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Gocce di cultura

Jacques Le Goff, L’immaginario medievale

Arnoldo Mondadori, Milano aprile 1993. Traduzione di Anna Salmon Vivanti

di Felice Asnaghi

9 Novembre 2015

Il primo aprile del 2014 Jacques Le Goff è morto alla veneranda età di 90 anni. Lo storico francese fu uno dei padri del medievismo europeo e con i suoi studi ha fortemente innovato la storiografia riuscendo, nello stesso tempo, a essere un grande divulgatore. Si deve proprio a lui la fine del mito di un Medioevo età oscura, buco nero nell’avanzare progressivo della civiltà. Non a caso oggetto dei suoi studi, per quanto riferiti al Medioevo, sono figure ancora oggi importanti nella società contemporanea: l’intellettuale, il banchiere, il commerciante e soprattutto l’uomo nel suo vivere quotidiano. Per chi, come il sottoscritto legge e scrive di storia locale, non può non avere familiarità con le pubblicazioni di Le Goff e proprio per questo mi appresto volentieri a relazionare su “L’immaginario medievale” un libro basilare e sorprendente.

 

Prefazione

Le Goff in questa raccolta di saggi rilegge la storia del Medioevo da tre tematiche legate all’immaginario collettivo: il tempo oggetto privilegiato dello storico; il rapporto tra cultura erudita e cultura popolare; l’antropologia storico politica.

Nel primo punto si trattano alcune sfaccettature della dimensione dell’immaginario. Un concetto che a volte si confonde con quello di “rappresentazione” ossia la traduzione mentale di una realtà esterna riletta attraverso l’immagine dello spirito, la poesia, la letteratura, l’arte e la creatività. Così la cattedrale immaginaria può essere la Notre Dame de Paris descritta da Victor Hugo. L’autore attraverso la fantasia e l’estro trascina l’immaginario oltre la rappresentazione puramente intellettuale. L’immaginario non è puro simbolismo. Si può parlare di simbolico solo quando c’è il rinvio dell’oggetto considerato a un sistema di valori sotteso, storico o ideale. Per esempio nei portali regi delle cattedrali le stilizzazioni dei re di Francia esprimono l’attualizzazione degli antichi re di Giuda, oppure la donna bendata della scultura gotica è l’emblema della Sinagoga. L’immaginario non è neppure l’ideologico. La distinzione è netta e necessaria per evitare di imporre alla rappresentazione un significato tale da snaturare tanto il “reale” materiale quanto l’altro reale, l’ “immaginario”. 

Nel secondo punto l’immaginario fa i conti con i documenti su cui lavora uno storico. «Pergamena, inchiostro, sigilli e così via esprimono tutti, più che una rappresentazione, un’ immaginazione della cultura, dell’amministrazione del potere. L’immaginario dello scritto non è lo stesso della parola, del monumento, dell’immagine. Le formule del protocollo iniziale, delle clausole finali, della datazione, la lista dei testimoni, per non parlare del testo propriamente detto, riflettono non solo situazioni concrete, ma anche un immaginario del potere, della società, del tempo, della giustizia, ecc.»

La storia dell’immaginario ha logicamente i suoi documenti privilegiati tratti dalle opere letterarie e artistiche. Saperli sfruttare presuppone una formazione, una competenza tecnica che lo storico non ha. Il vero storico dell’immaginario deve trattare tali documenti tenendo conto della loro specificità. Progressi sono stati fatti nell’utilizzo di testi agiografici poiché rivelatori di un sostrato culturale. Su questa strada va letta l’immagine.

«Da tempo l’immagine è l’oggetto di una scienza specifica: l’iconografia. L’analisi investe ormai la quasi totalità dell’immagine, e non soltanto i suoi temi, le sue strutture, i suoi aspetti (il colore in particolare) e tutto ciò che riguarda (posizione nel manoscritto, impaginazione, rapporto con il testo). Le finalità dell’indagine si estendono alla comprensione della funzione dell’immagine nella cultura e nella società».

Perché dunque questo nuovo settore della storia, il campo dell’immaginario?  In primo luogo perché molti storici si accorgono che tutto nella vita degli uomini e delle società appartiene anche alla storia e può essere oggetto di un approccio storico. La stessa natura rientra nel terreno dello storico. Le immagini che interessano sono immagini collettive rimescolate dalle vicissitudini della storia: esse si formano, cambiano, si trasformano, si esprimono con parole e temi, sono tramandate dalle tradizioni, prese in prestito da una civiltà all’altra, circolano nel mondo diacronico delle classi e delle società umane. Appartengono inoltre alla storia sociale senza restarvi rinchiuse. Ad esempio si è dimostrato come sia stata propositiva l’immagine di Gerusalemme ad aver spinto i cristiani dell’Occidente alla Crociata.

Al terzo punto Le Goff mette a fuoco l’antropologia storico politica «Studiare l’immaginario di una società significa arrivare al fondo della sua coscienza e della sua evoluzione storica. Significa andare alle origini e alla natura profonda dell’uomo, creato a “immagine di Dio”. La presa di coscienza di questa natura dell’uomo nel secolo XII ha ispirato, animato lo sviluppo dell’umanesimo medievale. Un umanesimo all’opera in tutte le attività della società, dalle imprese economiche fino alle più alte creazioni culturali e spirituali».

 

Primo capitolo. Guerrieri e borghesi rampanti. L’immagine della città nella letteratura francese del secolo XII

Il secolo XII è l’epoca del grande sviluppo urbano nell’Occidente cristiano. La città appare  sotto forme diverse, con diversi significati nelle opere della giovane letteratura in lingua volgare. É il caso, nell’ambito della lingua d’oil, di due chansons de geste del ciclo di Guglielmo d’Orange: Le Charroi de Nimes – La prise d’Orange; di quattro dei dodici Lais di Maria d Francia (Lanval, Yonec, Laustic, Eliduc); di un romanzo di Chretien de Troyes, Perceval ou le conte du graal.

Nel Charroi de Nimes, Guglielmo che ha aiutato Ludovico figlio di Carlo Magno a ottenere la corona e a farsi incoronare a Roma, tornando da una battuta di caccia incontra il nipote Bertrand che gli comunica che Ludovico ha distribuito feudi ai suoi baroni dimenticandosi di lui e del nipote stesso. Guglielmo incontra il re, il quale comprende di aver sbagliato e gli offre un quarto del suo regno. Ma a Guglielmo interessa conquistare nuovi territori  e non indebolire la corona, e quindi gli chiede il permesso di conquistare la Spagna occupata dai Saraceni. Il re acconsente e Guglielmo parte con il suo esercito alla presa di Valsore, Nimes e Orange. Nimes città di grande fascino con i palazzi di pietra, le torri, le chiese le vie e soprattutto la piazza del mercato vero fulcro della vita economica.

Ne La prise d’Orange forte è il simbolismo città-donna da soggiogare. Orable è la regina sposa del re Tibaut. Con un escamotage fa entrare il suo esercito oltre le mura della città e se ne impossessa.

Nell’ ultimo romanzo Chretien de Troyes, si narrano le avventure dei cavalieri Perceval e Gauvain.   Anche in questo caso si contrappongono la foresta con il suo mondo selvaggio alla corte urbanizzata di Artù; i cavalieri e i guerrieri ai mercanti, i cambiavalute, i borghesi e il popolino.

Le Goff esamina le chansons e ne intravede una cultura frutto di una eredità  giudaico – cristiana (la Bibbia, le opere di sant’Agostino, Gerusalemme), greco-romana, barbara e “tradizionale” (delle vecchie culture indigene).

L’autore si domanda come interpretare il rapporto tra i guerrieri e città. Ne fuoriescono tre tipi di comportamento: l’attrazione verso le ricchezze (bramosia), l’idealizzazione (in città coabitano in armonia re, borghesi e popolo), l’ostilità a un mondo lontano dagli ideali della foresta.

 

Secondo capitolo. Una metafora urbana di Guglielmo d’Alvernia

Guglielmo d’Alvernia, vescovo di Parigi dal 1228 al 1249, anno della sua morte, è una figura di spicco del movimento teologico del tempo. Nei suoi scritti analizza lo sviluppo urbano in rapporto alla dottrina. Guglielmo paragona la città ai sette sacramenti guardando alle cose materiali come strumenti di elevazione alla perfezione. La città, secondo il suo pensiero, è amministrata e abitata da uomini perfetti e si fa evidente la contrapposizione tra città sede della civiltà e la foresta centro della selvatichezza. Le pietre delle mura cittadine sono cementate e incastrate simbolo dell’amore reciproco che vige tra gli abitanti, al contrario delle pietre grezze delle cave del terreno. Le porte della città sono simboli di accesso a un nuovo status: la civiltà. Fuori da quelle porte i forestieri equiparati agli animali.

«Questa civiltà deve avere le sue insegne simboliche, manifestare la sua dignità in modo visibile. La dignità cavalleresca si manifesta cingendo la spada, la dignità ministeriale con la tradizione delle chiavi, la dignità regale con l’imposizione della corona e l’ascesa al trono»

 

 

Terzo capitolo. Realtà sociali e codici ideologici all’inizio del XIII: un exemplum di Giacomo di Vitry sui tornei

L’exemplum, è  un breve racconto reale o fantastico inserito in genere per sostenere una particolare argomentazione, che ha avuto grande diffusione nel Medioevo. Questo genere letterario venne utilizzato allo scopo di ricondurre le opere antiche all’interno dell’orizzonte spirituale cristiano.
Le Goff prima di addentrarsi nel tema del capitolo mette in guardia il lettore dal rischio occorso ad alcuni storici di scambiare «per realtà materiali le realtà dell’immaginario, sviare dalla sua funzione e dal suo significato un documento che non è fatto per fornire testimonianze su certi tipi d realtà».
In questo caso l’exemplum analizzato è un sermone di Giacomo da Vitry, predicatore ed allievo dell’università di Parigi, nel quale confronta i tornei  con i sette peccati capitali. Ne scaturisce un giudizio severo su queste giostre nel quale i cavalieri non facevano altro che mettersi in mostra.

L’obiettivo era guadagnare i favori delle dame, o sposarsi e naturalmente muoveva interessi economici svolti fuori il controllo degli ecclesiastici. L’exemplum ha il finale positivo: il cavaliere alla fine abbandona i tornei e prende ad odiarli.

 

Quarto capitolo. Aspetti eruditi e popolari dei viaggi nell’aldilà nel Medioevo

L’interesse degli storici alla cultura cosiddetta popolare ha oscillato in questi ultimi decenni tra due differenti modi di approccio. Il primo sta nell’interpretazione dei testi, dei riti, dei gesti; il secondo ha privilegiato gli attori e nel “modo di consumare i prodotti della cultura”.

I generi dei testi variano dal fablieau (brevi favole)alla visione, al racconto, alla canzone, alla bestemmia, al carnevale, alla farsa, allo charivari (manifestazioni di protesta) e all‘exemplum.

Il rischio per gli studiosi del folclore è sempre stato quello di «trasporre anacronisticamente nel passato concetti attuali, specie quello di classe, e di confondere atteggiamenti mentali degli uomini del passato con quelli degli studiosi attuali delle scienze sociali».

L’importante è non contrapporre la cultura dominante con la cultura popolare ma scoprirne l’interazione sulla traccia di ciò che avveniva nel genere letterario dei racconti medievali dei viaggi nell’aldilà. Il carattere, in ogni caso erudito di questa documentazione, evidenzia la natura clericale (la lingua usata è il latino), i testi risultano per lo più infarciti di reminiscenze e citazioni libresche, tratte della letteratura apocalittica giudaico cristiana. Nati nell’ambiente monastico e a loro sono soprattutto destinati. Ma sono anche vicini alla cultura popolare. Qualcuno afferma che le taverne e le pubbliche piazze non sono esenti dalle creazione fantastiche, lo dimostra la scelta di inserire elementi importanti di quei testi nei cataloghi e nei repertori del folklore. Gli esempi si riferiscono ai viaggi nell’oltretomba, dove i monaci avevano la cura di sostituire concetti ed elementi pagani con motivi cristiani.

L’attore del viaggio in questi luoghi ridotti dal cristianesimo in Inferno, Purgatorio e Paradiso è accompagnato da santi, angeli e i segni premonitori sono la croce, il nome di Gesù.

 

Quinto capitolo. Il tempo del Purgatorio (secoli III – XIII)
Il purgatorio si costituisce come spazio e come tempo tra il secolo III e la fine del secolo XII: è l’evoluzione della credenza cristiana – apparsa molto presto – nella possibilità di riscattare certi peccati in determinate condizioni dopo la morte. Tale credenza è attestata nella liturgia e nelle epigrafi delle iscrizioni funerarie, da preghiere per i defunti. Più in avanti si accosteranno supporti teologici derivanti dalla Bibbia dovuti soprattutto agli studi di sant’Agostino e Gregorio Magno.
La nascita definitiva del Purgatorio si verifica, tra il 1170 e il 1220 circa, nell’ambito di profonde trasformazioni che investono i quadri mentali e intellettuali della Cristianità. Il mutamento maggiore riguarda l’interesse crescente dei cristiani per i beni terreni come il benessere materiale, la voglia di spensieratezza, il concetto di proprietà, la contrapposizione ricco-povero ai quali vanno enumerati interessi scientifici come l’aritmetica, la geografia che permettono di misurare diversamente il tempo e lo spazio. Nasce la nozione di intermedio, sottolineata dalla triade minores-mediocres-maiores  cosicché anche l’aldilà viene  concepito come tempo intermedio, misurabile e divisibile. Attraverso la pratica dei suffragi, delle messe e dei lasciti sarà possibile regolare la permanenza del “caro estinto” in Purgatorio.

 

Sesto capitolo. Il tempo dell’exemplum (secolo XIII)

L’exemplum, che proviene dall’Antichità greco-romana, è un aneddoto di carattere storico presentato come argomentazione in un discorso d persuasione. Arma dell’oratore giuridico o politico durante l’Antichità, esso diventa strumento di edificazione per il moralista cristiano. Ma dai primi secoli del cristianesimo fino al cuore del Medioevo, l’exemplum cambia natura e funzione: non più imperniato sull’imitazione di una persona (Cristo era l’exemplum per eccellenza), consiste piuttosto in un racconto, in una storia da cogliere nel suo insieme come un oggetto, uno strumento di insegnamento e/o di edificazione e conversione.

 

Settimo capitolo. Il rifiuto del piacere

«Per opinione comune la tarda antichità segna una svolta nel modo di concepire e praticare la sessualità in Occidente. Mentre nell’Antichità greco – latina la sessualità e il piacere carnale erano considerati valori positivi e dappertutto regnava una grande libertà sessuale, vediamo in seguito subentrare una condanna generalizzata della sessualità e una rigida regolamentazione del modo di esercitarla».

Fattore principale di tale ribaltamento è il cristianesimo che in realtà aveva raccolto istanze presenti già nell’età pagana. Richieste che riguardavano la castità ma anche la condanna dell’aborto, il biasimo della bisessualità, la ricerca della purezza sia nell’anima come nel corpo. Apologeti cristiani del calibro di Clemente di Alessandria, Agostino, Tertulliano, Gregorio Magno sapranno argomentare tali scelte con trattati e dispute.

 

Ottavo capitolo. Il cristianesimo e i sogni (secoli II-VII)

«Quando il cristianesimo, insediatosi in Occidente durante il periodo di transizione denominato tarda Antichità o alto Medioevo, diventa dal secolo IV religione e ideologia dominante, tra i vari fenomeni culturali da gestire trova anche i sogni e la loro interpretazione».

Era normale pratica, come oggi per la verità, che la gente comune ricorresse ad indovini per interpretare i sogni e questo non sempre era positivo. D’altronde l’eredità greco–romana e i riferimenti biblici nella Bibbia (ben 43 sogni-visioni nell’Antico Testamento e 9 nel Nuovo) contrassegnano l’importanza di questo argomento nella vita quotidiana durante il Medioevo. Per il cristiano il sogno e la visione e pure l’estasi sono una via di accesso diretta a Dio e quindi sono motivo di studio.  Tertulliano nel suo trattato “De anima” suddivide i sogni in tre parti: sogni inviati dai demoni; sogni profetici inviati da Dio; sogni che l’anima invia a sé secondo le circostanze; sogni legati all’estasi. L’onirologia cristiana prenderà forma più avanti con Gregorio Magno e Isidoro di Siviglia.

Nella nuova gerarchia dei sognatori che il cristianesimo viene delineando è normale che al di sopra del vescovo si affermi l’eroe cristiano per eccellenza, il martire. Grazie alle sue virtù egli è degno di visioni che mostrano l’aldilà e il futuro. Ma è soprattutto nel campo della conversione che giocherà un ruolo fondamentale il sogno-visione come nei casi di Agostino, Teodosio, Costantino.

 

Nono capitolo. A proposito dei sogni di Helmbrecht padre

Le Goff chiude questa raccolta di saggi con alcune osservazioni sui sogni del padre del giovane Helmbrecht. Si tratta di un breve e famoso racconto in versi dove il padre fa quattro sogni riguardanti la vita del figlio che vuole lasciare la sua terra in cerca di nuovi orizzonti. Un sogno drammatico che si rivela veritiero mettendo a nudo lo scontro tra padre-figlio, segno di un conflitto tra due epoche e due generazioni.