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MARIO DELPINI

Viviamo di una vita ricevuta

Dio vide quanto aveva fatto, ed ecco, era cosa molto buona (Gn 1,31)

15 Settembre 2023

Proposta pastorale per l’anno 2023-2024
Per un esercizio di discernimento delle priorità

 

 

INTRODUZIONE

I – «COLUI CHE MANGIA ME VIVRÀ PER ME» (Gv 6,57)

II – LA VITA È DONO D’AMORE E VOCAZIONE AD AMARE: L’EDUCAZIONE AFFETTIVA

III – LA FEDELTÀ, COMPIMENTO DELL’AMORE

IV – IL DONO DELLA VITA

V – LA DIGNITÀ DEL LAVORO, PER NOBILITARE LA VITA

VI – GLI OPERATORI DI PACE SARANNO CHIAMATI FIGLI DI DIO (Mt 5,9)

VII – GLI ANNI DELLA SAPIENZA E DELLA FRAGILITÀ: IL DONO E LA RESPONSABILITÀ DELLA VITA

CONCLUSIONE

PREGHIERA

 

Introduzione

 

La gioia del Padre nel contemplare l’opera compiuta nella sapienza del Verbo per potenza di Spirito Santo è la benedizione che accompagna tutta la vicenda umana e tiene viva la speranza della beatitudine, anche nelle molte spaventose ombre che segnano la storia di tutti i tempi, del nostro tempo.

La Pasqua di Gesù è la rivelazione della via che porta alla gloria: la via della vita donata, dell’amore fino alla fine. La Chiesa celebra nel tempo il mistero che salva. Non ha altro da fare che ricevere il dono dello Spirito perché ogni giorno della storia, ogni situazione della vita, ogni figlio d’uomo sia reso partecipe della vita del Figlio Unigenito, primogenito dei risorti.

Non mi stanco di ripetere che la santa liturgia è il principio della vita cristiana e dona lo Spirito che deve ispirare ogni aspetto e iniziativa della comunità cristiana. Per quanto siano molte le proposte e le iniziative delle nostre comunità, non dobbiamo dimenticare che il Signore ci chiama alla pace per continuare a servire, senza risparmio, ma anche senza ansia di prestazioni o presunzioni di protagonismi.

Desidero pertanto rinnovare l’invito a celebrare i santi misteri in modo che l’opera di Dio si compia in ciascuno e in ogni comunità nel percorso della fede che proclama il Kyrie, nell’esperienza della gioia che canta l’Alleluia, nella decisione della sequela che professa l’Amen.

Non intendo ora limitarmi a presentare la “proposta pastorale per l’anno 2023/2024”, ma suggerire attenzioni doverose e costanti che devono qualificare le proposte della comunità cristiana. Richiamo tutti alla vigilanza, alla lucidità, alla fortezza per evitare di essere reticenti, intimoriti o arroganti in un contesto caratterizzato da opinioni diffuse che confondono il pensiero, le parole, le proposte in ambito educativo e pastorale.

Il punto di partenza irrinunciabile è la professione di fede che riconosce la vita come dono di Dio. In questo senso si deve intendere la vita come “vocazione ad amare”. Per dare un contenuto a queste affermazioni ci riferiamo con pensosa disponibilità alla Parola di Dio, alle indicazioni di papa Francesco e del magistero della Chiesa per accompagnare tutti a vivere temi particolarmente complessi e problemi che non possiamo ignorare con la fiducia del credente e la sapienza che viene dall’alto.

Nel contesto in cui viviamo, la proposta cristiana può essere considerata come una sorta di stranezza d’altri tempi, può essere disprezzata come ridicola, può essere intesa come la pretesa di giudicare, come una invadenza fastidiosa.

Ma i cristiani non vogliono e non possono giudicare nessuno. Sperimentano però che, vivendo secondo lo Spirito di Dio e l’insegnamento della Chiesa, ricevono pienezza di vita, hanno buone ragioni per avere stima di sé e degli altri, affrontano anche le prove animati da invincibile speranza. Non ritengono di essere migliori di nessuno. Sentono però la responsabilità di essere originali e di avere una parola da dire a chi vuole ascoltare, un invito alla gioia.

Con questo spirito incoraggio tutti a non rinunciare alla responsabilità della testimonianza, della proposta, dell’accompagnamento educativo sui temi che riguardano l’educazione affettiva, la preparazione al matrimonio religioso, l’accoglienza della vita, il lavoro, la pace, il tempo della terza età.

 

 

 

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I – “Colui che mangia me, vivrà per me” (Gv 6,57)


I credenti riconoscono di vivere di una vita ricevuta.

 

Gesù è la vita e la relazione con Gesù è vita per coloro che entrano in comunione con lui. La fede è la risposta fiduciosa all’invito a ricevere la vita da Gesù.

«Chi crede in me ha la vita.»

Il discorso che Gesù rivolge a Cafarnao alle folle che lo hanno cercato con entusiasmo è un discorso duro, che finisce per irritare e indurre molti dei suoi discepoli a tornare indietro e a non andare più con lui (cfr. Gv 6,22-66). I Giudei si scandalizzano e interpretano le parole di Gesù in modo “carnale”, rifiutando pertanto un invito al senso “spirituale” di quanto egli stava dicendo loro. Gesù indica che solo la docilità allo Spirito permette di comprendere il suo discorso e il senso della vita: «È lo Spirito che dà la vita, la carne non giova a nulla; le parole che vi ho detto sono spirito e sono vita» (Gv 6,63), così come di riconoscervi un invito alla fede: «Come può costui darci la sua carne da mangiare?».

Ma Gesù invita a entrare in comunione con lui, pane di vita, per contrastare la persuasione di essere vivi per sé stessi, di avere in sé stessi la vita. L’illusione dell’individualismo è di essere padroni e arbitri insindacabili della propria esistenza: ci si trova di fronte alle infinite possibilità offerte dalla situazione e si può scegliere la via da percorrere per giungere al compimento dei propri desideri. Si può anche non scegliere: si vive lo stesso. La vita è mia e ne faccio quello che voglio io.

La persuasione diffusa nel nostro tempo ritiene ovvia e indiscutibile questa visione delle cose. Una visione in cui è ovvia e indiscutibile la destinazione a morire. Le domande sul principio e sulla fine, sul perché e sul senso risultano moleste, imbarazzanti. I quesiti ammessi riguardano piuttosto il come vivere godendo quel tanto di tempo che si ha a disposizione.

Gesù scandalizza le folle che lo cercano per farlo re con un discorso duro, sconcertante, inaccettabile. Molti dei suoi discepoli non vanno più con lui. Gesù pronuncia nelle nostre comunità quello stesso discorso. Saremo tra coloro che ritengono di non poter fare a meno di Gesù, convinti che solo lui sia la vita che può dare vita?

Gesù offre la visione più realistica: vivete di una vita ricevuta, siete vivi perché chiamati alla vita dalla promessa della comunione con il Padre tramite la partecipazione alla vita di Gesù. Seguire Gesù, dimorare in Gesù, conformarci a Gesù è la condizione per vivere. Senza di lui non possiamo fare niente.

Il discorso di Gesù chiama alla fede e la fede non si riduce a una convinzione, ma è la relazione di cui viviamo: la vita, infatti, non si limita a un fatto fisico di un organismo che funziona, ma è relazione che chiama a vivere, è dono, è grazia.

La fede cristiana non si riduce a una convinzione personale né a una dottrina da imparare, né a un sentimento. Credere in Gesù è, piuttosto, entrare nel mistero di Dio che ha mandato il suo Figlio Unigenito nella carne, nella storia, nelle relazioni di cui vivono gli uomini e le donne. Dimorare in Gesù e affidarsi a lui ha un’irrinunciabile dimensione sacramentale: nel battesimo siamo immersi nella morte di Gesù per rinascere con lui come figli della risurrezione.

La dimensione celebrativa, sacramentale, misterica della vita cristiana richiede di essere educata e vissuta con semplicità e gratitudine, con intelligenza e frequenza. Ci sono infatti difficoltà diffuse ad apprezzare la pratica sacramentale e la tendenza individualistica riduce anche la celebrazione dei sacramenti a un pretesto per celebrazioni mondane.

La celebrazione dei sacramenti dal battesimo fino all’eucaristia introduce nella relazione con Gesù e da lui riceve la vita, la rivelazione del senso del vivere, la promessa di vita eterna. Viviamo di una vita ricevuta. La vita che riceviamo dai genitori si rivela nella sua origine come dono di Dio che ci chiama a partecipare della sua vita, figli nel Figlio Gesù.

 

La vita nella sua verità è vocazione.

 

Nel professare e vivere questa verità i credenti percepiscono la radicale distanza da un vivere che presume di essere senza legami, principio del bene e del male, centro del mondo, secondo un’acritica accondiscendenza all’individualismo che caratterizza molti atteggiamenti del nostro tempo.
In primo luogo la riconoscenza. Proprio perché ci siamo scoperti amati da Dio, sentiamo di avere un debito di amore gli uni verso gli altri. Ci sentiamo chiamati a restituire umanità a tutte le persone che si vedono private delle condizioni più elementari di vita. Restituire umanità piena è fecondo anche per tutta la comunità, non solo per gli ultimi, ma anche per i primi: perché crea legami sociali, scioglie nodi e conflitti latenti, restituisce responsabilità verso la propria comunità, offre dignità piena ai singoli e alle comunità stesse. La riconoscenza, che è alla base della vita intesa come vocazione, è anche la sorgente della nostra carità.

 

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II – La vita è dono d’amore e vocazione ad amare: l’educazione affettiva

 

Essere vivi è dono. Essere uomo, essere donna è dono. Io sono quest’uomo, io sono questa donna. Il corpo, in tutti i suoi aspetti, è dimensione irrinunciabile della persona: non è una prigione che mortifica la persona, ma la condizione per stabilire relazioni d’amore nella forma della reciprocità.
Raccomando soprattutto l’accompagnamento. La comunità cristiana deve assumere la responsabilità di educare all’amore in tutte le dimensioni affettive, sentimentali, sessuali. La proposta educativa cristiana è chiamata a offrire l’esemplarità di persone adulte, uomini e donne che sanno amare e accompagnare i ragazzi e le ragazze nell’imparare ad amare.

È necessario offrire persuasivi percorsi educativi alla libertà autentica. La persona umana non coincide infatti con una libertà assoluta e indeterminata, che sente ogni determinazione come un limite che impedisce di “fare quello che si vuole”, di “essere quello che si vuole”. Piuttosto, la libertà è incarnata in una storia, in un corpo, in una rete di relazioni da accogliere e leggere in profondità per essere liberi di fare della vita un dono d’amore. Scrive papa Francesco:
L’accettazione del proprio corpo come dono di Dio è necessaria per accogliere e accettare il mondo intero come dono del Padre e casa comune; invece una logica di dominio sul proprio corpo si trasforma in una logica a volte sottile di dominio sul creato. Imparare ad accogliere il proprio corpo, ad averne cura e a rispettare i suoi significati è essenziale per una vera ecologia umana. Anche apprezzare il proprio corpo nella sua femminilità o mascolinità è necessario per poter riconoscere sé stessi nell’incontro con l’altro diverso da sé. In tal modo è possibile accettare con gioia il dono specifico dell’altro o dell’altra, opera di Dio creatore, e arricchirsi reciprocamente. Pertanto, non è sano un atteggiamento che pretenda di «cancellare la differenza sessuale perché non sa più confrontarsi con essa»

(papa Francesco, Laudato si’, 155)

Questo “leggere i segni della propria vocazione” è il compito lieto e complicato dell’età evolutiva e invoca la presenza affettuosa, incoraggiante, sapiente di adulti che accompagnino ciascuno, dentro una comunità, per diventare quella persona unica che fa della propria vita un dono.
Le condizioni sono quindi segni che aiutano a interpretare il proprio modo di amare. L’interpretazione è compito affidato al sacrario inviolabile della coscienza di ogni uomo e di ogni donna, che si dispone con docilità ad accogliere la chiamata di Dio alla pienezza della vita, dentro la trama complessa della propria storia e delle proprie relazioni.
Per generare una libertà, per far crescere una persona, per consentire a ciascuno di essere sé stesso, accogliendo la propria condizione come contesto per la propria vocazione è necessario un convergere di molti, anche per creare contesti di libertà che resistano alla “colonizzazione culturale” che impone la banalità dei luoghi comuni, la riduzione della relazione ai rapporti sessuali, la rassegnazione all’incontrollabilità dei sentimenti, delle passioni, delle pulsioni. La comunità cristiana è chiamata a fare dell’educazione affettiva e del discernimento vocazionale una pratica in cui convergono molte competenze, scelte coerenti, proposte comprensibili. La relazione tra uomo e donna, le forme molteplici dell’amicizia, l’esercizio di una libertà disciplinata che sappia custodire la castità, la considerazione realistica della bellezza della pluralità delle vocazioni al matrimonio, alla verginità consacrata, al celibato per il Regno non sono principi di una dottrina, ma percorsi promettenti che convocano molti adulti, in una comunione che potremmo chiamare “sinodale”.

 

Responsabilità da esercitare, confronti e approfondimenti da curare, proposte pastorali da offrire per questo tempo e per gli anni a venire.

Chiedo pertanto che esercitino la loro responsabilità i genitori, gli educatori, gli insegnanti, i professionisti dei consultori, gli ambiti accademici. Rendo grazie per il loro quotidiano impegno, prima testimonianza vivente di un amore che si fa dono. Di fronte allo splendore della chiamata di Dio è oggi necessario un “di più” di pensiero, studio, dialogo. Questo è il tempo per farsi carico di interpretare la dimensione affettiva nel reciproco dialogo con la cultura contemporanea, perché la sapienza cristiana non sia ridotta all’immagine di un volume impolverato in una biblioteca, ma piuttosto sia da tutti riconoscibile come una buona pratica per essere lieti nel vivere la propria vocazione ad amare.

È importante che gli adulti costruiscano un contesto idoneo, affinché chi sta crescendo possa andare alla reale scoperta di sé stesso e del mondo. Occorre promuovere una nuova prospettiva, capace di educare allo stupore verso l’unicità di ciascuno.

Occuparsi di educazione affettiva, sessuale e vocazionale non deve significare calare istruzioni e consigli dall’alto, ma accettare di fare un cammino con i giovani, accompagnandoli nell’incredibile e stupefacente scoperta di sé stessi, facendo cogliere loro la bellezza di tutti gli elementi costitutivi della persona (corpo, psiche e spirito), declinati anche nella loro dimensione relazionale, quale realtà ontologica dell’essere umano. Questo permetterà di tentare di suscitare in loro il desiderio di capire e vivere sempre meglio ciò che essi sono, riconoscendo, al contempo, l’importanza e il valore della relazione con l’altro.

È importante accompagnare ciascuno verso la possibilità di cogliere il pieno significato e valore della sessualità in quanto ricchezza integrante di ogni individuo, in modo che essi possano poi comprendere, con maggior consapevolezza e responsabilità, nell’esercizio reale della loro libertà, quale tipo di relazione corrisponde al desiderio più profondo insito nella persona, in quanto essere umano coniugato nella propria mascolinità e femminilità. Nello sviluppare questi percorsi, si tenga conto delle risorse del territorio e del contesto in cui la comunità è inserita, si utilizzino differenti tecniche e metodologie, che permettano di sperimentare attività individuali, di coppia e di gruppo, dando l’opportunità di vivere una significativa esperienza non solo di interdipendenza ma, soprattutto, di sinodalità.

In questo compito arduo e affascinante la comunità cristiana – e in modo particolare, per il proprio mandato educativo, gli oratori, le società sportive, le associazioni e i movimenti – è chiamata a creare percorsi di ascolto, studio e dialogo, al fine di accompagnare tutte le situazioni e di non permettere che nessuno sia indotto a pensare di “essere fatto male”, di “essere sbagliato”.

Ciascuna persona, in qualsiasi condizione si trovi, deve essere aiutata a vivere la propria vocazione ad amare. In particolare, il tema della disabilità merita una particolare attenzione e sollecitudine nell’interpretazione della dinamica affettiva, perché ogni persona è chiamata a trovare compimento nell’amore.

Una particolare cura deve essere dedicata ad accompagnare e interpretare l’esperienza dell’amore e delle diverse sfumature dell’attrazione, sia verso persone di genere diverso sia verso persone dello stesso genere. La frettolosa etichetta di “omosessuale”, “eterosessuale” mortifica la dinamica relazionale e tende a ridurla a una “pratica sessuale”.

In questo ambito la comunità cristiana è chiamata oggi a una riflessione attenta, a un confronto rispettoso e paziente, e insieme a offrire forme di accompagnamento adeguato. L’accompagnamento è il servizio per aiutare ogni persona a leggere i segni che vengono offerti perché la libertà si decida al dono: quindi il corpo maschile, femminile, quindi il contesto familiare, comunitario, culturale. La comunità cristiana è chiamata così ad accogliere, accompagnare e formare le coscienze nel riconoscere tra le concrete condizioni la voce di Dio che chiama al dono e nel rispondervi. La comunità cristiana ha dato vita e trova un particolare aiuto nei consultori di ispirazione cristiana, promuovendo confronti e formazione per genitori, educatori, insegnanti.

In questa prospettiva i consultori sono chiamati a rileggere l’ispirazione cristiana nell’orizzonte della visione personalistica che ho indicato in precedenza, con una chiara visione del “progetto uomo e donna” che ne deriva.

Dirigenti e operatori dei consultori, con il coinvolgimento dei consulenti etici, approfondiranno l’antropologia di riferimento con l’ausilio di docenti della Facoltà Teologica e dell’Università Cattolica, guide spirituali, sacerdoti, maturando la consapevolezza che l’accompagnamento della persona – come anche il suo recupero – è sempre “risposta a una chiamata”, relazione con un Altro, non progetto autoreferenziale meramente deterministico. Questa comune convinzione libera l’ispirazione cristiana dall’essere percepita come un marchio di cui liberarsi nella visione e nel metodo. Ciò implica da parte degli operatori una condivisione di questa visione della vita.

La scuola ha un ruolo di primo piano nell’accompagnare la crescita personale di bambini e ragazzi, fin dalla prima infanzia. L’insegnamento si inserisce dentro un più ampio impegno educativo teso ad aiutare gli alunni a scoprire i propri talenti e a dare forma alla propria identità. Proprio a partire da questo anno scolastico, il tema dell’orientamento è stato significativamente posto anche dal ministero dell’Istruzione e del Merito all’attenzione di docenti e istituzioni per elaborare percorsi formativi meno episodici, che valorizzino tutti i diversi aspetti che contribuiscono alla realizzazione di sé e al pieno inserimento nella società. La sapienza educativa che caratterizza la lunga tradizione della comunità cristiana interpreta abitualmente questa cura come sostegno alla scoperta e all’accoglienza della propria vocazione.

Proprio per questo sarà importante che le realtà scolastiche si interroghino ulteriormente sul modo in cui oggi predispongono itinerari efficaci per l’orientamento dei propri alunni. All’interno di questi percorsi sarà in particolare necessario offrire strumenti utili alla comprensione di sé, al riconoscimento e al governo delle proprie emozioni, al raggiungimento di una progressiva maturità affettiva, relazionale, di rispetto dell’altro e di dono di sé. Le scuole cattoliche e di ispirazione cristiana, le associazioni professionali, i docenti di religione cattolica e tutti gli insegnanti di ogni ordine e grado sono chiamati a sostenere i più giovani in questo percorso di crescita che oggi risulta per molti versi più complesso che in passato, dal momento che una maggiore libertà comporta talvolta anche una maggiore incertezza e una certa difficoltà nell’interpretare la propria situazione, i propri desideri, le proprie possibilità, i comportamenti e le intenzioni degli altri.

 

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III – La fedeltà compimento dell’amore.

 

Nel portare a compimento la sua missione, Gesù «li amò sino alla fine»: la rivelazione della verità dell’amore è la dedizione che dà la vita per coloro che ama. Il trascorrere del tempo non spegne l’amore se la sua origine è nella relazione con Gesù, nell’amare come lui ha amato.

L’educazione all’amore si propone di accompagnare ogni persona a questa maturità che fa dell’amore una donazione e trova la sua gioia in quel modo di amare che rende capaci di amare. La reciprocità degli affetti non è l’esito di un contratto per la reciproca soddisfazione, ma la rivelazione dell’immagine di Dio che si manifesta nell’uomo e nella donna.

La vocazione ad amare si compie nella decisione di impegnarsi per tutta la vita e ritiene la fedeltà non un peso da portare, un vincolo mortificante, ma la grazia di sperimentare nel succedersi dei giorni la rivelazione inesauribile del bene che ciascuno custodisce. Nei giorni lieti e nei giorni tribolati, nelle inevitabili prove che l’amore attraversa, nell’esperienza triste del peccato, l’amore fedele riceve la grazia di perdonare e di essere perdonato, di sperimentare il sacrificio e di rallegrarsi della pace, di chiedere e ricevere aiuto.

La fedeltà nell’amore si esprime nella vita coniugale e nella vita consacrata, nel celibato e nella verginità. Il contesto contemporaneo rende particolarmente problematico il tema della fedeltà, dell’indissolubilità del matrimonio, del “per sempre” della consacrazione.

L’impegno educativo che orienta alle scelte definitive deve trovare i linguaggi e gli esercizi opportuni per consentire a ogni persona di avere stima di sé fino al punto da poter promettere fedeltà e di avere stima degli altri fino ad aspettarsi la fedeltà.

L’enfasi sul “diritto a essere felice”, che si rivendica come giustificazione a vivere la precarietà dei rapporti, riducendo gli altri a “esperimenti” e le scelte a “esperienze”, è una delle ragioni più diffuse dell’infelicità.

L’impressionante numero delle promesse d’amore non mantenute rischia di far pensare che la separazione sia “normale”, di far dimenticare che ogni separazione è un dramma e crea ferite che rimangono per tutta la vita. In particolare, la separazione dei genitori è spesso una tragedia irreparabile per i figli e li rende insicuri, segnati da incomprensibili sensi di colpa; li induce a disperare della possibilità di un amore fedele.

 

Responsabilità da esercitare, confronti e approfondimenti da curare, proposte pastorali da offrire per questo tempo e per gli anni a venire.

La proposta educativa che papa Francesco propone nell’esortazione apostolica Amoris Laetitia è il programma di lavoro che ispira la dedizione educativa per accompagnare i giovani a esplorare la verità dell’amore. Un programma di lavoro che ha trovato nell’anno appena concluso un frutto nel documento Itinerari catecumenali per la vita matrimoniale del Dicastero per i Laici, la Famiglia e la Vita. Uno strumento di orientamenti pastorali per le Chiese particolari che, come ci consegna papa Francesco, è insieme un dono e un compito.

In linea con questo documento, invito tutta la comunità cristiana a farsi carico di questo accompagnamento.

In particolare, alcuni consultori hanno sperimentato esperienze di sinergia per “fare rete per le giovani famiglie”. Il progetto nasce dalla percezione di due diverse urgenze, esposte con chiarezza da papa Francesco in Amoris Laetitia. La prima sfida è quella di rielaborare la pastorale familiare affinché sia sempre più una pastorale «missionaria, in uscita, in prossimità». La seconda sfida riguarda invece le coppie giovani, che spesso non hanno ancora maturato a sufficienza una chiara scelta di reciproca e indissolubile appartenenza. Scrive il Pontefice: «Quando l’amore diventa una mera attrazione o una vaga affettività, questo fa sì che i coniugi soffrano una straordinaria fragilità quando l’affettività entra in crisi o quando l’attrazione fisica viene meno. Dato che queste confusioni sono frequenti, si rende indispensabile accompagnare gli sposi nei primi anni di vita matrimoniale» (AL, 217). Il ruolo dei consultori familiari è da ritenersi strategico nell’orizzonte della vita di coppia secondo le prospettive che il Papa indica.

La vicinanza alle coppie in difficoltà, il servizio della mediazione familiare, la consulenza di coppia e l’accompagnamento personale che persone sagge e professionisti offrono sono opere benedette da Dio.

La consapevolezza della complessità della vita e il principio che nessuno deve giudicare il fratello devono rendere solleciti e misericordiosi verso tutti e verso tutte le situazioni, e il percorso compiuto per comprendere e recepire quanto papa Francesco scrive in Amoris Laetitia deve essere messo a frutto facendo buon uso dei percorsi suggeriti dalla proposta diocesana.

In quest’ottica, le Assemblee sinodali decanali possono rappresentare la modalità attraverso cui intercettare e portare all’attenzione del territorio le risorse, i punti di forza e le situazioni di fragilità. In questo modo sarà possibile promuovere e coordinare una rete, costituita da differenti associazioni, consultori, cooperative.

Il Servizio per la Famiglia della nostra Diocesi può aiutare a far conoscere la ricchezza di proposte che accompagnano single e coppie a vivere l’autenticità dell’amore (“Imparare ad amare”, corsi per nubendi; “Nati per amare”, percorso proposto dall’Azione Cattolica Ambrosiana; Gruppi familiari; Acor; Movimento dei Focolari; Incontro matrimoniale; Retrouvaille…). La Diocesi ha attivato alcuni uffici a servizio delle coppie per problematiche specifiche: l’Ufficio per l’accoglienza dei fedeli separati e il Tribunale ecclesiastico.

 

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IV – Il dono della vita.

“Attendere un bambino” è l’espressione radiosa che commuove la donna incinta e la sua famiglia. Secondo la testimonianza delle madri, è una grazia che si impara giorno per giorno, con trepidazione, stupore, talora con apprensione e malesseri che interrompono il ritmo ordinario della vita.

I genitori sperimentano che la vita è dono, cioè un mistero che la descrizione scientifica contribuisce a rendere più affascinante perché non riduce il processo a un meccanismo, ma piuttosto ne esalta lo stupore.

Diventare mamma, diventare papà è una grazia: la vita si rivela vocazione, dono e responsabilità.

In questa rivelazione sono accolti gli angeli che portano l’annunciazione che viene da Dio e che contribuiscono a rendere pienamente umana, cioè consapevole, lieta, trepida la nuova vita. Infatti, come si dice, un figlio ti cambia la vita.

Sono angeli dell’annunciazione i genitori, gli amici più esperti, i medici, i direttori spirituali: incoraggiano, rassicurano, sorridono, condividono, spiegano quello che succede.

La comunità cristiana dispone di molte attenzioni, di molti strumenti, di molta sollecitudine per accompagnare le coppie che aspettano un bambino.

Queste attenzioni sono particolarmente necessarie nei casi non infrequenti di maternità difficili, impreviste, non desiderate.

Molte circostanze inducono a comportamenti troppo superficiali che banalizzano il mistero, fanno vivere i rapporti sessuali come momenti di eccitazione piuttosto che di amore. Ne derivano talora situazioni difficili, condanne a solitudini desolate, necessità di sistemazioni di fortuna. E si insinua la tentazione tremenda dell’interruzione volontaria della gravidanza.

L’aborto volontario, affrontato sul momento come un liberarsi da un fastidio, è in realtà una tragedia che lascia un senso di colpa talvolta irrimediabile, che segna tutta la vita.

 

Responsabilità da esercitare, confronti e approfondimenti da curare, proposte pastorali da offrire per questo tempo e per gli anni a venire.

Sono benedetti da Dio tutti coloro che sono vicini alle coppie che desiderano un bambino che sembra loro negato, perché siano esplorate le vie per superare gli ostacoli fisici e psicologici al concepimento.

Sono benedetti da Dio tutti coloro che favoriscono percorsi di affido e di adozione, perché l’esperienza della maternità e della paternità sia vissuta con la stessa intensità e dedizione della generazione biologica.

Sono benedetti da Dio coloro che, nei consultori, nei Centri di aiuto alla vita, nel Movimento per la vita, nelle strutture di accoglienza per mamme con bambini, si rendono disponibili per donne che vivono la maternità come un problema, per essere d’aiuto, per aiutare ad apprezzare il dono della vita, per creare le condizioni che rendano meno insopportabile il peso della solitudine e dello smarrimento, per evitare la tragedia dell’aborto. Il prendersi cura dell’accompagnamento alla vita di coppia deve prevedere dinamiche concrete che sviluppino il desiderio della fecondità come dimensione imprescindibile della relazione coniugale, che non si chiude nella procreazione, ma si apre a tante altre forme (adozione, affido, dedizione educativa). I consultori di ispirazione cristiana offrono progetti che meritano di essere apprezzati e valorizzati.

Il Servizio per la Famiglia può indicare punti di riferimento per la promozione della genitorialità responsabile e per le diverse fasi del percorso di coppia e personale (si veda lo Sportello Anania) che propiziano l’accoglienza della vita, l’evoluzione dell’essere uomo e donna nel diventare padre e madre, indicando anche specifiche forme di aiuto per le diverse situazioni di complessità, talora drammatiche (si veda “La vigna di Rachele”).

 

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V – La dignità del lavoro. Il lavoro può nobilitare la vita.

 

L’evoluzione dei processi lavorativi è così rapida, complessa e confusa che si corre il rischio di rassegnarsi a essere spettatori impotenti o vittime inermi di un sistema incomprensibile. Occorre invece la pazienza di operare un discernimento, per individuare i rischi e le opportunità che il contesto odierno pone, per la realizzazione di un lavoro pienamente umano. Non basta esprimere giudizi, bisogna avere anche il coraggio di valorizzare e di incoraggiare quelle innovazioni tecniche e organizzative che consentono di rendere il lavoro più umano, più soddisfacente e generativo, per orientarne lo svolgimento verso la partecipazione di tutti alla costruzione del bene comune.

L’interpretazione cristiana del lavoro ha accumulato un patrimonio di sapienza e di criteri illuminanti che suggeriscono di affrontare il tema con rigore, con la pazienza di studiare, di promuovere confronti, percorsi di sperimentazione, così che anche il lavoro diventi un fattore di umanizzazione e una via per portare a compimento la propria vocazione e mettere a frutto i propri talenti.

Un compito che può essere svolto in modo proficuo anzitutto dalle imprese, le quali devono giocare in modo responsabile il loro ruolo di soggetti autonomi e innovativi, chiamati a creare valore per la società anche in condizioni di equilibrio economico: se, infatti, la generazione di profitti, in un orizzonte di medio e lungo periodo, è un indicatore essenziale e necessario per ogni impresa sana ed efficiente, la creazione di valore per l’impresa e la sua sostenibilità economica non possono mai andare a discapito della dignità del lavoro di tutti coloro che ne rendono possibile l’attività e la stessa esistenza. Da qui l’urgenza di ricercare nuovi equilibri e nuove forme di cooperazione fra i diversi soggetti che formano e partecipano alle realtà delle imprese affinché il lavoro di tutti sia rispettato e riconosciuto.

È in corso un ridimensionamento del tempo dedicato al lavoro che vede gli aspetti personali e familiari sempre più parte integrante della qualità del lavoro stesso, con lavoratori via via più imprenditori di sé stessi e interessati non solo al giusto salario, ma anche allo scopo del lavoro, alla cultura del lavoro nell’azienda in cui operano. Lavoratori che desiderano, cioè, essere più coinvolti nel costruire il futuro dell’azienda e capire come questo contribuisca a realizzare un mondo più giusto, migliore. Ed è qui che il magistero della Chiesa può aiutare i lavoratori e gli imprenditori a ritrovare un senso integrale del lavoro, in cui gli aspetti puramente economici si possano unire alla ricerca di un valore più profondo del lavoro e alla generazione di valore sociale, ambientale e culturale.

Un tema oggi sempre più pressante, anche nella nostra Diocesi, è quello del lavoro povero, ovvero di quei lavoratori sempre più numerosi che, pur lavorando regolarmente, non riescono a raggiungere un reddito adeguato per sostenere sé stessi e le loro famiglie. Così, spesso finiscono per cadere vittime di nuove forme di povertà. Un vero e proprio scandalo per la nostra sensibilità, abituata da generazioni a legare l’esercizio del lavoro con l’opportunità di un’autonomia economica e di una vita dignitosa. L’aumento del costo della vita (e, in modo particolare, dei costi dell’energia, dei generi alimentari e della casa), il diffondersi di forme contrattuali precarie e poco remunerate, l’acuirsi delle diseguaglianze fra le diverse fasce di lavoratori rendono oggi il lavoro non più capace di garantire un percorso di promozione sociale e di vita dignitosa.

È una situazione che appare particolarmente diffusa tra le donne, i giovani e i lavoratori precari. Ecco che la precarietà, l’incertezza e la povertà reddituale diventano un ostacolo importante anche per la costruzione di progetti di vita familiare e individuali; scoraggiano i giovani più fragili dall’investire nella propria formazione e nel proprio futuro lavorativo; limitano le possibilità concrete di costruire una famiglia e aprirsi alla generazione della vita.  

 

Responsabilità da esercitare, confronti e approfondimenti da curare, proposte pastorali da offrire per questo tempo e per gli anni a venire.

Le Assemblee sinodali decanali possono essere quello strumento di riflessione e di confronto per esplorare i diversi ambiti del lavoro e le problematiche specifiche e per promuovere approfondimenti. L’auspicio, infatti, è che un giudizio critico e una predisposizione costruttiva possano evidenziare in che modo il Vangelo sia luce che illumina tutti gli aspetti della vita, specie quelli che occupano gran parte del tempo per molte persone. Il Vangelo rende i discepoli sale della terra, quindi inviati per far apprezzare il sapore di un lavoro che rende migliori le persone che vi si impegnano. Il Vangelo ha una parola profetica da proclamare perché il lavoro non sia indegno dell’uomo, come succede se il lavoratore è strumentalizzato per il profitto, nei tempi, nei modi, negli ambienti in cui svolge la sua mansione.

Il Fondo Diamo Lavoro coinvolge tutti i decanati della Diocesi nell’avvio di tirocini per le persone disoccupate che si rivolgono ai centri di ascolto della Caritas. Questa iniziativa ha messo in moto una capillare rete di volontari impegnati sia nella ricerca di opportunità di tirocinio sia nel tutoraggio delle persone prese in carico. Le aziende hanno risposto positivamente al progetto, collaborando a valorizzare le esperienze e gli apprendimenti delle persone accolte nelle loro organizzazioni in un’ottica di management inclusivo.

Il Servizio per la Pastorale sociale e il Lavoro e la Caritas ambrosiana hanno la responsabilità dello studio delle problematiche, delle proposte di sensibilizzazione e delle iniziative, affinché sia possibile che l’intera società intenda, organizzi, pratichi il lavoro in modo che sia a servizio della dignità delle persone e della logica della vita come dono e come vocazione a servire.

 

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VI – Gli operatori di pace saranno chiamati figli di Dio (Mt 5,9).

 

La voce di Dio, che chiama per nome in ogni situazione, raggiunge uomini e donne amati dal Signore nel contesto desolante di circostanze e vicende incomprensibili e insolubili. Le guerre che tormentano i popoli, rovinano la terra, abbattono la speranza sono una tragedia persistente su questo pianeta che Dio ha voluto come un giardino in cui abitasse l’amore.

I media, con la loro selezione delle notizie, mettono in evidenza le guerre più vicine e non riescono a informare su tutte le situazioni di conflitto. Del resto, chi sopporterebbe il peso di una comunicazione completa che induce a perdere fiducia nell’umanità e a prevederne l’estinzione?

Eppure la Parola di Dio raggiunge i figli di Dio nella loro libertà per chiamarli a essere operatori di pace. La vita è vocazione a essere figli di Dio.

I figli amati da Dio operano ogni giorno per la pace, seguono Gesù, che è la nostra pace, e ne imitano lo stile. Così, non possono tacere né sottrarsi ad annunciare la Parola di Dio che condanna il gesto fratricida e perciò anche le politiche di guerra, gli interessi di guerra, le passioni che si scatenano nelle guerre. Non possono tacere, anche se sembra che la loro voce si perda nel vento e se il loro parlare li rende antipatici e fastidiosi. Non possono tacere.

I figli di Dio, operatori di pace, non possono sottrarsi alle opere di pace. Cercano l’incontro con tutti, si propongono di stabilire rapporti di amicizia, di collaborazione, di rispetto reciproco con i popoli della terra. Imparano molto dai missionari, che in nome del Vangelo sono presenti in ogni parte del pianeta. I missionari sono operatori di pace: imparano le lingue, si lasciano edificare dai valori e dalle culture che incontrano, si mettono a servizio della promozione e dello sviluppo dei popoli, offrono aiuti per vincere povertà e malattie, ingiustizie e discriminazioni. Non hanno la presunzione di esportare una civiltà, un sistema politico, ma sono convinti che ogni civiltà ha molto da offrire e molto da imparare.

Tutti i figli di Dio praticano opere di pace edificando una solidarietà internazionale che contesta i grandi interessi e i pregiudizi radicati e le politiche maldestre che erigono muri, favoriscono lo sfruttamento, difendono le loro ricchezze scandalose. Contestano, come Davide sfida Golia.

I figli di Dio, operatori di pace, seguono Gesù, che ha fatto pace e ha riconciliato i popoli nel suo sangue. Perciò non si sottraggono alle sofferenze e ai sacrifici che può costare operare per la pace. Dio accompagna sempre i suoi figli, come non ha abbandonato il suo Unigenito Figlio Gesù. L’ammirazione per coloro che si fanno presenti in territori di guerra per offrire la loro professionalità e il loro servizio non può essere solo retorica, ma sostegno costante nella solidarietà, nella preghiera, nell’apprezzamento del loro lavoro. Si tratta di giornalisti che vogliono informare il mondo, di medici che curano i feriti, di consacrati e consacrate che portano la Parola che illumina i passi degli uomini e i sacramenti che sono viatico per il cammino, nella vita e nella morte. Si tratta anche di militari presenti come forze di pace, per interporsi tra parti in conflitto, non di rado con una presenza rischiosa e spesso con opere di assistenza che vanno molto al di là di quanto richiede la missione.

Uomini e donne che interpretano la loro vita come vocazione e rispondono mettendo a rischio anche la vita. «Saranno chiamati figli di Dio.»

 

Responsabilità da esercitare, confronti e approfondimenti da curare, proposte pastorali da offrire per questo tempo e per gli anni a venire.

L’educazione alla pace, la formazione civica che ripudia la guerra, l’educazione cristiana che si apre alla compassione e alla comprensione delle culture dei popoli sono compiti affidati a tutti gli educatori e alle istituzioni educative, scolastiche, sportive, turistiche. La cura per una comunicazione onesta, critica, che si sottragga alla semplificazione schematica e ai luoghi comuni, al condizionamento delle ideologie, è un contributo decisivo per la pace tra i popoli. In ogni guerra, in ogni discriminazione, in ogni emarginazione di popoli ha infatti un ruolo determinante la menzogna che confonde il potere con il diritto e che presenta l’altro/gli altri come minaccia.

La conoscenza della storia, la visita ai luoghi della memoria dei crimini di guerra, la pazienza nell’ascoltare le testimonianze delle vittime degli stermini sono occasioni propizie per unirsi al coro degli uomini e delle donne di buona volontà che insistono nel grido: mai più la guerra!

L’Università Cattolica offre percorsi di studio accademici che non solo preparano buoni professionisti a servizio del “funzionamento del sistema”, ma uomini e donne che hanno strumenti per pensare, per riconoscere i limiti del sistema stesso, per correggerne il funzionamento.

Insieme con l’accademia, anche le scuole di formazione socio-politica hanno il compito di preparare alla responsabilità di farsi carico con onestà e competenza del bene comune, che è anzitutto il bene del convivere nella pace. Le tante esperienze in atto, nate dalla Giornata mondiale di preghiera per la pace (1° gennaio) ed estese al mese della pace (gennaio), meritano sostegno e rilancio. La Pastorale sociale e la Caritas ambrosiana, le associazioni e i movimenti lavorino per creare regie efficaci di sviluppo e di arricchimento, anche in chiave ecumenica, degli eventi già presenti nel calendario diocesano.

 

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VII – Gli anni della sapienza e della fragilità: il dono e la responsabilità della vita.

 

Il santo vecchio Simeone e la profetessa Anna vedono compiersi l’attesa di una vita e le promesse di una storia riconoscendo nel Bambino presentato al tempio da Maria e Giuseppe la «luce delle genti e gloria di Israele» (cfr. Lc 2,32). L’età degli anziani è vocazione a essere intuizione del compimento e motivazione per il cantico di abbandono.

Abramo con Sara riceve il comando del Signore a lasciare la sua terra per un nuovo inizio, per una insperata fecondità, per un percorso di fede che rende Abramo padre di una moltitudine che non si può contare. L’età degli anziani è vocazione per un nuovo inizio.

L’angelo dell’annunciazione raggiunge inaspettatamente il vecchio Zaccaria: nella sua vecchiaia c’è una vocazione. L’annuncio è così sorprendente che risulta incredibile, persino per un uomo così devoto come il sacerdote che frequenta abitualmente il tempio. La verità è che la vita è vocazione anche nella vecchiaia.

Il numero così rilevante di anziani, che rende la nostra una società che invecchia, introduce una problematica complessa per tutto ciò che si riferisce alla sostenibilità del sistema. La situazione interpella la comunità cristiana: non solo come un problema, ma come una sfida per il compimento della vocazione di ciascuno e le forme della carità e della cura per le persone fragili che sono l’opera dello Spirito.

Gli anziani sono molto numerosi nelle comunità cristiane e la loro presenza si rivela una risorsa che offre molti doni, anche per la grande varietà di condizioni degli anziani. Ci sono infatti anziani che si rendono presenza preziosa e operosa, perché hanno competenza, desiderio di servire, tempo per mettersi a servizio.

I nonni possono fare molto per le loro famiglie, per offrire una testimonianza di fede e di appartenenza alla comunità cristiana, per accompagnare i nipoti e dare aiuto alle famiglie dei figli in un servizio che li gratifica e insieme li rende indispensabili in molte situazioni.

Gli anziani possono fare molto per le comunità cristiane e per iniziative di bene che senza l’apporto dei volontari sarebbero insostenibili.

Ma gli anziani possono fare molto anche quando confidano la loro desolazione dicendo: «Adesso non posso fare più niente!», a causa delle condizioni di salute e degli acciacchi dell’età. Anche per loro giunge l’angelo dell’annunciazione che rivela che sempre “si può fare molto”, perché sempre si può pregare, sempre si può sorridere, sempre si può dire una parola saggia, buona, sempre si può dedicare tempo ad ascoltare chi cerca il sollievo di uno sfogo, di una confidenza.

È necessaria una “proposta pastorale” che aiuti tutti gli anziani, in ogni condizione, a vivere la loro vocazione cristiana.

Responsabilità da esercitare, confronti e approfondimenti da curare, proposte pastorali da offrire per questo tempo e per gli anni a venire.

La presenza di associazioni di nonni, del Movimento Terza Età promosso dalla Diocesi, di molte iniziative di carità, proposte di solidarietà missionaria, centri culturali, deve essere valorizzata soprattutto in due direzioni. In primo luogo per incoraggiare ciascuno a mettere a frutto i propri talenti e la disponibilità di energie, di tempo, di competenza a servizio della comunità. In secondo luogo per praticare l’attenzione alle singole persone. Le condizioni di solitudine, di fragilità, di malattia hanno certo bisogno di un’adeguata organizzazione delle istituzioni per l’assistenza e la cura. Non deve però mancare la prossimità fraterna che coinvolge tutte le persone in un’appartenenza cordiale e apprezzata nella comunità cristiana, creando occasioni di incontro, percorsi spirituali, capillare presenza per la visita alle persone costrette in casa, disponibilità di volontari per essere figure liete e affettuose nelle RSA del territorio.

Prendersi cura degli anziani diventa anche ascolto e sostegno a chi già si prende cura di loro (i coniugi, i figli, i vicini di casa). Anch’essi hanno bisogno di essere ascoltati, soprattutto quando sentono mancar loro le forze e la pazienza e quando necessitano di un orientamento e di una guida per sapere come e a chi chiedere aiuto.

È importante suscitare il carisma del prendersi cura e dell’accompagnamento umano e spirituale dei sofferenti. Anche gli stessi anziani possono stimolarsi a vicenda: in quanto “soggetti attivi e responsabili dell’opera di evangelizzazione e di salvezza”, sono chiamati a comunicare ispirazione e speranza a quanti condividono la loro stessa esperienza dolorosa.

Tra gli anziani considero anche le numerose persone consacrate che, come molti altri, con la loro presenza sono segno della vicinanza di Dio e della comunità a chi è nella sofferenza. Ci sono tanti esempi e parole che aiutano il malato a riconoscere le risorse spirituali e religiose per fare fronte alla malattia, alla disabilità o alla vecchiaia.

In generale, il tema delle persone anziane assume nel nostro Paese un’importanza di particolare rilievo, dato il numero crescente di soggetti coinvolti. Anche l’evoluzione legislativa offre indicazioni per una cultura dell’anziano. È necessario che anche la comunità cristiana contribuisca a testimoniare e a vivere la vita come dono e ogni situazione come occasione.

La Commissione diocesana per la Pastorale dei nonni, oltre che ad aiutare i nonni a vivere bene la loro condizione di vita e a mettersi al servizio della comunità cristiana nella quale abitano, si è da sempre focalizzata sulle relazioni intergenerazionali all’interno della famiglia allargata (nonni, figli/genitori e nipoti). I buoni rapporti fra le generazioni sono oggi, forse, l’emergenza più critica anche nelle nostre parrocchie, e non solo. C’è quindi il dovere di farsene carico, considerando peraltro che il “popolo dei nonni” rappresenta più della metà dei partecipanti alle messe della domenica.

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Conclusione

 

La proposta che offro alla Chiesa ambrosiana è frutto di una consultazione che ha coinvolto i Consigli diocesani – pastorale e presbiterale –, così come persone che, senza appartenere ai Consigli, hanno ritenuto di farmi pervenire osservazioni e proposte.

Alcuni mi hanno sconsigliato di trattare gli argomenti di questa proposta, o esprimendo la persuasione che il magistero della Chiesa sia già sufficientemente noto e completo, o ritenendo altri argomenti e temi pastorali più urgenti e meno divisivi. In particolare condivido l’urgenza e la serietà del tema della trasmissione della fede, delle vocazioni al ministero ordinato e delle forme di corresponsabilità operanti, non senza problemi, nella nostra Chiesa.

Ho cercato di meditare le osservazioni e di metterle a frutto. Insieme ho considerato che la maggioranza dei pareri pervenuti sottolineava l’importanza di trattare proprio alcuni di questi temi per offrire una parola di orientamento in un momento in cui una certa confusione induce più alla reticenza e all’imbarazzo che a una proposta franca del messaggio cristiano e a un accompagnamento delle persone e delle comunità sapiente e costruttivo.

La mia intenzione non è, come si vede, di proporre una sintesi dottrinale su temi delicati e complessi. Desidero piuttosto mettere in evidenza il principio fondamentale del vivere e il punto di partenza per le scelte alle quali la responsabilità di ciascuno non può sottrarsi. E il principio fondamentale è che Gesù è risorto, è vivo, è presente nella Parola che viene proclamata e nella celebrazione che raduna il popolo santo di Dio.

Gesù è vivo e la sua presenza, la sua Parola, il dono dello Spirito Santo non sono verità da affermare solo con un assenso intellettuale o verbale, ma sono modalità con cui siamo chiamati per nome.

Dobbiamo così riconoscere che la vita è vocazione, una vocazione da non intendersi come il dovere di conformarsi a un modello prefabbricato, nel quale il Signore ci ingabbia. Piuttosto la vocazione si deve intendere come il dono della vita che è chiamata a vivere la relazione con Dio come Padre, per essere figli di Dio, nell’esercizio della propria libertà.

La libertà compie le scelte spicciole e quelle decisive della vita dentro una storia, abitata da una grazia, abilitata alla scelta, capace di leggere in sé, nell’ambiente in cui vive, nel tempo in cui abita i segni che invitano a determinare “la propria strada” in modo che sia «la strada per seguire Gesù, per portare a compimento la vocazione a essere santi e immacolati di fronte a Dio nella carità» (cfr. Ef 1,4).

Ritengo che solo la relazione personale con Gesù vissuta dentro la comunità cristiana renda possibile interpretare l’identità, la vita, la responsabilità, la presenza nel mondo come la condizione per portare a compimento la propria vocazione.

Credo che questo vivere la fede come amicizia, sequela, comunione con Gesù sia la condizione per riconoscere di vivere una vita ricevuta in dono e costituisca l’antidoto più necessario per resistere alla tentazione dell’individualismo radicale che, a mio parere, sta portando al suicidio della nostra civiltà. La mia intenzione non è tanto quella di offrire una proposta pastorale per l’anno 2023/2024, quanto di incoraggiare tutta la nostra comunità ad affrontare oggi e nel futuro i nodi decisivi del vivere e del vivere insieme: perciò, più che una proposta pastorale questo testo è l’appello a prendersi le proprie responsabilità, a curare confronti e approfondimenti, a elaborare proposte pastorali coerenti. Insomma, più un programma di lavoro abituale che un tema da affrontare in un anno pastorale.

In queste indicazioni si riconosce facilmente il riferimento al cammino sinodale della Chiesa italiana che entra nel biennio della “fase sapienziale”. Le linee guida recentemente pubblicate con il titolo Si avvicinò e camminava con loro assumono l’icona biblica dei discepoli di Emmaus per indicare come Gesù si rende presente agli interrogativi e alla desolazione, fa ardere il cuore e si rivela nello spezzare del pane per far sì che i discepoli siano testimoni e missionari dell’annuncio pasquale.

La nostra condizione sperimenta la complessa dinamica segnata insieme dall’ardore dell’annuncio e dalla desolazione dell’assenza: sì, siamo insieme credenti e non credenti, terra assetata che invoca la fonte che zampilla e terra promessa che offre speranza ai nostri contemporanei. Perciò impariamo e cerchiamo di praticare lo stile di Gesù per percorrere le strade dell’inquietudine e dello scoraggiamento, per imparare a dialogare, per seminare speranza.

Il metodo sinodale nella fase sapienziale è quello che raccomando nell’affrontare i temi che ho messo in evidenza e che negli anni a venire devono essere oggetto di riflessione, di confronto con la gente del nostro tempo, dentro la comunità cristiana e la società contemporanea, perché possano risuonare la profezia della speranza e il canto dell’alleluia.

 

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Preghiera conclusiva

 

Padre, siamo davanti a te come terra arida, assetata, i nostri pensieri si sono fatti confusi,

il nostro sguardo miope, il nostro cuore triste.

Non sappiamo nemmeno che cosa domandare. Manda per noi il tuo Santo Spirito, lo Spirito di Gesù: ci insegnerà ogni cosa e ci ricorderà tutto ciò che Gesù ha detto.

Manda il tuo Spirito e rinnova la faccia della terra. Manda il tuo Spirito su questa povera umanità perché riviva.

 

Infondi in noi uno spirito nuovo, togli da noi il cuore di pietra

e donaci un cuore di carne,

donaci di condividere i sentimenti di Cristo Gesù e la sua compassione per ogni fratello e sorella.

Donaci il tuo Santo Spirito,

per riconoscere il tuo amore nel dono della vita e rendere grazie:

quando vedo i tuoi cieli, opera delle tue dita, la luna e le stelle che tu hai fissato,

che cos’è l’uomo, perché di lui ti ricordi, il figlio dell’uomo, perché te ne curi?

 

Donaci il tuo Santo Spirito,

perché ci insegni e ci aiuti a prenderci cura dell’uomo, della donna, della vita,

della speranza di tutti,

della vocazione di ciascuno a partecipare della tua vita,

la vita del Figlio di Dio.

 

Donaci il tuo Santo Spirito:

guarisca le nostre ferite,

ci renda disponibili ad accogliere i suoi doni, a rallegrarci dei suoi frutti:

amore, gioia, pace, magnanimità, benevolenza, bontà, fedeltà, mitezza.

 

Donaci il tuo Santo Spirito:

ci insegni a pregare.

 

Padre nostro, che sei nei cieli, sia santificato il tuo nome, venga il tuo regno,

sia fatta la tua volontà, come in cielo così in terra.

Dacci oggi il nostro pane quotidiano, rimetti a noi i nostri debiti,

come anche noi li rimettiamo ai nostri debitori, non ci abbandonare nella tentazione,

ma liberaci dal male. Amen.

 

+ Mario Delpini Arcivescovo di Milano

 

Milano, 8 settembre 2023.

Festa della Natività della Beata Vergine Maria