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Se nella storia si riconosce un compito

MILANO, 9 luglio 2025, Università Cattolica del Sacro Cuore. Intervento al convegno “Il Cattolicesimo associato nella Dottrina Sociale della Chiesa”

9 Luglio 2025

Ringrazio per l’invito e dichiaro fin da subito che il mio intervento si concentrerà più sugli aspetti problematici che su quelli propositivi. Parlando della Dottrina Sociale della Chiesa e del cattolicesimo “associato” – come il Movimento Cristiano Lavoratori, ma anche tante altre realtà animate dal desiderio di studiare, proporre, incarnare questa dottrina – emergono difficoltà che ci sfidano, ci interrogano… e a volte, diciamolo, ci umiliano anche un po’.

Un primo insieme di problemi lo inquadrerei nel contesto di quello che mi pare si possa chiamare il declino dell’Occidente. La Dottrina Sociale non nasce per accompagnare un declino, ma per promuovere lo sviluppo integrale della persona, la sua dignità, la giustizia sociale. Eppure, cosa circonda oggi questa nostra proposta?

Vorrei accennare ad almeno tre elementi:

1.Una silenziosa complicità nel disinteresse.
Quello che i cattolici fanno, le riflessioni sulla dimensione sociale della fede, vengono sistematicamente ignorate. Non c’è malizia, non è un complotto: è proprio disinteresse. Un esempio? Le Settimane Sociali: eventi che coinvolgono migliaia di persone, che ricevono messaggi del Papa, che hanno ospitato il Presidente della Repubblica… eppure, nel dibattito pubblico italiano, sembrano non esistere. Come se non ci fossero mai stati. Parlavano di democrazia, di partecipazione: temi che riguardano tutti. E invece, niente. Silenzio.

2. L’individualismo pervasivo.
Il messaggio che passa è: “Conto solo io, il mio punto di vista, il mio interesse”. Ma spesso questa posizione non è neanche autentica: è figlia di un indottrinamento sottile, di una cultura dominante che legittima la solitudine, che giustifica la chiusura. In questo clima, parlare di Dottrina Sociale, di movimento di lavoratori, di associazioni… suona fuori tempo massimo. Fuori sintonia con la sensibilità contemporanea.

3. Il sospetto dell’irrilevanza.
Quello che proponiamo sembra non interessare nessuno. Sembra non toccare la realtà. Eppure parliamo di pace, di giustizia, di famiglia, di lavoro, di uguaglianza… Ma è come se questi temi fossero ormai privi di peso. Il tema della pace, in particolare, pare oggi censurato come ingenuità o, peggio, come invito alla resa: “Se vuoi la pace, piegati al più forte”. Una logica inaccettabile. Eppure è quella che passa. Ecco: l’irrilevanza percepita della Dottrina Sociale è forse la sua sfida più drammatica.

 

Un secondo capitolo: l’interrogativo sull’attrattiva dell’associarsi.

Mettiamola così: formare un’associazione, un gruppo, un movimento… oggi non attrae più come un tempo. Come mai?

Ovunque vada, sento ripetere lo stesso ritornello: si fa fatica, i giovani non ci sono, siamo sempre di meno, siamo sempre più vecchi. In altre parole: non siamo attrattivi. Perché?

Non ho un’analisi completa, ma alcuni spunti li vorrei condividere:

– La retorica dell’ispirazione cristiana e la reticenza nella quotidianità.
Diciamo che ci ispiriamo al Vangelo… ma poi, nella prassi concreta, i criteri sono quelli di tutti. Non siamo cattivi. Semplicemente, ci adeguiamo. Ma se ci adeguiamo, diventiamo irriconoscibili. E allora come possiamo essere attrattivi?

– La memoria come commemorazione.
Celebriamo il passato con una certa nostalgia, elencando le belle cose fatte, le pubblicazioni, le glorie passate. Ma questo rischia di diventare una visita al museo. Come dice Oldani: “Il passato come ingrediente per simulare nobilmente la mancanza di qualunque idea di futuro”. E così la memoria, anziché generare speranza, si fa sterile.

– Le divisioni interne.
Troppo spesso nei gruppi cattolici si fa fatica ad andare d’accordo. Più che condividere una meta, sembra si voglia difendere il proprio spazio. Si parla male gli uni degli altri, manca la stima reciproca. Ma come può essere attrattivo un ambiente in cui si coltivano lamentele e critiche continue?


Terzo e ultimo punto: l’associazionismo come risposta a una vocazione.

Non ci associamo perché ci sentiamo assediati o minacciati dal mondo. Non è la “sindrome dell’assedio” che ci muove. Ci associamo perché siamo chiamati a essere presenza nella società, come cristiani. Non come gruppo autoreferenziale, non per difendere un’ideologia. Ma per vivere una missione.

Guardando alla storia dell’associazionismo cattolico, si possono distinguere alcune stagioni:

– La stagione del “è permesso associarsi” (Leone XIII).
In un contesto di esclusione dei cattolici dalla politica, il Papa incoraggia a creare aggregazioni per difendere la giustizia sociale, nel pieno di una rivoluzione industriale aggressiva. Nasce un associazionismo che vuole incidere nella società, non solo nella Chiesa.

– La stagione del “è necessario associarsi” (dopo la Seconda Guerra Mondiale).
La nascita della Repubblica Italiana richiede una presenza cattolica organizzata in politica, nei sindacati, nella formazione. Si crea un tessuto sociale vivo, impegnato.

– La stagione della crisi (anni ’60-’70).
Si crea una tensione tra “essere fedeli alla Chiesa” ed “essere fedeli alla Storia”. Alcuni si allontanano dalla gerarchia, nascono conflitti. Il MCL nasce anche come reazione a questa crisi. Ma da lì in poi molte associazioni si svuotano: calano i numeri, cala la spinta.

– La stagione attuale: l’appello alla fiducia e alla speranza.
Oggi siamo chiamati non a contare i numeri, ma a testimoniare con incisività. Non è il tempo della nostalgia né della rassegnazione. È il tempo del seme. È il tempo in cui la Chiesa – come ci ricorda Papa Francesco – invita a seminare speranza.

 

“Pellegrini di speranza, per seminare speranza”: con questa espressione vorrei concludere.

Non siamo qui per consolarci a vicenda o per lamentarci insieme.

Siamo qui perché, anche in tempi difficili, credere nella forza dell’associarsi è parte integrante della nostra vocazione cristiana.