovanni si dice che la ragione non è il contrasto di interessi, ma un male che sta dentro il cuore, come dice anche il libro della Genesi: «Se non agisci bene, il peccato è accovacciato alla tua porta» (Gn 4,7). L’animo umano – si può dire – è una dimora. Chi vi abita?
2. Vivere “fuori”
Sembra che a molti non interessi che cosa ci sia dentro la loro anima. C’è la tentazione di essere intenti a tutto ciò che è fuori: le cose da fare, gli interessi da difendere, l’andamento dei propri affari, la curiosità per molte cose da nulla.
La gente che vive “fuori di sé” non si interroga sul perché delle proprie azioni e delle proprie reazioni: Caino, perché hai in odio tuo fratello? Caino non lo sa: è invidioso? È arrabbiato? Sente le opere buone di suo fratello come un rimprovero per le sue opere cattive? Da questa istintività senza criterio vengono le opere cattive, le violenze, i contrasti che possono rovinare famiglie, aziende, comunità: «Nessun omicida ha più la vita eterna che dimora in lui».
3. La dimora dove è ospitata la vita
Il comandamento di Gesù, la grazia che viene da lui, rende possibile amare e chi ama ha la vita eterna. Proprio dentro di te dimora la vita eterna, se ami. Visitare la propria anima può essere imbarazzante. Puoi avere l’impressione che dentro di te ci siano troppe cose di cui ti vergogni, troppi peccati che non si possono perdonare, troppi errori che non vuoi riconoscere.
Ma Gesù rivela che questa non è la tua verità più profonda: nell’intimo più profondo c’è la grazia di amare, c’è lo sguardo di Gesù che ti guarda con una forza amica, che ti riconosce amabile, che ti rivela che tu sei prezioso ai suoi occhi e ti chiama a partecipare della sua amicizia, del suo amore e perciò della sua vita.
Il Giubileo è la grazia di questo viaggio nella verità di ciascuno, oltre ciò che sembra, oltre l’immagine che uno ha cercato di costruire, oltre i peccati commessi, oltre, oltre, fino a quell’intimità in cui dimora lo Spirito di Dio. La grazia di questa rivelazione, la fierezza di essere capaci di amare, cioè di vivere della vita stessa di Dio, rende possibile trasfigurare anche il modo di rivolgersi agli altri. Se tu sei stato perdonato, puoi diventare capace di perdono.
«Se il tuo fratello commetterà una colpa, rimproveralo; ma se si pentirà, perdonagli». Come è possibile il perdono? È possibile perché la presenza dello Spirito in noi fa guardare al fratello che ci ha offeso, non alla colpa che ha commesso, ma al fatto che è un fratello.
La presenza dello Spirito in noi rende possibile la fede: «Se aveste fede quanto un granello di senape, potreste dire questo gelso: “Sràdicati e vai a piantarti nel mare”, ed esso vi obbedirebbe»». L’espressione paradossale di Gesù suggerisce di avere coraggio: chi si fida di Dio può compiere grandi cose. La realtà, come il gelso, si può trasfigurare con la forza della fede. Siamo chiamati a reagire alla rassegnazione di chi si sente intrappolato in una realtà ostile. Chi ha fede può trasfigurare la realtà, almeno quel pezzetto di realtà che è «questo gelso». La fede alimenta la fiducia che convince a fare il bene, a vivere secondo lo Spirito di Dio, convinti che è meglio fare il bene invece che il male, essere onesti, invece che disonesti, volersi bene invece che odiarsi e fare del male gli uni agli altri.
Nel celebrare il Giubileo non possiamo esprimere l’auspicio e invocare l’aiuto di Dio per essere produttori di cibo e ambasciatori di pace e di speranza, se coltiviamo nell’intimo del cuore la presenza di Dio e l’amore per i fratelli.
Il frutto del Giubileo potrebbe quindi essere:
- la dimora: visitare la propria intimità per incontrarvi lo sguardo di Gesù che ama e rinnova la vita;
- la relazione: rivolgere agli altri lo sguardo che riconosce il fratello:
- la speranza: mettersi in cammino verso il futuro con la fiducia di chi ha fede in Dio.
La Coldiretti, quindi, prima che un’associazione di categoria potrebbe essere la condivisione dei valori che creano relazioni e condividono speranza.

