La vita di questo santo, che sarebbe vissuto nel II sec. all’epoca di Marco Aurelio e Lucio Vero, fu scritta – in forma di leggenda – nel IV sec. L’elemento più significativo di tale biografia è il fatto che Abercio avrebbe, ancora in vita, di sua mano inciso su pietra l’epitaffio per la propria sepoltura. Di tale epitaffio si conservano in effetti frammenti e trascrizioni attendibili, che ci consegnano un testo ricco di espressioni di rara bellezza, a descrivere il mistero della condizione cristiana: “… io, di nome Abercio, discepolo del casto pastore che pasce greggi di pecore per monti e per piani; egli ha grandi occhi che guardano dall’alto ovunque (…) la fede mi guidò ovunque e mi dette per cibo il pesce di fonte grandissimo, puro, che la vergine suole prendere e porgere a mangiare ogni giorno ai suoi fedeli amici, avendo un eccellente vino che suole donare col pane (…). Chiunque comprende quel che dico e pensa come me, preghi per Abercio”.
Nel 1892 due frammenti dell’epigrafe, definita “la regina delle iscrizioni cristiane”, furono offerti in dono a Leone XIII dal sultano di Turchia, e collocati nel Museo Lateranense.