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E io che non ho nessun carisma?

Solennità di Pentecoste – Festa diocesana delle Genti, Milano, Parrocchia B. V. Addolorata in S. Siro - 8 giugno 2025

8 Giugno 2025

1. «A ciascuno è data una manifestazione particolare dello Spirito per il bene comune»

Sono meravigliosi i doni di Dio! E come è bella la Chiesa che è ricca di tutti i carismi, tutti per il bene di tutti! E questo segno di Pentecoste, che rende possibile a tutti di esprimersi in modo che tutti comprendano, è una grazia meravigliosa!

Ma nella fatica del vivere, nelle frustrazioni quotidiane che rattristano i giorni, nelle difficoltà di comunicazione che sperimentiamo in questa città sembra che il miracolo di Pentecoste, così affascinante, sia un sogno, piuttosto che una realtà.

Ma a che cosa servo io, che non ho nessun dono particolare? Io non ho nessun linguaggio di sapienza, nessun linguaggio di conoscenza, non ho il dono delle guarigioni, non ho il potere dei miracoli, non ho il dono della profezia, non ho il dono di discernere gli spiriti, non parlo una varietà di lingue e trovo faticoso esprimermi al di fuori del gruppo dei miei connazionali.

Vien da pensare che in questo entusiasmo dello Spirito siano ammessi coloro che possono compiere qualche impresa importante, coloro che possano assumere compiti e responsabilità per il servizio a tutta la comunità. Perciò viene spontaneo domandarsi: e io? Che cosa posso fare? In che modo posso essere utile al bene comune?

 

2. «Un altro Paraclito, perché rimanga con voi per sempre»

Viene però da domandarsi: che cosa serve alla Chiesa? Che cosa serve al bene comune? Il mondo che non conosce lo Spirito Santo ritiene che sia importante fare, essere operativi, produrre, conseguire risultati, prestare servizi.

Coloro che accolgono lo Spirito di Gesù comprendono che ciò che veramente serve è amare ed essere amati. Lo Spirito rimane sempre con noi, come Spirito di amore. Rende possibile amare.

Amare quando si è in piena efficienza e amare quando si vive nell’impotenza. Amare quando si hanno ruoli importanti e amare quando non si può esercitare nessun ruolo. Amare quando si prestano servizi e amare quando si deve accettare di essere serviti. Amare quando si parlano tante lingue e amare quando non si riesce a parlare. Amare quando si deve correre di qua e di là e amare quando si deve stare fermi. Amare quando si possono compiere opere meravigliose e amare quando non si può fare niente.

 

3. Nell’anno del Giubileo: accogliere la promessa e vivere di gratitudine

L’anno di grazia che stiamo vivendo è il tempo opportuno per rinnovare la speranza. La speranza non è costruita sul calcolo di quello che io posso procurarmi, sui risultati che posso conseguire, sulle mete che posso conquistare. La speranza che non delude è la risposta alla promessa che il Padre misericordioso ci rivela nella Pasqua di Gesù.

La festa delle genti non celebra un compimento, ma la speranza. Ci fidiamo della promessa e perciò viviamo nell’attesa e nella pazienza: il tempo infatti non è nemico della gioia, ma occasione propizia perché in ogni istante possiamo amare, sperare, pregare.