Dice lo Sposo alla Chiesa:
"Tu sei il mio sigillo, creata a mia immagine e somiglianza.
Risplende in te l’immagine della giustizia, l’immagine della sapienza e delle virtù.
Nel tuo cuore è impressa l’immagine di Dio;
rifulga anche nelle tue opere; le tue azioni rivelino l’effigie del Vangelo
perché nella tua condotta tu custodisca i miei precetti.
L’impronta del Vangelo brillerà in te se porgerai l’altra guancia a chi ti percuote,
se amerai il tuo nemico, se prenderai la tua croce e mi seguirai. Io ho portato per voi la croce proprio perché tu non esitassi a portarla per causa mia".
Carissimi battezzati della Chiesa ambrosiana,
ho voluto iniziare questa lettera introduttiva al testo sinodale con alcune parole che S. Ambrogio, commentando il Salmo 118, mette sulle labbra del Signore (Commento al Salmo 118/2, XXII, 34). Si tratta di parole ispirate dal Cantico dei Cantici. Al grido della Sposa «vieni mio diletto» lo Sposo ha risposto: «poni me a sigillo del tuo cuore, a sigillo del tuo braccio» (Cant 8,6). E S. Ambrogio continua sviluppando l’immagine del sigillo impresso nel corpo della sua Chiesa e reso visibile nelle azioni conformi al Vangelo, nell’amore del nemico e nel portare la croce dietro a Gesù. Mi sembra che anche il libro del Sinodo possa essere considerato come un sigillo che mostra nel corpo della Chiesa il nostro amore e la nostra obbedienza al Signore. Ma qui ascolto come un grido di stupore della nostra Chiesa che si rivolge al suo Signore e gli dice: «Ma Tu davvero mi ami così, hai tanta stima di me, mi consideri un tuo bene prezioso? Noi abbiamo tanto sentito nel Sinodo la nostra fatica, il peso della nostra inadeguatezza, le nostre incoerenze…Quanti interventi hanno messo il dito sulle nostre piaghe, ci hanno fatto prendere coscienza dei nostri ritardi, della nostra lontananza dal tuo Vangelo!».
«Eppure – dice il Signore alla nostra Chiesa – io ti considero un bene prezioso e ti amo. Conosco i tuoi ritardi e le tue inadempienze, ma ho scelto te come sposa e non ti abbandonerò mai. Anzi voglio proprio che tu consideri anche questo libro sinodale, pur con i suoi limiti, come un nuovo piccolo gioiello con il quale voglio che tu faccia memoria di me e ti senta da me amata. E più in generale vorrei che tu, in occasione della consegna di questo libro, ti sentissi richiamata a prendere maggiore coscienza dei tuoi doni, molto più di quanto tu non abbia fatto nello stesso processo sinodale. Chiedo che tu senta maggiormente la gioia e la fierezza di quanto tu sia grande e splendente per la potenza della mia grazia e per la misericordia del mio cuore. Vorrei che tu, come Maria Maddalena al sepolcro (cfr. Gv 20,11-18), ti accorgessi finalmente che sono io, vivo e risorto, che ti sono vicino, ti accolgo e ti comprendo anche nella tua affannosa e non sempre illuminata ricerca di me. Quante volte mi cerchi come se fossi ancora sepolto in qualche luogo remoto, avvolto nelle bende di qualche abitudine del passato. Sono io che vivo, qui vicino a te, ti chiamo per nome e ti mando ai tuoi fratelli. Vorrei che tu, come i discepoli di Emmaus (cfr. Lc 24,32), sentissi il cuore che ti arde mentre ti parlo e ti spiego le Scritture. Vorrei che il tuo cuore ardesse nella memoria delle Scritture anche durante la lettura di questo libro sinodale.
Come Giacobbe dopo il sogno (cfr. Gen 28,10-22), vorrei che tu ti accorgessi che la terra che calpesti è luogo santo, che anche sulle nostre città scende una scala dal cielo su cui salgono e scendono gli angeli.
Come Giacobbe ha eretto una stele a memoria di quella visione confortante, così anche questo libro sinodale ti serva per ricordare che io sono con te in questo tuo viaggio faticoso verso Gerusalemme, "confermando il tuo volto". Come dopo la rinnovazione dell’alleanza (ricordi l’Assemblea di Sichem?) ti invito a considerare questo libro come la "grande pietra" rizzata sotto il terebinto (cfr. Gs 24,26) che richiama ad essere fedeli all’alleanza con me, Signore tuo, della tua terra e della tua cultura. Vorrei che, come Mosè ha contemplato sul monte il modello di quel tabernacolo che doveva realizzare nel deserto (cfr. Es 25,9.40), così tu tenessi presente questo libro come abbozzo iniziale per quella costruzione dell’edificio santo che io stesso vado facendo per mezzo di te giorno dopo giorno fino alla manifestazione della Gerusalemme celeste. Infine, perché questo libro non abbia né l’opacità della stele di Giacobbe né il peso della grande pietra di Giosuè ma sia per te fonte di ispirazione gioiosa, di creatività e di conforto, ti invito a confrontarlo costantemente con l’icona della Chiesa degli apostoli, quella Chiesa che è sgorgata dal mio cuore trafitto e che è stata sostenuta dalla presenza e dalla preghiera della mia diletta Madre. Allora questo libro sarà per te "peso leggero", le sue prescrizioni ti saranno "giogo soave", perché dietro le righe avrai colto la trasparenza del mio volto. Quel volto che ho dovuto "indurire" per portare dietro di me i miei discepoli incerti verso Gerusalemme ma che ora risplende di luce e si manifesta a coloro che hanno fiducia in me».