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Fiat iustitia ne pereat mundus

"Per una presenza fiduciosa che non tace la sua fede" intervento "Quando Gesù entrò nel Palazzo di Giustizia". Visita dell’Arcivescovo di Milano a Palazzo di Giustizia, Martedì 12 dicembre, Corte Assise d’Appello

12 Dicembre 2023

Quando Gesù si avvicinò al Palazzo di Giustizia, uno dei suoi discepoli gli disse: “Maestro, guarda che pietre e che costruzioni!”. Gesù gli rispose: “Vedi queste grandi costruzioni? Non sarà lasciata qui pietra su pietra che non venga distrutta”. (Mc 13,1-2).
Gli operatori del tribunale sono cioè chiamati a una riflessione sistemica: molte voci dicono della necessità di una riforma. Non sono in grado, evidentemente, di dire alcunché in merito. Ma il coraggio di un pensiero e di una proposta è forse un dovere indeclinabile del pensiero, del magistero, dello studio dei cattolici impegnati in questo ambito.

Quando Gesù entrò al Palazzo di giustizia, vide le dieci vergini, cinque stolte e cinque sagge…poiché faceva tardi si assopirono tutte e si addormentarono (cfr Mt 25,1-13).
Le stolte non avevano olio per alimentare le loro lampade per tutta la festa. Invece le sagge avevano preso anche l’olio di riserva.
Nel palazzo di giustizia c’è del personale (giudici, avvocati, segretari, addetti ai diversi compiti) stremato dalla fatica, schiacciato dall’incombere di un peso sproporzionato alle forze.
Le persone sagge si attrezzano con olio di riserva. Cercano ciò modi di organizzare la loro vita che consenta riposo, ricarico di energie, occasione di approfondimento e di aggiornamento. La formazione professionale non è solo aggiornamento, ma ricarica motivazionale e costanza in una dinamica di solidarietà che propizia forme di collaborazione e di alleanza.

Quando Gesù entrò nel Palazzo di Giustizia incontrò la vedova insistente
“In una città viveva un giudice, che non temeva Dio né aveva riguardo per alcuno. In quella città c’era anche una vedova, che andava da lui e gli diceva: “Fammi giustizia contro il mio avversario”. Per un po’ di tempo egli non volle; ma poi disse tra sé: “Anche se non temo Dio e non ho riguardo per alcuno, dato che questa vedova mi dà tanto fastidio, le farò giustizia perché non venga continuamente a importunarmi” (Lc 18,2-5).
Gesù incontra nel palazzo coloro che attendono da troppo tempo quello che è giusto, quello che è diritto del cittadino. Ci sono coloro per i quali il prolungarsi dei procedimenti sono un vantaggio perché sono in posizione di forza e forse contano su norme che prescrivono alcuni reati. Ma ci sono i poveri e i deboli che nel prolungarsi dei procedimenti sono stremati e patiscono pene che sono ingiuste.

Quando Gesù entrò nel Palazzo di Giustizia forse ha ripetuto il gesto compiuto nel tempio di Gerusalemme: Entrato nel tempio, si mise a scacciare quelli che vendevano e quelli che compravano nel tempio; rovesciò i tavoli dei cambiamonete e le sedie dei venditori di colombe e non permetteva che si trasportassero cose attraverso il tempio (Mc 11,15-16). Forse anche nel palazzo abitano persone che comprano e vendono, fanno i loro affari e non si curano del bene comune, del sacro dovere di rendere giustizia.

Quando Gesù entrò nel Palazzo di Giustizia forse incontrò vicende come quella di Paolo: Cinque volte dai Giudei ho ricevuto i quaranta colpi meno uno; tre volte sono stato battuto con le verghe, una volta sono stato lapidato (cfr. 2 Cor 11,24). Come Paolo ricevette pene per quello che si potrebbe chiamare un reato di opinione, così può essere che nella pratica giudiziaria le ideologie, le opinioni, le simpatie inducano a decisioni che non sono giuste, per quanto forse siano legali.

Quando Gesù entrò nel Palazzo di Giustizia realizzò le profezie che indicavano la missione del Messia:
Lo Spirito del Signore è sopra di me;
per questo mi ha consacrato con l’unzione
e mi ha mandato a portare ai poveri il lieto annuncio,
a proclamare ai prigionieri la liberazione
e ai ciechi la vista;
a rimettere in libertà gli oppressi,
a proclamare l’anno di grazia del Signore
(Lc 4,18-19).
Non si può dimenticare il tema delle pene. Il sistema carcerario è oggetto di molte domande, è problematico per molti aspetti, rappresenta uno sperpero enorme di risorse umane ed economiche e per lo più non sembra portare agli esiti che il legislatore si propone.

Gesù ha avuto una esperienza drammatica dei tribunali: del sinedrio e del pretorio. L’innocente è stato condannato, il giusto è stato ingiustamente messo a morte.
Il Verbo si è fatto carne per farsi carico di tutti gli aspetti della vita umana e per salvare tutti gli uomini e le donne e l’intero dell’essere umano.
Perciò Gesù si chiama anche giudice: Siate costanti anche voi, rinfrancate i vostri cuori, perché la venuta del Signore è vicina. Non lamentatevi, fratelli, gli uni degli altri, per non essere giudicati; ecco, il giudice è alle porte (Gc 5,8-9).
Gesù si chiama anche avvocato: Figlioli miei, vi scrivo queste cose perché non pecchiate; ma se qualcuno ha peccato, abbiamo un Paràclito (avvocato) presso il Padre: Gesù Cristo, il giusto. È lui la vittima di espiazione per i nostri peccati; non soltanto per i nostri, ma anche per quelli di tutto il mondo (1Gv 2,1-2).